ANTONIO da Pandino
Lombardo, figlio di Stefano, nei documenti è detto frate, ma probabilmente fu solo terziario, infatti non risulta mai residente in conventi. Il Monneret pensò appartenesse all'ordine dei gesuati, con i quali, particolarmente esperti nella manifattura delle vetrate, sembra abbia avuto rapporti. La sua attività è documentata dal 1475: l'Opera del Duomo di Milano gli cede vetri per la fattura di un capitolo della vetrata del Nuovo Testamento; nello stesso anno comincia la sua mediazione fra l'Opera del Duomo e i frati della Certosa di Pavia per la fornitura di vetri, di cui il duomo deteneva il monopolio. Nell'aprile del 1477 fornisce la rete di rame per la vetrata del duomo offerta dai Notai, che era stata eseguita da Cristoforo de' Mottis; nel maggio stipula un contratto con Nicolò da Varallo, relativo alle vetrate che fanno e faranno alla Certosa di Pavia, contratto da cui risulta che avevano una fabbrica a Milano. Nel 1482 compare come teste di Costantino da Vaprio e nel 1484 fa testamento. Nel 1483 insieme ad Antonio Raimondi si impegna a dipingere in oro e azzurro l'arco fra la cappella di S. Satiro e la nuova chiesa bramantesca di S. Maria. Il Calvi, pubblicando il documento, riferì le figure degli Evangelisti nei quattro pennacchi ai due artisti, senza rilevare che la volta attuale nel 1483 non esisteva. Nel 1488 viene pagato dall'Opera del Duomo per il rilevamento degli errori commessi da Giovanni Nexemperger di Graz nello studio della statica del duomo in relazione all'erigendo tiburio. Risulta inoltre che egli stesso insieme con Giovanni Molteni aveva presentato in tale occasione il progetto più ardito, proponendo una guglia alta 40 braccia, che fu criticata dal Bramante. Nel 1489 viene diffidato ad entrare nella Camera della Congregazione e nelle officine del Duomo in camposanto per il suo comportamento violento e ingiurioso contro i deputati del Duomo stesso. Benché i documenti superstiti non siano esaurienti, pare lecito dedurne che A. ebbe piuttosto la fisionomia del tecnico legato all'attività artistica che quella del pittore, ma il Monneret de Villard attribuendogli l'invenzione della vetrata del Nuovo Testamento del Duomo di Milano, in cui il Romussi aveva notato lo stile del Foppa, lo promosse fra i maggiori pittori lombardi della seconda metà del '400, parere mai condiviso da quanti presero in esame la sola vetrata che porta la firma di A., quella dell'Arcangelo Michele che atterra il demonio alla Certosa di Pavia. Essa è generalmente ritenuta del 1478, ma potrebbe essere anche più tarda; vi si palesa una diligente replica delle incorniciature architettoniche messe in uso dal de' Mottis, ma di ben più modesto slancio fantastico; le figure sono composte in una sigla araldica gradevole, sottolineata da un partito coloristico squillante ma scelto senza finezza, pur tenendo conto delle alterazioni portate dal restauro imposto dal trasporto, avvenuto in epoca imprecisata, dalla cappella di S. Michele a quella di S. Siro. Di ben altra levatura appare il complesso della vetrata del Nuovo Testamento dove pure gli sportelli sono mal giudicabili per i ripetuti restauri e per le arbitrarie integrazioni apportate dal Bertini nel 1847, quando la trasportò dal finestrone meridionale alla quinta finestra di destra. Il Ragghianti non esitò a dichiararla eseguita in massima parte su cartoni di Vincenzo Foppa, escludendo che vi si possa ravvisare in alcuna parte l'invenzione di Antonio. Inoltre, esaminando lo stile delle varie scene della vetrata, egli pensò di poter attribuire una parte dei cartoni all'attività giovanile del Foppa, anteriori alla partecipazione documentata di A., cioè al 1475. Le reazioni, spesso discordi agli studi del Ragghianti convennero in complesso nel minimizzare l'importanza di A., sul piano artistico, nel volgere i cartoni in vetrata, e non è dunque il caso di riferire in questa sede le varie ipotesi. Solo F. Mazzini, recentemente, ha riproposto la possibilità che i cartoni della vetrata del Nuovo Testamento siano stati eseguiti da A. stesso sotto l'influenza delFoppa, mentre la vetrata, della Certosa rivelerebbe la suggestione del Butinone e di B. Zenale.
