DE NINO, Antonio
Nacque a Pratola Peligna (L'Aquila) il 15 giugno 1833 e non 1836) da Gianferdinando, agrimensore, e da Anna Maria Puglielli, filatrice. Suo primo maestro fu il padre. A dieci anni - lo ricorda lui stesso - abbandonò la scuola insoddisfatto e divenne un tenace autodidatta. Apprese da sé la grammatica, il latino, le lingue francese e tedesca. La sua formazione culturale maturò e si corroborò a Firenze nella cerchia di A. Vannucci e di N. Tommaseo, cui fu presentato nel 1865 da P. Fanfani col quale il D. era entrato in rapporti epistolari. Questo momento toscano della sua formazione non si esaurì col ritorno nel natio Abruzzo, poiché il D. mantenne sempre contatti epistolari con gli amici e i conoscenti toscani, ai quali vanno aggiunti, per citare i più noti, A. D'Ancona, G. Polverini e F. Martini.
Non potendo disporre di mezzi per proseguire studi regolari all'Aquila, intraprese la carriera scolastica come maestro elementare. Dopo una breve permanenza a Rieti si stabilì a Sulmona, prima come insegnante di lettere italiane e storia nel locale collegio "Ovidio" e poi come direttore della scuola tecnica. Rifiutò sempre incarichi di presidenza in scuole di grandi città non abruzzesi per un innato attaccamento alla terra natale. Fu ispettore onorario dei monumenti e degli scavi.
Tutta la sua vita fu spesa ad illustrare e a far conoscere l'Abruzzo sotto ogni aspetto, storico, artistico, archeologico, tradizionale. La sua attività di grande "regionalista" si svolse in un particolare momento, in cui intorno al nome e alla figura di Gabriele D'Annunzio si raggrupparono altri illustri abruzzesi come F. P. Tosti, C. Barbella, T. Patini, F. P. Michetti, E. Scarfoglio, alcuni dei quali dettero vita al noto "cenacolo di Francavilla". Tra questa schiera di artisti il D. spiccò come figura di studioso. di primo piano.
Del clima fiorentino dell'ultimo quarto di secolo, dominato dalle accese polemiche linguistiche tra gli studiosi, si coglie il ricordo nelle lettere indirizzate agli amici toscani, mentre dei suoi interessi linguistici fa fede una fortunata operetta, utilizzata dal Fanfani e da C. Arlia, che conobbe tre edizioni: Errori di lingua italiana che sono più in uso (Firenze 1866, 1872, 1886). Di lingua e di filologia continuò ad occuparsi nel corso della sua vasta e varia produzione: Vecchi amori grammaticali e filologici (Castelbordino 1885 e 1888), Nomi propri personali con alterazione di pronunzia (in Rivista abruzzese [Teramo], VI [1891], pp. 481-513), Vocaboli nuovi di uso parlato attinenti a mestieri, arti e scienze (Vasto 1901), La Sabina nel dialetto e nei canti (in Riv. moderna polit. e letter. [Roma], 15 marzo 1903), Correzioni autografe e lima negli scritti di Gabriele Rossetti (in La vita letter. [Roma], 16 nov. 1906). Ricordi degli studiosi toscani conosciuti a Firenze e altri argomenti di indole letteraria sono raccolti, tra gli altri, nei due volumi Briciole letterarie (Lanciano 1884-85). Tuttavia, i campi in cui il D. profuse le migliori energie sono quelli del folclore e dell'archeologia regionali, in cui operò da vero e proprio pioniere.
Durante la sua permanenza in Sabina (che allora faceva ancora parte dell'Abruzzo) pubblicò il Saggio di canti popolari sabinesi (Rieti 1869), cui seguirono i Proverbi abruzzesi raccolti e illustrati... (Aquila 1877); due anni dopo, nel 1879, per i tipi del Barbera di Firenze vide la luce il primo dei sei volumi su gli Usi abruzzesi (che dal secondo diventeranno Usi e costumi abruzzesi, 1881 -97).
