MARSCIANO, Antonio
da. – Figlio di Ranuccio Bulgarelli conte di Marsciano e di Angela di Beccarino da Leonessa, nacque a Migliano di Marsciano, in Umbria, il 20 dic. 1429.
Cresciuto nei domini paterni, ancora bambino gli fu promessa in sposa Paola Antonia, detta Todeschina, figlia del condottiero Erasmo da Narni (il Gattamelata), col quale la sua famiglia aveva stretti legami: la cugina della madre ne era stata sposa; lo zio Gentile da Leonessa aveva ereditato il comando della compagnia del Gattamelata al soldo di Venezia; il prozio Guerriero aveva a lungo militato con lui. Non è noto quando esattamente il M. si recò al Nord per unirsi ai parenti e intraprendere la carriera di soldato, ma certo fu mentre era ancora puer, cioè non aveva compiuto 17 anni, come lui stesso dichiarò in seguito al governo veneziano.
I suoi primi anni nell’esercito veneto sono oscuri, fino a che, morti Gentile da Leonessa nel 1453 e il figlio Giovan Antonio nel 1456, Venezia decise in questo stesso anno d’ingaggiare i loro uomini, detti «gatteschi», come lance spezzate (compagnie di uomini d’arme ingaggiate direttamente dagli Stati, che provvedevano a nominarne il comandante), col nome di Compagnia di S. Marco, di cui verso il 1459 il M. fu nominato uno dei tre governatori, per rimanerne l’unico nel 1461; oltre a questo comando a nome dello Stato il M. ebbe anche una propria condotta.
Sempre nel 1461 tornò nelle terre d’origine per sposare Todeschina e portarla con sé al Nord. I due stabilirono la loro residenza nel Veronese, a Sanguinetto, già feudo di Gentile da Leonessa, mentre nella stessa zona era acquartierata la Compagnia di S. Marco.
Nel 1463 il M. ebbe il suo primo incarico attivo e partecipò all’assedio di Trieste, durante il quale venne ferito. Nel luglio-agosto 1471, mentre Venezia appoggiava Ercole d’Este contro il nipote Niccolò nelle dispute per la successione a Borso d’Este, il M. si portò a Vigasio, ai confini con le terre del marchese di Mantova – che con Milano sosteneva le aspirazioni di Niccolò – mentre i suoi uomini furono temporaneamente dislocati nelle vicinanze. Alla fine dell’anno seguente gli fu comandato di trasferirsi nella cittadella di Verona, mal custodita, dove visse nel decennio successivo. Nella primavera del 1478 il M. dovette recarsi in Friuli a causa delle incursioni dei Turchi, in guerra con Venezia dal 1463. Fu nominato da Carlo Fortebracci, governatore dell’esercito nella regione, uno dei quattro marescialli del campo veneziano, poi si trasferì nella cittadella di Fogliano Redipuglia. Nel 1479, quando Venezia inviò Fortebracci in soccorso di Firenze, impegnata nella guerra dei Pazzi, il M. ne ereditò la carica. Siglata nello stesso anno la pace coi Turchi, in settembre la Serenissima lo stanziò tra il Vicentino e il Veronese, per doverlo però richiamare in Friuli a fine anno a causa della minaccia di un’invasione ungherese.
Mentre nei primi mesi del 1482 Venezia preparava la guerra contro il duca Ercole I d’Este, nel marzo il M. dal Veronese si spostò nel Padovano, nella zona di Castelbaldo, al confine col Polesine di Rovigo. A fine aprile fu incaricato da Roberto Sanseverino, da poco diventato luogotenente generale dell’esercito veneziano, di costruire una strada di fascine sulle paludi di Legnago, che le truppe della Serenissima attraversarono il 3 maggio, con il M. tra loro. L’esercito avanzò rapidamente in territorio estense conquistando alcune fortezze minori per poi passare, alla metà di maggio, ad assediare Ficarolo. Per assicurarsi da possibili movimenti nemici sul fianco, Sanseverino incaricò il M. di difendere Melara, dove il condottiero fece tagliare l’argine del Po per allagare la zona che lo divideva dagli avversari.
Presente all’assedio di Ficarolo, nella notte tra il 4 e il 5 giugno 1482 fu mandato a costruire un bastione su una biforcazione del Po detta Punta di Ficarolo, ma fu catturato durante un attacco nemico. Trasferito a Ferrara, fu reclamato da Milano in quanto lo aveva fatto prigioniero un fante di Gian Giacomo Trivulzio. Giunse nella capitale sforzesca il 20 giugno e fu trattenuto nella rocca di porta Giovia, dove ricevette un trattamento onorevole.