La biografia di un "A. da Pandino il Vecchio" stilata dal Malaguzzi Valeri in U. Thieme-F. Becker, Allgem. Lexikon der bildenden: Künstler, II, p. 5 (riportata da A. Bessone Aurelj, in Diz. dei Pittori Italiani, Città di Castello 1928, p. 62,e da E. Bénézit in Dict. Critique, n. ed. I, p. 207) è dovuta a un errore di trascrizione di A. Nava (Memorie e documenti storici intorno all'origine, alle vicende ed ai riti del Duomo di Milano, Milano 1854, p. 186), che citò un Antonio da Pandino attivo come architetto al duomo nel 1399, mentre si tratta certamente di Antonio da Paderno; inoltre l'artista che nel 1416 lavorò forse alle vetrate della Certosa di Pavia era Stefano da Pandino e non A. come riferisce Malaguzzi Valeri.
Bibl.: Descrizione della Certosa di Pavia, Lodi 1844, p. 18; G. L. Calvi, Notizie sulla vita e sulle opere dei principali architetti, scultori e pittori che fiorirono in Milano durante il governo dei Visconti e degli Sforza, II, Milano 1865, pp. 24, 281; J. A. Crowe-G. B. Cavalcaselle, A History of Painting in North Italy, II, London 1912, p. 386; Annali della Fabbrica del Duomo, II, Milano 1877, p. 301; III, ibid. 1885, pp. 41, 49; G. Mongeri, Bramante e il Duomo, in Arch. stor. lombardo, V(1878), p. 543; W. von Seidlitz, Bramante in Mailand, in Jahrbuch der Königlich. Preussischen Kunstsammlungen, VIII(1887), p. 199; G. Carotti, Per la facciata del Duomo di Milano, in La Rass. nazionale, XLIII (1888), p. 450; L. Beltrami, La Certosa di Pavia, Milano 1896, p. 158; F. Malaguzzi-Valeri, Pittori Lombardi del '400, Milano 1902, p. 234; E. M[otta], Documenti d'arte per la Certosa di Pavia, in Arch. stor. lombardo, XXXI(1904), p. 178; C. Romussi, Le Dôme de Milan, Milano 1910, pp. 123-25; G. Biscaro, Le imbreviature del notaio Boniforte Gira, in Arch. stor. lombardo, XXXVII (1910), p. 120; U. Monneret de Villard, Le Vetrate del Duomo di Milano, I, Milano 1918, pp. 79-84; II, ibid. 1920, tavv. XLIX-LIX; F. Malaguzzi-Valeri, La Corte di Lodovico il Moro, IV, Le arti industriali, la letteratura, la musica, Milano 1923, p. 80; G. Natali, Pavia e la sua Certosa, Pavia 1925, p. 77; M. L. Gengaro, Umanesimo e Rinascimento, Torino 1940, p. 316: P. Mezzanotte-G. C. Bascapè, Milano nella Storia e nell'Arte, Milano 1948, pp. 36, 207 s.; M. Salmi, La Certosa di Pavia, Milano 1949, tav. 36; A. Morassi, La Certosa di Pavia, Roma 1950, p. 20; C. L. Ragghianti, Il Foppa e le vetriere del Duomo di Milano, in Critica d'arte, s. 4, I (1954), pp. 520-43; C. Baroni-S. Samek Ludovici, La Pittura lombarda del '400, Messina-Firenze 1952, pp. 105, 131, 140-45; C. L. Ragghianti, Postilla Foppesca, in Critica d'arte, II(1955), pp. 285-93; F. Wittgens, La pittura vetraria del Rinascimento, in Storia di Milano, VII, Milano 1957, pp. 835 ss.; R. Longhi, in Arte Lombarda dai Visconti agli Sforza (Catalogo della Mostra), Milano 1958, p. XXXIII; F. Mazzini, ibid., pp. 108-10; A. M. Brizio, La Mostra di Arte Lombarda dai Visconti agli Sforza, in Bollett. d'arte, XLIII (1958), p. 358; U. Thieme-F. Becker, Allgem. Lexikon der bildenden Künstler, II, p. 5 (sub voce A. da Pandino, d. J.); A. Bessone Aurelj, Diz. dei pittori italiani, p. 62; E. Bénézit, Dict. eritique, I, p. 207.