RIO, Antonio da
RIO, Antonio da. – Nacque a Padova, in data ignota «sul finire del secolo decimoquarto» (Roncetti, 1841, p. 43), da un ramo della nobile famiglia dei da Rio; fu fratello di Nicolò, omonimo del medico, e padre di un Giovanni Francesco, figlio naturale.
Diversamente da alcuni esponenti della sua famiglia, divenuti nel corso del XIV secolo celebri con lo studio della medicina e del diritto, intraprese la carriera militare. Non si hanno notizie sulla sua educazione, che con tutta probabilità ricevette in patria. Le vicende note della sua vita si svolsero a Roma, nella prima metà del XV secolo, durante i pontificati di Eugenio IV e di Nicolò V. Fu soprattutto durante il pontificato del primo (non a caso, veneziano) che Antonio da Rio, in un periodo caratterizzato da particolari tensioni politiche e militari, si mise in luce per due eventi.
La prima occasione fu la difesa di Castel Sant’Angelo, in un momento cruciale del papato di Eugenio IV. Nel 1433 il condottiero Niccolò della Stella (Niccolò Fortebracci), in dissidio con il papa, si alleò con Filippo Maria Visconti e iniziò una violenta campagna di conquiste: occupò i castelli limitrofi a Orvieto, assalì Sutri, proseguì verso la città di Roma, entrando in alcuni centri a essa vicini. Caddero invece nelle mani di Francesco Sforza, assoldato da Visconti, alcune città della Marca d’Ancona, dell’Umbria e del Viterbese. In questa situazione il papa fu costretto a pacificarsi con Sforza, che abbandonò il duca di Milano, ma non riuscì ad arrestare l’avanzata verso Roma di Fortebracci, al quale si era affiancato Niccolò Piccinino.
Quando Roma si ribellò a Eugenio IV, che fuggì verso Firenze nella notte del 4 giugno 1434, e il giorno successivo si cercò di assalire Castel Sant’Angelo, questo fu strenuamente difeso da Antonio da Rio e dalla guarnigione da lui comandata. Nel maggio del 1434, infatti, da Rio aveva ricevuto l’incarico di custodire la fortezza in qualità di castellano, assieme al vicecastellano e capitano della guardia inferiore Baldassarre Baroncelli. Diversi furono i tentativi e le strategie messi in atto per la conquista della fortezza: dall’assalto diretto al tentativo di affamare gli occupanti. Antonio da Rio perciò, deciso a «combattere l’arte con l’arte» (Roncetti, 1841, p. 48), mise in campo uno stratagemma, assieme a Baroncelli. Questi, uscito dal castello, si fece catturare dai rivoltosi ed espresse loro il desiderio di partecipare ai tumulti e di tradire Antonio da Rio, rimasto, a suo dire, unico fedele al potere pontificio. Baroncelli perciò, accettata la proposta di quelli di uccidere Antonio e di consegnare loro Castel Sant’Angelo in cambio di una cospicua somma di denaro, fece ritorno dal suo superiore, che ordinò di realizzare una figura con le sue sembianze e di esporla per far intendere l’avvenuta uccisione. Alcuni dei rivoltosi, così ingannati, vennero trattenuti come ostaggi da Antonio (poi scambiati con il nipote del pontefice, il cardinale camerlengo Francesco Condulmer, che era stato catturato durante gli eventi tumultuosi), mentre le artiglierie riaprivano il fuoco sui restanti. In tal modo «Eugenius in sedem Romanam Ridii beneficio restituitur» (Scardeone, 1560, p. 349).
Alcuni anni più tardi, il valore militare di Antonio da Rio si mostrò anche in un secondo evento che vide coinvolto il potente cardinale e condottiero Giovanni Vitelleschi, sospettato di tradimento nei confronti del pontefice. Il 19 marzo 1440 (ma le fonti discordano sulla data) da Rio fece prigioniero Vitelleschi, che era diretto nel Viterbese con il suo esercito e, ferito, lo portò a Castel Sant’Angelo, dove morì il 2 aprile in circostanze poco chiare. I poteri di Vitelleschi furono allora affidati all’ambizioso Ludovico Trevisan, di origine veneziana, medico di Condulmer prima dell’elezione a pontefice e protettore di Antonio da Rio; e quando Trevisan fu inviato in Romagna come legato, da Rio ricevette dal pontefice l’incarico di punire tutti i «delinquenti», laici ed ecclesiastici, che si trovavano «in Roma e suburbio, nel Patrimonio, nella Campagna e Marittima» (1° agosto 1440; Paschini, 1940, p. 150), assistito dal luogotenente e dal senatore di Roma, con la possibilità di agire in maniera totalmente autonoma nel caso in cui si fosse trovato ad affrontare operazioni di particolare segretezza.
