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DE GENNARO, Antonio

di Gabriella Romani - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 36 (1988)
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DE GENNARO, Antonio

Gabriella Romani

Nacque a Napoli il 27 sett. 1717 da Francesco Andrea e Marianna Brancaccio dei duchi di Ruffano, originaria del sedile di Nido. È noto col titolo di duca di Belforte.

Appena quindicenne fu mandato a Roma per compiere gli studi nel collegio Clementino dove, oltre alle materie umanistiche, si applicò con profondo interesse anche alle branche scientifiche del sapere. A Roma strinse forte amicizia con l'abate F.M. Lorenzini, dal quale il D. fu introdotto alle adunanze dell'Arcadia, dove fu accolto ben presto col nome di Licofonte Trezenio. I suoi capitoli per la morte della madre pare riscuotessero grandi consensi da parte degli arcadi, i quali presero la consuetudine di chiudere le adunanze solenni coi versi del De Gennaro. Al termine degli studi il D. rimase a Roma solo brevemente, preferendo far ritorno a Napoli, probabilmente nel 1736.

La propensione a dedicarsi agli studi e l'amore per la campagna inducevano il giovane D. ad alternare il soggiorno nella capitale partenopea con lunghi ritiri nei suoi feudi. Insieme con il fratello Domenico, studioso di economia, promosse nella villa di Mergellina, a partire dal 1740, riunioni private e colti dibattiti, cui presenziarono, stando alle affermazioni di R. Liberatore (in N. Cortese, Eruditi e giornali letterari della Napoli del Settecento, Napoli 1922, pp. 73 s.), gli uomini più famosi del tempo, dal Fantoni al Calzabigi al Bertola, da Cotugno a Filangieri, per non tacere di altri celebri illuministi ed eruditi meridionali: M. Pagano, M. Delfico, P. Napoli Signorelli. La vita culturale ufficiale vide il D. vivacemente partecipe: fu iscritto infatti a varie accademie, tra cui quella degli Oziosi, ribattezzata in un secondo momento Accademia della Colomba o il Portico della Stadera. Il D. fu socio della Accademia Aletina dal 1753 al 1791 e principe in quella dei Placidi, fondata dal Fortini nel 1774 per rinnovare la Pontaniana. Quando nel 1779 fu istituita, per volere regale, l'Accademia di scienze e belle lettere, destinata a brevissima vita, il D. vi entrò fra i primi, come socio onorario della terza classe dedicata alle antichità patrie, storiche e archeologiche.

Con uno stravagante erudito, J. Martorelli, tenne un giornaliero scambio epistolare da cui sappiamo che il D., anche se indotto dall'amico a ricerche su Omero, si mantenne distante dalle biasimate manie antiquariali del Martorelli (il carteggio è stato disperso; cfr., al riguardo, S. Vetrano, Il duca di Belforte, Napoli 1925, pp. 50 s.).

Forse nel 1756 fece stabilmente ritorno a Napoli, dove non si sottrasse ad incarichi civili e alle riunioni della buona società partenopea. Benché di maniere semplici e di severe idee morali, "nemico per natura e per riflessione de' piaceri e de' disgusti del matrimonio" (G. B. Paziani, Elogio storico, Napoli 1796, p. XVI), era ricercato dalle dame napoletane per le sue doti di garbato e piacevole conversatore. A Napoli, nel 1751, fu scelto come "eletto" e poi ebbe l'incarico di redigere un piano per riformare il collegio della Nunziatella. Le istanze conservatrici e la fede cattolica non gli impedivano di ammirare uomini come il Palmieri ed il Genovesi e dava prova di mentalità dialettica quando, nel difendere il Filangieri dalle critiche di retrogrado censore, sosteneva che "ogni principio, per quanto generalmente sia vero, patisce in qualche caso eccezione ed è talvolta distrutto da un contrario principio" (ibid., p. XLIX). Inoltre il D. fu in amichevoli rapporti con alcuni dei più noti protagonisti della rivoluzione napoletana del 1799: E. de Fonseca Pimentel, I. Falconieri, P. Napoli Signorelli. Fra i letterati e poeti che frequentarono il D., alcuni lo ricordano anche nelle loro poesie: G. Fantoni, il famoso conte rivoluzionario; l'irrequieto A. Bertola De Giorgi che dedicava al D. il poemetto gessneriano La state (1776), rievocandolo negli idilli, nelle Memorie e nelle Delizie autunnali.Uno scambio di versi estemporanei di V. Monti col D., avvenne tramite il Bertola (lettere del Monti al Bertola in data 25 settembre, 5 novembre e 3 dic. 1779). Al periodo compreso tra il 1778 ed il 1785 risalgono alcune lettere a V. Corazza. Il D. sopportava serenamente le conseguenze di una malferma salute, aggravatasi in vecchiaia per colpi apoplettici e paralizzanti dolori reumatici, invano curati dall'amico D. Cotugno.

