CORTESI (Cortese, Cortesius), Antonio
Nacque agli inizi del sec. XV, probabilmente a San Gimignano, da Bartolomeo.
La sua famiglia si era trasferita da Pavia a San Gimignano, dove agli inizi del Quattrocento era tra le prime per ricchezza e risiedeva nel proprio palazzo - un antico castello restaurato - di piazza della Cisterna. Il C. potrebbe essere nato anche nella città di Pavia, visto che pavese è detto nella bolla di Nicolò V del 31 maggio 1447, di cui si parlerà più innanzi, che ne attesta anche la paternità; del luogo di nascita del C. non fa cenno il figlio Paolo, che si limita ad affermare che la sua famiglia si era trasferita da San Gimignano a Roma intorno al 1430. Comunque la notizia dell'origine modenese dei Cortesi, riportata dal Tiraboschi (p. 2781, è da riferirsi ad una delle tante tarde tradizioni municipali fiorite ex-novo nel Settecento intorno ad illustri personaggi del passato; del pari improbabile è la notizia riferita dal Coppi, secondo cui il C. sarebbe stato figlio di uno Iacopo il quale, fuggito da Pavia in seguito a un delitto d'onore, chiese nel 1447 la cittadinanza di San Gimignano.
Nulla sappiamo della giovinezza e degli studi del C.: certo è che egli dovette godere di una buona educazione letteraria, e che fu inizialmente avviato alla carriera ecclesiastica. Infatti verso la fine del terzo decennio del secolo si trasferì a Roma e vi trovò impiego presso la Curia: quasi certamente è lui l'"A. Cor." referendario nel 1429 e nel 1430 (Antonazzi, p. 215 n. 169), durante il regno di Martino V, anche se, il suo nome compare per esteso solo molto più tardi, il 23 apr. 1446, in margine a una bolla di Eugenio IV (Arch. Segr. Vaticano, Reg. Later. 429, f. 5). Continuò poi la sua carriera curiale sotto una lunga serie di papi, fino alla morte avvenuta sotto il pontificato di Sisto IV.
Ben poco comunque sappiamo anche di tale carriera: il figlio Paolo ricorda che il C. fu abbreviatore, poi capo degli abbreviatori e maestro universalmente riconosciuto nello stile - che Paolo personalmente assai poco apprezzava - dei documenti di Curia. Altra luce, per la ricostruzione di una biografia che resta comunque assai scarna, è la bolla emessa il 31 maggio 1447 da Nicolò V, con cui il pontefice gli concede di potersi sposare, anche eventualmente con una vedova, senza dover per questo perdere l'ufficio: da essa risulta che il beneficiario era chierico di Pavia, "magister" abbreviatore delle lettere apostoliche alle dipendenze del vicecancelliere card. Francesco Condulmer, e che non godeva di alcun beneficio ecclesiastico (Arch. Segr. Vat., Reg. Later. 443, f. 23v). In effetti, il C. sposò in seguito una fiorentina, Tita Aldobrandini, da cui ebbe quattro figli: il più noto Paolo, gli umanisti Alessandro e Lattanzio, e Caterina, che fu moglie dello scrittore apostolico Antonio Maffei, fratello di Raffaele.
A quanto attesta Paolo il C., una volta conquistatasi la fama di grande maestro di scrittura curiale, si arricchì attendendo infaticabilmente al lavoro e agli affari, raggiungendo una notevole agiatezza. Da un aneddoto narrato a questo proposito dal figlio sembra che il critico dell'"epicureo" Valla si atteggiasse per suo conto a stoico: a chi gli chiedeva perché, pur così ricco, rinunciasse finanche a sedersi a tavola per aver più tempo da dedicare ai suoi affari, avrebbe risposto che per lui il fine delle ricchezze era posto più "in virtutis utendae quam in voluptatis perfruendae ratione" (De Cardinalatu).
