COSTANZI (Costanzo), Antonio
Nacque a Fano nel 1436 da maestro Giacomo e da Lucia Ciccolini, entrambi di nobile famiglia. Il padre lo indirizzò dapprima alla scuola di Ciriaco dei Pizzicolli ad Ancona e poi, dal 1450, a quella di Guarino Guarini veronese a Ferrara. Terminati gli studi fu invitato da Sigismondo Pandolfo Malatesta a Fano, ma preferì fare il tirocinio in libertà insegnando ad Arbe in Dalmazia. Dopo l'assalto delle truppe pontificie guidate da Federico da Montefeltro alla città di Fano, la sconfitta di Sigismondo e la capitolazione della città (25 sett. 1463), pare fosse proprio il C. richiamato in patria a trattare la resa.
Tale notizia, come tante altre circa la biografia del C., ci giunge attraverso la testimonianza dell'orazione funebre dell'allievo prediletto Francesco di Ottavio, noto con lo pseudonimo di Cleofilo, ma non sappiamo quanto affidamento le si possa dare.
Di certo si sa, perché la testimonianza nel panegirico del Cleofilo trova riscontro nelle fonti storiche (Archivio comunale di Fano, Resoconti degli Atti municipali, II, c. 115v), che il C. nel febbraio 1464 era pubblico precettore di grammatica e di retorica a Fano con uno stipendio di ottanta ducati.
La cultura raffinata, l'ammirazione per Federico di Urbino, l'amicizia e stima di Ludovico Odasi e Lorenzo Astemio furono garanzie per l'inserimento nella corte dell'Urbinate. Il suo impegno non rimase solo sul piano culturale, ma si mosse anche in direzione politica. Fu tra i sostenitori del partito pontificio, difensore della "libertas ecclesiastica", e pare che i suoi interventi fossero molto risoluti se è vero che egli stesso, contrariato nelle sue idee, fece richiesta di potersi trasferire, per evitare recriminazioni, a Pesaro presso Costanzo Sforza. Il Consiglio dei venticinque del Comune di Fano respinse tale richiesta e invitò il gonfaloniere e i priori ad intervenire presso lo Sforza per liberare il C. dall'impegno.
Il 17 dic. 1468 il C. ricevette Federico III, di passaggio a Fano nel corso del suo secondo viaggio in Italia, con un'orazione che colpì molto l'imperatore: inserito nel suo seguito, il C. lo seguì a Roma dove, dopo averlo laureato poeta, Federico lo nominò cavaliere.
A Roma il C. scrisse un'ode intitolata Oda dicolos tetrastrophos enuntiata ab Antonio Costantio phanestri poeta laureato in reditu Caesaris Federici tertio: ex urbe, che si conserva autografa nella Biblioteca Classense di Ravenna (ms. 74, n. 3). Tornato a Fano, il 29 maggio 1469, il C. successe a Menario de' Simonetti nel Consiglio dei cento (Archivio comunale di Fano, Resoconti degli atti consiliari, III, c. 152).
In questo periodo dovette avvenire il suo matrimonio con Taddea Pallioli, figlia del giureconsulto Paolo, ma la data non è certa: l'anno di nascita del terzogenito Giacomo (1473) è infatti in chiaro contrasto con la data delle nozze (1471) attestata da alcuni biografi (Amiani, Castaldi). Delle altre due figlie Lucrezia e Camilla, quest'ultima andò sposa a Giovanni Antonio Torello. Da questo matrimonio sarebbe poi nato il 28 ott. 1489 Lelio, che avrebbe rinverdito gli onori della famiglia materna divenendo dapprima consigliere e infine auditore generale di Cosimo I de' Medici e compilatore degli statuti dell'Ordine di S. Stefano.
Alla morte di Paolo II (26 luglio 1471) il C. fu designato quale ambasciatore del Comune al Collegio dei cardinali riuniti per scegliere il successore.