Il D. morì, probabilmente a Napoli, il 21 genn. 1791.

Varie composizioni in versi, scritte da poeti e dame per la morte del D., furono stampate col titolo di Omaggio poetico, in un in folio preceduto da un Elogio storico del canonico G. De Silva (Napoli 1791).

La vena poetica del D., versatile nell'uso di svariati metri, si piegò soprattutto a componimenti d'occasione, legati alle più diverse circostanze: dagli avvenimenti significativi o minimi, relativi alle vicende dei regnanti, tra i quali il più volte cantato Ferdinando IV, alle pressanti richieste della sorella Agnese, badessa del monastero di S. Chiara (restano infatti dieci cantatine di argomento sacro, scritte per l'ingresso nel monastero di nuove religiose). Un Omaggio poetico, scritto per il matrimonio di Maria Carolina d'Austria col re di Napoli (1767), fu pubblicato a Parigi, con la traduzione in francese, dall'erudito C. Vespasiani, impegnato a difendere la letteratura italiana dai giudizi oltraggiosamente negativi dei Francesi. Nell'Omaggio poetico, poemetto in ottave, è prefigurato l'arrivo della sedicenne arciduchessa sulle coste napoletane e il poeta, sfoderando il corredo mitologico consueto in simili componimenti, immagina di accorrere in groppa a Pegaso al cospetto della sposa, descrivendo il tripudio del popolo, in un percorso in cui sono evocate le più note località della costa partenopea.

A Parigi venne stampato (probabilmente nel 1772) un altro epitalamio del D., Il cinto di Venere, scritto per l'occasione del matrimonio dell'allora delfino di Francia, il futuro re Luigi XVI, con Maria Antonietta d'Austria. Il poemetto fu giudicato severamente dai redattori fiorentini delle Novelle letterarie. Perdifendere lo stile tenue delle sue ottave, il D. additava l'esempio dell'ex gesuita Roberti, asserendo in fine: "Si lasci adunque all'Imperadore cinese l'adoperare nel suo poema le forti tinte orientali" (Paziani, Elogio, cit., p. XXXVI).

Tra i versi del D. non mancano composizioni drammaturgiche, tra le quali due favole boscherecce, L'isola incantata e L'amor vendicato, piccoli melodrammi privi della tradizionale scansione in atti e divisi in due parti. Anche queste pastorali rispondono a modeste esigenze edonistico-cortigiane: infatti L'isola incantata fu scritta per essere recitata privatamente da alcune letteratissime dame della società napoletana, i cui caratteri sono adombrati allegoricamente nelle quattro ninfe protagoniste. L'accurata didascalia scenica iniziale assomma tutto l'arsenale dei luoghi deputati del paesaggio idillico-pastorale, nel quale si muovono le ninfe, ovviamente cacciatrici e acerrime nemiche d'amore. Ma dopo aver bevuto ad una allettante fonte, cadono in un sonno profondo e al risveglio si ritrovano tutte e quattro innamorate. Interviene però l'irreprensibile Euriso, il quale, muovendo contro la tradizione pastorale che annovera vari persuasori d'amore, si preoccupa di ricondurle alla ragione e distoglierle dalle lusinghe del sentimento. L'altra pastorale, L'amor vendicato, non meno esile della prima dal punto di vista dei congegni scenici e drammaturgici, riprende la celebre vicenda di Apollo e Dafne, tentando di movimentare l'azione facendo della ninfa un'eroina patetica, che rifiuta Apollo per mantenere fede ad Alceo, suscitando la gelosa ira del dio. Altri componimenti drammaturgici celebrano eventi puramente encomiastici, come la Primavera (1785), scritto per una cerimonia tradizionalmente tributata dal popolo napoletano ai suoi regnanti, un omaggio simbolico di fiori e frutta coronato da una solenne allegoria.

Nella produzione del D. sono rappresentati un po' tutti i generi poetici, dai componimenti di impianto varaniano e metastasiano a quelli ricondotti negli schemi metrici più tradizionali, come nel caso di settanta sonetti, dedicati talora a personaggi famosi (E. de Fonseca Pimentel, G. Thiene, V. Ferrerio, D. Chelli). I sonetti legati a temi amorosi, appena una ventina, risultano alquanto convenzionali, raggelati nei topoi petrarcheschi più consueti. Ma è sempre molto difficile rinvenire, nella produzione del D., accenni e sintomi d'una ispirazione personale e non letteraria: si resta nei confini della sensibilità settecentesca più tradizionale.