Dopo la morte di Eugenio IV, nel febbraio del 1447, il successore Niccolò V, eletto in marzo, confermò ad Antonio l’incarico di castellano solo per pochissimo tempo, sino al mese di aprile. Sembra però che alla fine egli sia rimasto al servizio del nuovo eletto, godendo della sua fiducia, poiché il 20 marzo 1450 la Camera apostolica concesse ad Antonio la somma di 500 fiorini «per la costruzione della rocca che doveva sorgere ad Orvieto» e, giorni dopo, altri 400, «per certi negozi che doveva condurre a termine per ordine del papa» (p. 176).
Da Rio, il cui profilo sta tra quello del servitore dello Stato e quello di un militare che gode di un appoggio ‘nepotistico’ in Curia, morì intorno alla metà di settembre del 1450.
Nel suo testamento istituì erede universale il fratello Nicolò, e delle quattro fortezze in suo possesso lasciò quella di Piediluco e quella di Miranda agli eredi, quella di Ceparano a Niccolò V, quella di Castel Giubileo a Ludovico Trevisan; lasciò infine consistenti legati al figlio, ai familiari e ai domestici, e doni ai poveri e ad alcune chiese, soprattutto a quella di S. Maria in Posterula, vicina alla sua casa, e a quella di S. Maria di Montefalcone posta fuori città, dove volle essere seppellito. Venne eretta in suo ricordo, per volontà del figlio, una statua equestre nel vestibolo della basilica di S. Maria Nova al Foro Romano; un’altra statua, a lui dedicata nel 1783, si trova in Prato della Valle a Padova.
Fonti e Bibl.: F. Biondo, Historiarum ab inclinatione Romanorum imperii decades, Venetiis, per Octavianum Scotum, 1483, Liber XI, decadis tertiae, [R6]v (s.v. Antonio Rido); P. Giovio, Elogia virorum bellica virtute illustrium veris imaginibus supposita, quae apud Musaeum spectantur, Florentiae, in officina Laurentii Torrentini, 1551, Liber Secundus, pp. 87 s. (trad. it. in P. Giovio, Elogi degli uomini illustri, a cura di F. Minonzio, Torino 2006, pp. 561-563); B. Scardeone, De antiquitate urbis Patavii et claris civibus Patavinis, libri tres, Basileae, apud Nicolaum episcopium iuniorem, 1560, pp. 348-350; Diario della città di Roma di Stefano Infessura scribasenato, a cura di O. Tommasini, in Fonti per la storia d’Italia, V, Roma 1890, ad ind.; Platynae […] Liber de vita Christi ac omnium pontificum (aa. 1-1474), a cura di G. Gaida, in RIS2, III, 1, Città di Castello 1913-1932, ad indicem.
L.G. Cerracchini, Cronologia sacra de’ vescovi e arcivescovi di Firenze, Firenze 1716, pp. 138-140; L.A. Muratori, Annali d’Italia, IX, Milano 1744, p. 185; G. Gennari, Informazione istorica della città di Padova, Bassano 1796, pp. CXX s.; A. Neumayr, Illustrazione del Prato della Valle ossia Della Piazza delle statue di Padova, Padova 1807, pp. 116-119; F. Schröder, Repertorio genealogico delle famiglie confermate nobili e dei titolati nobili esistenti nelle provincie venete, Venezia 1830, pp. 205 s.; G. Vedova, Biografia degli scrittori padovani, II, Padova 1836, pp. 156 s.; A. Roncetti, Cenni biografici sopra alcuni celebri individui della nobile famiglia da Rio, Padova 1841, pp. 43-60; P. Paschini, Lodovico cardinal Camerlengo († 1465), Roma 1939, pp. 38-40, 42 s., 50-52, 59, 98, 103-105; Id., Roma nel Rinascimento, Bologna 1940, pp. 132, 146-148, 150, 171, 176; Fondazione Collegio Universitario da Rio, Padova, Padova 1956, pp. 79-81; R. Capasso, Baroncelli Baldassarre, in Dizionario biografico degli Italiani, VI, Roma 1964, pp. 434 s.; D. Hay, Eugenio IV, in Enciclopedia dei papi, II, Roma 2000, pp. 634-640; M. Miglio, Niccolò V, ibid., pp. 644-658; E. Basso, Imperiale, Paolo, in Dizionario biografico degli Italiani, LXII, Roma 2004, pp. 302-305.