A partire dal terzo volume lo studioso improntò le sue raccolte ad un più sicuro sistema - ogni volume comprende un armetodologicol gomento specifico: fiabe, sacre leggende, malattie e rimedi, giochi fanciulleschi; vengono registrate varianti, località, si riportano filastrocche in dialetto, mentre le leggende sacre e profane sono trascritte in lingua. Tale procedimento non era condiviso da G. Pitrè, il quale avanzò delle riserve sull'opera di folclorista del D.; e questo giudizio, insieme con la sua formazione romantica, pesò su di lui in un periodo in cui, sotto la spinta positivistica, si esigeva l'assoluta estraneità del raccoglitore nei confronti del materiale folclorico. Il giudizio di scarsa scientificità delle raccolte deniniane suono soprattutto, anche se ingiustificatamente, come arbitraria rielaborazione del documento. Se non che un appunto che non può essergli mosso con fondatezza è proprio quello di mancanza di obiettività. Chi scorra soltanto la vasta opera folclorica del D. si rende subito conto dell'onesta e scrupolosa fatica, in cui è sempre tenuto ben distinto il dato oggettivo, la materia, da quello soggettivo che non si risolve tanto in un giudizio critico, quanto piuttosto in un benevolo atteggiamento che tradisce l'affettuosa partecipazione del raccoglitore. L'operosità del D. non può essere scissa dall'amore che portò al suo Abruzzo, pena l'incomprensione del suo significato più vero. Infatti, oltre che un pioniere, egli fu il rivelatore dell'Abruzzo (e non solo sotto l'aspetto tradizionale); "per noi - scrisse L. Pirandello - De Nino era tutto l'Abruzzo", e non fu un caso se tra i suoi più grandi estimatori figurarono più artisti e poeti che studiosi. La sua opera folcIoristica non si configura come una rigida e schematica classificazione di materiale, approntato per essere sottoposto all'analisi degli specialisti, ma è materia viva che lo studioso raccolse premurosamente identificandosi col suo popolo. Perciò essa va intesa anche come un documento profondamente umano. Di questo rapporto di affetto il D. era ben consapevole, così come era cosciente, nella sua innata modestia, del suo "ufficio di semplice raccoglitore di materiali etnografici" (III, p. X), anche perché era convinto che, allo stato attuale delle ricerche, non era possibile né opportuno avventurarsi in storie comparate di usi e costumi "se prima non si facciano delle complete e serie raccolte di usi e costumi dei paesi più caratteristici" (II, p. VII).
Della natura "poetica" delle sue raccolte si rese conto il D'Annunzio che lo definì, cogliendo nel segno, "peligno della grande stirpe, poeta delle memorie tenace". In effetti il D. fu uno degli "egregi osservatori e interpreti della vita popolare" (Mazzoni), perciò il pescarese non esitava a chiedere chiarimenti (si erano conosciuti forse nell'84) durante la stesura delle due "tragedie abruzzesi", come non aveva esitato nel '94 a calare quasi di peso nel Trionfo della morte la vicenda di un esaltato prete di Cappelle, Oreste de Amicis, la cui tormentata vita era stata raccolta dal D. nella fortunata operetta IlMessia dell'Abruzzo (Lanciano 1890), lodata non solo da letterati come il D'Ancona e il Martini, ma anche dall'antropologo C. Lombroso.
Frattanto, insieme con altri lavori pubblicati in periodici locali e nazionali. sempre relativi al foiclore, il D. stampava Ovidio nella tradizione popolare di Sulmona (Casalbordino 1886), già anticipato l'anno prima sull'Illustrazione italiana e tradotto in tedesco. Nell'83, sotto il titolo di Usi e costumi abruzzesi, erano apparsi nel secondo volume dell'Archivio del Pitrè (Palermo, pp. 219-26) altri materiali etriografici. Le credenze legate a testimonianze archeologiche furono raccolte invece più tardi in Archeologia leggendaria (Torino 1896).
I primi scritti archeologici del D. (Gli avanzi della villa di Ovidio, Superequo e Molina, Gli avanzi di Corfinio) risalgono al 1874; tre anni dopo dava notizia della scoperta di una necropoli presso Alfedena. Corfinium e Aufidena devono la loro fortuna archeologica proprio alla febbrile attività del D. (cui si deve l'istituzione di due musei nelle rispettive località). Dall'82 le sue scoperte vennero puntualmente comunicate all'Accademia dei Lincei e regolarmente pubblicate sulle Notizie degli scavi. Ma l'importanza dell'attività archeologica deniniana non consiste solo nella sua natura pionieristica, che permise di localizzare per la prima volta centri italico-romani soprattutto nella Valle Peligna (Saggio archeol. sulla ubicazione di alcuni oppidi, pagi e vici, Sulmona 1905), bensì nel valore intrinseco delle trascrizioni lapidarie, che per la loro fedeltà rappresentano ancora oggi un insostituibile materiale per lo studio dei dialetti italici, specie peligni. Questa onestà di raccoglitore, anche nel campo archeologico, riconfermatagli ai giorni nostri, gli fu riconosciuta per primo dal Th. Mommsen che lo ebbe come valida e sicura guida durante le ricerche nell'agro sulmonese. Nel 1902 il D. pubblicò in un volume l'Indice delle scoperte archeologiche comunicate all'Accademia de' Lincei (Sulmona), che vanno dal '77 al 1902, Indice che successivamente (ibid. 1906) fu completato fino a tutto il 1905.