Dato il lungo servizio reso alla Serenissima, il M. fu più volte utilizzato per alcuni negoziati tra Milano e Venezia. Le trattative per il rilascio del M. si protrassero per vari mesi, non riuscendo le parti a raggiungere un accordo sullo scambio dei prigionieri, ma alla fine il M. passò al soldo di Firenze. Non si conoscono i motivi di quest’importante decisione: Ughelli ipotizzò che, in quanto suddito della Chiesa, il M. si rifiutasse di combattere papa Sisto IV, che alla fine del 1482 aveva abbandonato l’alleanza con Venezia a favore della Lega (Firenze, Milano e Ferrara); non è però da escludere che, dopo la morte di Bartolomeo Colleoni nel 1475, il M. abbia aspirato a succedergli nella carica di capitano generale, promozione a cui poteva verosimilmente ambire per via del suo lungo stato di servizio e dell’alto numero di soldati al suo comando, ma ostacolata dalla presenza di Roberto Sanseverino e Roberto Malatesta già agli stipendi di Venezia all’inizio delle ostilità con Ferrara. Una condotta affidatagli da Firenze, dove minore era la concorrenza di condottieri famosi, avrebbe offerto la possibilità di veder riconosciuto il proprio valore. Da parte sua la Lega acquisiva un condottiero esperto e buon conoscitore del territorio veneziano, dote molto utile in un momento in cui la guerra era combattuta nelle terre della Serenissima.
Poco prima che fosse liberato, i figli Ranuccio (che aveva ereditato il comando della compagnia) e Lamberto disertarono per raggiungere il padre: Venezia reagì imprigionando Todeschina e gli altri figli, che furono liberati solo nel giugno 1484. Il M. fu messo in libertà a Milano il 23 ag. 1483, giunse coi figli a Firenze il 5 settembre e il 10 firmò la nuova condotta. Subito dopo fu inviato in Lunigiana per valutare la possibilità di riacquistare Sarzana, che pochi anni prima Genova aveva strappato a Firenze, poi si spostò a Pisa, dove fino alla primavera del 1484 fu impegnato ad arruolare e organizzare la sua compagnia. Milano richiese a Firenze il suo invio in Lombardia per unirsi alle truppe impegnate contro Venezia, così alla fine di maggio partì per il Nord e il 13 giugno si congiunse al campo della Lega a Quinzano, nel Bresciano. Fino alla pace di Bagnolo del 7 agosto rimase con l’esercito collegato, e più volte Firenze si servì di lui come tramite con Ludovico Sforza, col quale durante la prigionia aveva allacciato stretti rapporti.
Dopo la pace di Bagnolo, su richiesta di Firenze il M., con Nicolò Orsini e Ranuccio Farnese, presenti in Lombardia, il 23 agosto partì con truppe milanesi, giungendo a Sarzana il 3 settembre. L’esercito dovette tuttavia trasferirsi a Pietrasanta, dove arrivò l’8 dello stesso mese. Durante l’assedio M. fu incaricato di costruire fortificazioni sui monti presso la città, ma ai primi di ottobre fu colto da febbre e dovette essere trasportato a Pisa.
Tornato al campo, il 30 sett. 1484 fu ferito da un colpo d’archibugio e il giorno seguente morì. Fu seppellito a Pisa, nella chiesa di S. Michele fuori le Mura (oggi S. Michele degli Scalzi).
Condottiero prudente e uomo colto, nel 1476, al momento della stesura del testamento, possedeva 32 manoscritti e otto libri a stampa. Tra gli autori nella sua biblioteca erano scrittori di argomento militare quali Vegezio, Frontino e il contemporaneo Roberto Valturio, e storici come Livio, Cesare, Polibio, Svetonio e Plutarco.
Ebbe nove figli che, tranne Gentile (1473-1513), seguirono il suo esempio dandosi con alterne fortune al mestiere delle armi. Tra loro Ranuccio (1462-1501) ereditò la condotta del M. con Firenze, per cui combatté a lungo, in particolare in diverse campagne della guerra di Pisa alla fine del ’400, morendo infine a Capua per una ferita mentre era agli stipendi di Napoli. Ludovico (circa 1472-1526) ricoprì alcune cariche civili per il Comune di Orvieto e militò come condottiero per Firenze e Giuliano de’ Medici. Bernardino (n. 1468) fu al soldo di Venezia, Cesare Borgia e Orvieto.
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