In quel periodo i Malatesta tentavano la riconquista della cittadina marchigiana. Per fronteggiare le minacce di Roberto, succeduto al padre Sigismondo morto nel 1468, mentre a Fano venivano rinforzate le difese della città, a Roma il C. si muoveva diplomaticamente nell'ambiente curiale. Buone prospettive si aprivano per il C. dopo l'elezione di Sisto IV, notoriamente amante delle arti e delle lettere. Nella politica del papa però cominciava a profilarsi la tendenza nepotista e compromissoria, palesata in questo caso da una nota conciliativa verso i Malatesta, pare con la complicità di Federico di Urbino che vedeva di buon occhio un eventuale matrimonio di sua figlia Isotta con Roberto Malatesta.
Entrato a far parte del Consiglio dei venticinque nel 1471, il C. ottenne l'incarico di dirigere i lavori di demolizione del castello delle Camminate, già dei Malatesta e donato da Pio II ai Fanesi a condizione che, dopo essere stato distrutto, si riutilizzassero i materiali per rafforzare le mura della città. Un periodo di turbolenze politiche colpì Fano nei primi mesi del 1473: dopo l'intervento pacificatore di Lupo, vescovo di Tivoli, che svolgeva l'incarico di governatore pontificio di Fano, e del predicatore francescano frate Arcangelo, nel mese di aprile il Consiglio dava incarico a sei cittadini di chiara e assoluta morigeratezza di occuparsi del problema e di proporre una serie di riforme politiche. Il C. fu uno dei prescelti. L'anno seguente veniva eletto tra i Priori e il 20 ott. 1474 coronava la sua carriera politica divenendo gonfaloniere.
L'ormai palese nepotismo di Sisto IV preoccupava i Fanesi specialmente alla luce della sorte toccata a Senigallia, ma il pretestuoso invio del vescovo di Città di Castello Giovanni Gianderoni, come governatore di Fano non li colse di sorpresa. Il prelato fu cacciato via e il Consiglio inviò al papa un'ambasceria con a capo il Costanzi. Anche questa missione ebbe successo e Fano poté conservare la sua autonomia.
Il C. rappresentò il Comune di Fano in occasione del matrimonio dei principe Costanzo Sforza con Camilla, figlia del duca di Sessa Marino Marzano e nipote del re Alfonso d'Aragona, che si celebrò a Pesaro nel 1475; compose allora un'ode intitolata Ode in Constantii Sfortiae et Camillae Aragoniae laudem. Nel 1476 ricoprì di nuovo l'incarico di priore e nel 1480 fu ancora gonfaloniere. Nel 1481 fu incaricato di fronteggiare il partito malatestiano che, specialmente nelle campagne, andava raccogliendo pericolosi consensi, e alla fine dello stesso anno si occupò della fabbrica del porto. Il 21 sett. 1486 richiese la convocazione del Consiglio generale e qualche settimana più tardi presentò le dimissioni da pubblico insegnante di Fano. Il C. voleva infatti trasferirsi a Cesena, dove gli si prometteva tra l'altro uno stipendio più alto. Nel Consiglio si discusse a lungo e alla fine prevalse a larghissima maggioranza la tesi che non fosse onorevole perdere tanto illustre personaggio: per far svanire ogni ripensamento fu offerto al C. un aumento di stipendio di cento ducati annui.
Negli ultimi anni della sua vita rari si fecero i suoi interventi pubblici. Poche settimane prima di morire prendeva in Consiglio le difese dei priori ai quali il governatore aveva sequestrato il salario e proponeva di risolvere il problema inviando una commissione al papa. Il 28 apr. 1490, a seguito di una improvvisa e grave malattia, il C. morì a Fano; le solenni esequie furono celebrate nella chiesa di S. Francesco.