Durante il suo continuo peregrinare in tutto l'Abruzzo il D. non trascurò di scovare opere d'arte nascoste o documenti d'archivio e lapidari che potessero contribuire a risolvere problemi inerenti all'arte della regione, la cui storia era tutta da scrivere, e anche in questo campo fu di una scrupolosità esemplare. Non soltanto collaborò a riviste specializzate come L'Arte, Arte e storia, Natura e arte, ma si sentì in dovere, quale ispettore onorario, di pubblicare a sue spese un Sommario dei monumenti e degli oggetti d'arte (Vasto 1904), dal momento che "il Governo conserva, ma non pubblica tutte le innumerevoli schede descrittive ricevute da ogni angolo d'Italia" (p. III); questo sommario, che riassume tutte le schede inviate al ministero, rappresenta un primo inventario delle opere d'arte della regione, comprese quelle mobili. Già precedentemente aveva dato alle stampe il Sommario biografico di artisti abruzzesi non ricordati nella storia dell'arte (Casalbordino 1887) e si può dire che non c'è monumento o opera d'arte di un certo interesse che non sia stata da lui segnalata alle autorità competenti e al pubblico degli studiosi. Certo, il D. non si muoveva nel campo dell'arte con la stessa sicurezza e competenza dimostrate nell'ambito dell'archeologia e delle tradizioni popolari; tuttavia, la sua produzione relativa alle arti figurative rappresentò un valido punto di partenza per chi si accinse in seguito a dare più organica sistemazione all'arte della regione. Anche in questo settore fu animato dall'unico intento che aveva informato tutta la sua attività: far conoscere il suo Abruzzo così com'era, senza indulgere a sentimentalismi né, tanto meno, a campanilismo, da cui non andarono immuni altri scrittori. Non pensò mai di rivendicare primati inesistenti alla sua terra, e lo fece senza complessi di inferiorità. Quando scoprì i "rilievi di Castel di Sangro" (ora al Bargello) in casa Patini, non solo intuì la loro notevole qualità, ma non tardò a rendersi conto che le formelle esulavano dall'ambito della cultura locale.
Il D. morì a Sulmona (L'Aquila) il 1ºmarzo 1907.
Impossibile dare anche un'idea della vastissima bibliografia dell'opera deniniana, si rimanda perciò a B. Mosca, Bibliografia degli scritti di A. D., in Bull. della Deputaz. abruzzese di storia patria, LXIV (1974), pp. 533-665;mentre è opportuno segnalare i due volumi delle Tradizioni popolari abruzzesi (scritti inediti e rari), curati da B. Mosca, Aquila 1970-72, nonché la ristampa anastatica dei sei volumi degli Usi e costumi abruzzesi, Firenze 1962-65. Il vasto materiale manoscritto che, tra l'altro, avrebbe fruttato altri sei volumi di Usi e costumi è andato distrutto durante l'ultima guerra.
Fonti e Bibl.: Fondamentali per la conoscenza dell'opera e della personalità del D. sono i saggi di B. Mosca, primo fra tutti: A. D. Note e documenti, Lanciano 1959; Lettere di Tommaseo a D., in Cultura e scuola, XII (1936), luglio-ott., pp. 334-346; Pitrè e D. (Un piccolo carteggio e una recens.), in Riv. abruzzese (Lanciano), XXV (1972), 2, pp. 83-112; Rassegna bibliograf. su A. D., ibid., XXVII (1974), 1-2, pp. 71-78; 3, pp. 147-151; Significato e valore della vita e dell'opera di A. D., Pratola Peligna 1975; A. D. e tre letterati toscani, Lanciano, 1977;si vedano, inoltre: L. Savorini, La "Figlia di Jorio" di G. d'Annunzio e gli "Usi e costumi" di A. D., in Riv. abruzzese (Teramo), XX (1905), pp. 36 s.; G. Pannella, Per il I anniversario di A. D., ibid., XXIII (1908), pp. 103-137;L. Pirandello, L'Abruzzo e A. D., in La Fiaccola (Ortona), 9 ag. 1920;G. Mazzoni, L'Ottocento, Milano 1934, p. 1357; P. Toschi, Gennaro Finamore, in Lares, XVIII (1952), 1-2, pp. 1-11, poi in Fabri del folklore, Roma 1958, pp.50, 58, 69-73, 79, ed ora in Pagine abruzzesi, L'Aquila 1970, pp. 83-183 (alle pp. 77-82, il saggio A. D.);G. Cocchiara, Popolo e letter. in Italia, Torino 1959, pp. 392, 497; E.Paratore, Le tradizioni popol. abruzzesi su Ovidio alla luce delle nuove esperienze, in Atti del VII Congr. naz. di tradiz. popol., Firenze 1959, p. 33;D. V. Fucinese, La "Figlia di Jorio" e il folklore abruzzese, in Dialoghi (Roma), XI (1963), 1-2, pp. 118- 131; Id., Studi e studiosi del folklore abruzzese, in Dimensioni (Lanciano), 1964, nn. 56, pp. 49-51;G. Devoto, Gli antichi italici, Firenze 1969, p. 18. Per la bibliografia di e su D. va visto anche R. Aurini, Diz. biogr. della gente d'Abruzzo, IV, Teramo 1972, pp. 5-45.