Il C., nonostante la sua intensissima attività romana, non dovette interrompere i rapporti con San Gimignano, dove dovette soggiornare spesso e mantenere il controllo e l'amministrazione della proprietà della famiglia, di cui era il capo: ciò appare non solo dal fatto che il figlio Alessandro gli nacque probabilmente nella città toscana, ma anche da una lettera, datata da "Monte Cortese" (probabilmente la residenza gimignanese dei Cortesi) l'8 dic. 1462 e indirizzata a Giovanni di Cosimo in cui il C., raccomandando al Medici una nipote, gli assicura la stretta fedeltà di tutto il proprio casato (F. Pintor, Da lettere inedite di due fratelli umanisti, Alessandro e Paolo Cortesi, Perugia 1907, p. 15). A meno che non possedesse una residenza anche a Firenze, fu certo nel castello di San Gimignano che il C. ospitò Poliziano fanciullo, come l'Ambrogini ricorda orgogliosamente in una lettera del 27 agosto 1486 ad Alessandro e Lattanzio Cortesi ("Ego vel inde ab ineunte adulescentia in vestram familiam a clarissimo patre vestro sum cooptatus ...": Paschini, p. 6 n. 21) da cui sappiamo anche che il C. aveva assunto come istitutore dei figli il dotto Gioviano Crasso, intimissimo del Poliziano.Ignoriamo la data e il luogo della morte del C., avvenuta comunque poco prima dell'11 ag. 1474, data in cui Sisto IV concesse a Nicolò Pandolfini l'ufficio di scrittore apostolico appartenuto al C. e vacante poiché il titolare era morto, fuori della Curia (Arch. Segr. Vaticano, Reg. Vat. 563, f. 235).
La notorietà del C. è legata non solo all'essere stato il progenitore di una famiglia di umanisti, ma anche alla redazione della prima invettiva conosciuta contro la famosa Donazione di Costantino di Lorenzo Valla. Pur se fu il primo, certo iniziò a scrivere le poche pagine del cosiddetto Antivalla, per sua stessa attestazione (f. 496), dopo la morte di Pio II e quindi quasi un quarto di secolo dopo la pubblicazione dell'operetta dell'avversario. Lo scritto del C., giacente nei ff. 491-99 del cod. 582 (sec. XV) della Bibl. capitolare di Lucca, da cui fu pubblicato nel 1950 dall'Antonazzi, porta il titolo di VIII Folia Antivallae Antonii Cortesii: il titolo è probabilmente dell'erudito vescovo di Lucca Felino Sandeo, che legò il codice alla Capitolare. Dell'opera, rimasta interrotta - secondo una nota del Sandeo a f. 499 - per la morte dell'autore, ci resta unicamente una sorta di prefazione in cui il C. si scaglia violentemente contro il Valla senza però confutare i contenuti ideologici e filologici della Donazione e limitandosi a denunciare, da buon curiale, la virulenza del tono e l'ardire di chi aveva osato mettere in dubbio la legittimità dell'operato di autorità supreme quali pontefici e imperatori.
Data la povertà del contenuto e l'incompiutezza dell'opera, non meraviglia che essa per lungo tempo, fino all'Antonazzi, sia rimasta in ombra, più per disinteresse che per oblio degli studiosi: essa comunque fu nota a G. Tiraboschi (p. 279) e a G. D. Mansi (in Io. A. Fabricius, Bibl. Lat. mediae et infimae Latinitatis, VI, Florentiae 1858, p. 574).
Nello stesso cod. 582 della Capitolare, ai ff. 270-74, è trascritto un discorso anonimo Quod Papa praesit temporalibus contra Laurentium Vallam, pronunziato in S. Pietro davanti al papa e al Collegio cardinalizio, attribuibile però, più che al C., al figlio Alessandro, che predicò più volte nella basilica vaticana.
Nulla, infine, sappiamo di un libro Institutionum moralium che al C. è attribuito, in base a fonti ignote, da G. V. Coppi.
Fonti e Bibl.: Fondamentali, per la ricostruzione della biografia del C., sono i saggi di G. Antonazzi, L. Valla e la donazione di Costantino con un testo inedito di A. C., in Riv. di storia della Chiesa in Italia, IV (1950), pp. 186-234, e di P. Paschini, Una famiglia di curiali nella Roma del Quattrocento: i Cortesi, ibid., XI (1957), pp. 1-5, 6 n. 21. Si vedano inoltre: P. Cortesi, De Cardinalatu, in Castro Cortesio 15109, f. LXVII; Id., Dehominibus doctis, Florentiae 1734, p. 47; G. V. Coppi, Annali ... di Sangemignano, Firenze 1695, p. 339; G. Tiraboschi, Storia d. letter. ital., VI, I, Venezia 1795, pp. 279 s.; B. Katterbach, Referendarii utriusque Signaturae, Romae 1931, pp. 6, 357; Id., Sussidi per la consultazione dell'Archivio Vaticano, II, Roma 1931, pp. 6, 18, 23, 28, 357; P. Guicciardini, Cusona, Firenze 1939, p. 29.