Il 2 maggio il Consiglio speciale fece la commemorazione. Cleofilo, suo fido discepolo, che si trovava lontano da Fano, compose un'orazione funebre intitolata Oratio ad Senatum Fanensem Antonii lazides continens. Il figlio del C., Giacomo, stampò poi l'opera presso il Soncino (1502), in memoria anche del discepolo morto poco tempo dopo il maestro. Oltre a Cleofilo, il C. ebbe allievi che si affermarono anche fuori dell'ambito municipale: furono Giovanni Antonio Torello, suo genero, Giovan Battista Martinozzi, Zagarello Cambitelli e Matteo Nuti che avrebbe poi collaborato con Leon Battista Alberti nella progettazione ed edificazione di S. Francesco a Rimini; né si può dimenticare tra gli allievi del C. suo figlio Giacomo.
Il C. fu magister scholarum dalla caduta dei Malatesta alla sua morte. Il suo metodo di insegnamento lo derivò dalla scuola guariniana. Allestì nella sua casa una biblioteca molto ricca che volentieri metteva a disposizione di studiosi e discepoli. Principi e papi lo tennero in alta considerazione e stima: Federico d'Urbino, l'imperatore Federico III, i papi Sisto IV, Pio Il e Innocenzo VIII.
Prima che il Campana nel 1950 analizzasse la figura e soprattutto le opere del C., nessuna puntualizzazione era stata fatta sui codici contenenti opere dell'umanista fanese. Nel 1926 il Mercati si chiedeva se fosse autografo del C. il rifacimento del De Obsidione Anconae di Boncompagno (Bibl. Ap. Vat., Vat. lat. 3630) e, rimandando come termine di confronto al codice contenente le chiose ai Fasti di Ovidio (Ibid., Chigiano H VI 204), tendeva ad escluderlo. Da una puntuale ricognizione di questo secondo codice procedette la ricerca del Campana che ha dato risultati nuovi e particolarmente interessanti. A proposito delle opere autografe del C., il Campana aveva già escluso con certezza che un altro codice della Biblioteca Oliveriana di Pesaro, contenente la descrizione delle nozze di Costanzo Sforza (Oliv. 962) fosse stato scritto dal C., contrariamente a quanto afferma il Castaldi che dubitava dell'attribuzione letteraria, ma accettava quella grafica. Nel codice Chigiano si possono cogliere dei riferimenti biografici che l'umanista fanese scrisse di sua mano, in particolare, sulla sua biblioteca e sulla nascita del figlio Giacomo.
Un secondo codice preso in considerazione dal Campana contiene quella che è ritenuta la sua opera maggiore, il commento ai Fasti ovidiani, che il C. depositò nella biblioteca del duca Federico di Urbino (ora nella Bibl. Ap. Vat., Urb. lat. 360) e che lo studioso propende a considerare autografo. Il commento è datato 1480, con segni di continue revisioni cui fu sottoposto il testo ed appaiono quanto mai approssimative e superficiali le considerazioni del Castaldi che di certo non si curò di consultare questo codice, visto che data l'ultima redazione dei commento agli anni 1459-63. Non solo, ma si potrebbe affermare con sicurezza che l'ultima redazione si ebbe con l'editio princeps del 1489 (Ad illustrissimum principem Federicum ducem Urbini …, Antonii Constantii Fanensis praefatio in commentarios "Fastorum Nasonis", impressum Romae per Lucarium Silber alias Frank natione alemannum: ab annos nostrae salutis MCCCCLXXXIX die vero veneris XXIII mensis octobris". Alla luce di questi motivi diventa più difficile comprendere le recriminazioni addotte dal C. nei confronti di Paolo Marso da Pescina che nel 