Per quanto riguarda i dieci capitoli in terzine, scritti per i consessi arcadici, vengono ripresi i moduli formali e contenutistici della Divina Commedia, assecondando la mania accademica di imitazione dantesca biasimata dal Bettinelli. I primi tre capitoli (dal titolo varaniano di Visioni, ma in realtà lontani da atteggiamenti spirituali umbratili e preromantici) sono ispirati alla morte della madre, immaginata quale novella guida e dotta risolutrice di quesiti teologici, che ripropongono le più famose teorie dantesche. Le terzine del D. suggeriscono con qualche scioltezza temi e paesaggi della Commedia, evocando sfondi di sfere ultraterrene, cieli luminosi, selve, fiumi e anime biancovestite. Una struttura pesantemente dantesca caratterizza anche La vera virtù, in ottava rima e diviso in tre canti, scritto in età avanzata per la morte di Livia Doria Carafa, principessa della Roccella. Nel repertorio di canzoni, anch'esse originate per la maggior parte da consuete circostanze celebrative, ricorre una Nice, ma con sfocata e convenzionale maniera metastasiana. Un caso isolato è costituito dalla anonima figura femminile della canzone dedicata Ad una dama che portava un coltello ascoso nel seno, vagheggiata con toni di compiacimento sensuale. Qualche nota più spontanea e vivace si rinviene nel componimento dedicato a una famosa improvvisatrice, Per Corilla Olimpica assalita da una leggiera febbre. Fra le varie canzoni e canzonette che si aggirano attorno a temi galanti e amorosi, si ricordano il Maggio, Travestimento di Nice in contadina, Amor cacciatore, il Sonno, la Rosa, il Papavero.

Di carattere sacro il poemetto dedicato a S. Famiano e l'Oratorio per s. Gennaro eseguito nel 1765 nella cattedrale di Napoli con le musiche di N. A. Porpora. Il D., incline ad una concezione della letteratura pedagogicamente inverata da ambizioni scientifiche scrisse il poemetto il Vesuvio (Napoli 1795), ispirato all'eruzione del 1779, diviso in tre canti composti di sestine. Si occupò di questioni naturali anche in due lettere all'abate G. C. Amaduzzi: una riguardante la menzionata eruzione del 1779, fu pubblicata nella Antologia romana (settembre 1779). Il carteggio con l'Amaduzzi interessa anche per altre ragioni e i biografi ne lamentavano la mancata divulgazione, dovuta a comprensibili riguardi nei confronti della corte pontificia, contro la quale l'Amaduzzi aveva intrapreso una disputa teologica. Di tale carteggio, restano 265 lettere (10 febbr. 1778-8 genn. 1791), contrariamente a quanto afferma sbrigativamente S. Vetrano (Il duca di Belforte, cit., p. 48). La monografia del Vetrano, l'unica reperibile sull'argomento, risulta anche in altri punti incompleta o malsicura.

Opere: Poesie, I-III, Napoli 1796: il I volume contiene sonetti e capitoli; il II i poemetti; il III le opere drammaturgiche e componimenti poetici eterogenei. Il D. curò una raccolta di Poesie scelte, pubblicata postuma a Napoli nel 1795.

Fonti e Bibl.: Napoli, Bibl. naz., Mss. X. AA. 29 (lett. del D. a V. Corazza); Savignano sul Rubicone, Bibl. com., lett. del D. a G. C. Amaduzzi (cfr. G. Mazzatinti, Invent. dei manoscritti …, I, Forlì 1890, p. 104); Novelle letter. (di Firenze), XXIX (1769), p. 14; XXX (1770), p. 658; XXXI (1771), p. 227; LI (1791), p. 374; F. Soria, Memorie stor.- crit. d. storici napol., II, Napoli 1782, p. 630; G. Fantoni, Poesie, a cura di G. Lazzeri, Bari 1913, pp. 42 ss., 289 ss.; V. Monti, Epist., a cura di A. Bertoldi, I, Firenze 1928, pp. 88 s., 93, 99 s.; D. Martuscelli, Biogr. d. uomini illustri d. Regno di Napoli, I, Napoli 1813, pp. 63 s.; E. De Tipaldo, Biogr. d. Ital. illustri, III, Venezia 1836, pp. 260 s.; C. Minieri Riccio, Mem. stor. d. scrittori nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, pp. 144, 399; F. Florimo, La scuola musicale a Napoli, II, Napoli 1882, p. 316; B. Croce, La rivoluz. napol. d. 1799, Bari 1897, pp. 6 s.; N. Cortese, Eruditi e giornali letter. a Napoli nel Settecento, Napoli 1921, pp. 73 s.; G. Natali, Il Settecento, I, Milano 1929, pp. 732, 768; F. Venturi, Riformatori napol., V, Napoli 1962, pp. 794 s.

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