1482 aveva pubblicato a Venezia un commento ai Fasti ovidiani (Fastorum libri sex cum comm. Pauli Marsi). Il C., in una sua lettera del giugno 1482 a Zagarello Gambitelli, difende la priorità del suo lavoro, ricordando che il suo commento giaceva da tempo nella biblioteca di Urbino, e cita a testimoni del fatto Lodovico Odasio e Lorenzo Astemio. In realtà dall'ultima data annotata sul codice era passato poco più di un anno. In questo codice abbiamo la testimonianza di una notevole eleganza scrittoria che appare perfettamente coerente con la figura di umanista del Costanzi. In un terzo codice, proveniente dall'abbazia di San Martino di Massay, è presente la sua scrittura. Il testo è stato rinvenuto dal Campana nella Biblioteca Vaticana (Vat. lat. 3324). Si tratta di un codice del secolo XI-XII, contenente le opere di Cesare, ed appare interessantissima un'integrazione al Bellum Hispaniense (non a caso citato nel commento ai Fasti) fatta dal Costanzi. Il suo lavoro su questo codice è ben testimoniato da numerose note e correzioni. Con molta probabilità il manoscritto passò in Italia nel XV secolo e, a parte l'utilizzo, è quasi certo il possesso del testo da parte del C.; di sicuro sappiamo che appartenne a mons. Giovanni Tonsi vescovo di Fano dal 1445 al 1482. È facilmente ipotizzabile infatti un trasferimento di un così importante codice nella biblioteca del C. alla morte del Tonsi.
Nel 1502 presso il Soncino a Fano vedeva la luce l'Epigrammatum libellus, contenente opere del C.: oltre agli epigrammi figurano due odi, la prima di esaltazione dei principi cristiani contro i Turchi e la seconda in lode del matrimonio tra Costanzo Sforza e Camilla d'Aragona; seguono tre lettere, due delle quali sono da lui indirizzate al vescovo di Viterbo e la terza a Galeotto Manfredi; inoltre, sempre dello stesso C., sono commenti ad opere di Cicerone, orazioni funebri e di glorificazione di s. Francesco, del beato Nicola e della Madonna e in fine l'orazione funebre scritta dal Cleofilo e alcuni epigrammi del figlio Giacomo, curatore dell'edizione.
Il Castaldi nella sua monografia sul C. riporta nell'appendice bibliografica (pp. 67-80) oltre all'elenco dei carmi editi dal Soncino quelli del codice n. 74 della Biblioteca Classense di Ravenna, molti dei quali inediti. Si tratta in totale di centotrentatre titoli che indicano la prolifica produzione del Costanzi. Tra i destinatari, oltre agli amici e concittadini, si incontrano personaggi illustri come Borso d'Este, l'imperatore Federico III, Paolo II, Federico da Montefeltro, Sisto IV, Francesco Sforza, Innocenzo VIII. La monografia si conclude con un saggio bibliografico del commento dei Fasti dalla prima edizione del C. (1489) a quella del 1727 a cura di Pietro Burmanno (P. Ovidii Nasonis Opera omnia... cum notis variorum, cura et studio Petri Burmanni, Amstelodami MDCCXXVII) nella quale il C. viene citato insieme a Paolo Marso. Sempre nella stessa opera il Castaldi riporta (pp. 50-66) la trascrizione del codice Vat. lat. 3630 che, come abbiamo visto, riguarda l'assedio subito da Ancona nel 1172 da parte dei Veneziani. Il Castaldi è sicuro trattarsi di un rifacimento dell'opera del Boncompagno, realizzato e trascritto dal C.; altri biografi, in particolare il Mercati, si sono dichiarati convinti del contrario; il Campana non esclude possa trattarsi della scrittura giovanile risalente agli anni '60.
L'opera del Castaldi è stata comunque utilissima perché ha restituito i contorni di una figura di umanista che, anche se non di prima grandezza, ha indubbiamente svolto un ruolo importante e decisivo nella vita di Fano, polarizzando sulla sua personalità per una generazione interessi di natura politica e culturale e lasciando alla sua morte una tradizione degna di considerazione. Prima dell'intervento dei Castaldi, per la verità, sull'umanista fanese si avevano poche e confuse notizie. Infatti la citazione che Paolo Marso gli aveva fatto nella sua prefazione ai Fasti, dove lo aveva ricordato insieme al giovane Antonio Volsco detto il Privernate dalla località laziale donde era originario, accademico pomponiano e anch'egli interessato ad Ovidio (scrisse un commento alle Eroidi), aveva causato, per un errore del Tiraboschi, una identificazione di persone per cui nella sua storia letteraria del Quattrocento, oltreché dimenticato, il C. fu confuso con il suddetto accademico pomponiano. In realtà il Crescimbeni (a parte l'errore del nome paterno) diede nei suoi Commentari notizie precise, e lo stesso aveva fatto il Quadrio; purtroppo però l'autorità del Tiraboschi avrebbe perpetuato in molti altri scrittori (B. Pecci, A. Della Torre) l'errore.
Bibl.: G. Saracini, Notizie istoriche della città di Ancona, Roma 1675, pp. 124, 138, 145; S. Saldini, Fasti consolari dell'Accademia Fiorentina, Firenze 1717, p. 132; G. M. Crescimbeni, Commentari della volgar poesia, IV, Venezia 1730, p. 273; F. S. Quadrio, Della storia e della ragion d'ogni poesia, II, Milano 1741, p. 203; P. M. Amiani, Mem. istor. della città di Fano…, II, Fano 1751, p. 24; A. Zeno, Lettere. Venezia 1785, pp. 243 ss.; F. Vecchietti-T. Moro, Biblioteca Picena, o sia notizie istor. delle opere e degli scrittori piceni, III, Osimo 1793, p. 313; G. Tiraboschi, Storia della letter. ital., VI. 3, Firenze 1809, p. 928; S. Tornani Amiani, Mem. biografiche di A. C. di Fano, poeta laureato delsecolo XV, Fano 1850, pp. 9-10; G. Manzoni, Annali tipografici dei Soncino, III (1883), pp. 11-17; A. Zonghi, Repertorio dell'Arch. comunale di Fano, Fano 1888, pp. 11, 181; A. Saviotti, Una rappresentazione fanese del 1491, in Strenna del Gazzettino, Fano 1895, pp. 14 ss.; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1898, p. 222; L. Piccioni, Di Francesco Uberti umanista cesenate, Bologna 1903, pp. 3, 121, 124; A. Della Torre, Paolo Marsi da Pescina, Rocca San Casciano 1903, p. 103; B. Pecci, A. C. Volsco Privernate, in "L'umanesimo e la, Cioceria", Trani 1913, pp. 15 ss.;G. Castaldi, A. C. da Fano e Antonio Volsco da Piperno, in Rass. critica della lett. ital., XIX(1914), pp. 255-261; Id., Studi e ricerche della R. Deput. di storia patria per le Marche, X (1915), pp. 269 s.; Id., Un letterato del Quattrocento (A. C. da Fano), in Rendiconti d. Acc. naz. d. Lincei, s. 5, XXV (1916), pp. 265-340; G. Castellani, A. C., in Gazzettino (Fano), XXIV (1917), nn. 30-33, 3637; V. Bartoccetti, Le orazioni nuziali dell'umanista A. C. da Fano, Fano 1923; A. Mabellini, Le poesie di G. Torelli cancelliere fanese del sec. XV, in Studia picena, III (1927), pp. 57-72 passim;A. Campana, Umanisti chiamati alla scuola di Cesena nel 1486, Cesena 1928, p. 23; R. Sabbadini, Classici e umanisti da codici ambrosiani, Firenze 1933, pp. 119-122 (rielaborazione più ampia de Il Fanense e Nicola Volpe, in Giorn. stor. della lett. ital., XLVI [1905], pp. 75 ss.); G. Mercati, Opere minori…, IV, Città del Vaticano 1936, p. 319 n. 5; A. Campana, Scritture di umanisti, A. C., in Rinascimento, I(1950), pp. 236-256.