COLONNA, Antonio
Appartenente al ramo di Genazzano della famiglia, figlio di Lorenzo Onofrio e di Sveva Caetani, nacque probabilmente fra la fine del XIV e l'inizio del XV sec.
Nipote di Martino V, il papa eletto a Costanza l'11 nov. 1417, il C. fu uno dei soggetti attivi attraverso i quali operò il nepotismo del pontefice. Questi aveva intrapreso il suo viaggio verso Roma quando nell'agosto 1418 inviò il C. a Napoli. Egli recava a Giovanna II la bolla di amicizia con cui si instaurava fra il papa e la sovrana quella politica di sostegno reciproco che sarebbe durata qualche anno. La regina dette subito al C. un segno della sua benevolenza, creandolo vicegerente del ducato di Calabria. Circa due mesi più tardi il C. ritornò a Napoli. Vi arrivò il 28 ottobre, quando lo scontro fra ser Gianni Caracciolo e Muzio Attendolo Sforza stava per risolversi in favore di quest'ultimo; egli convinse la regina ad accogliere lo Sforza nell'"unione" dei cittadini napoletani che stavano stringendo allora accordi con la sovrana. Si recò quindi ad Acerra e ricevette il giuramento di fedeltà del condottiero, il quale aveva ottenuto l'allontanamento di ser Gianni da Napoli. Quando quest'ultimo partì dalla città il 13 novembre, ufficialmente per riconsegnare al papa Castel Sant'Angelo, Civitavecchia e Ostia, ancora presidiati dalle truppe napoletane, il C. faceva parte dei suo numeroso seguito. Nello stesso mese il papa da Mantova emanava le bolle d'investitura per la sovrana angioina. Fu incaricato di recarle alla regina il cardinale Pietro Morosini. Lo accompagnavano il C. e lo zio Giordano. Il C., arrivato a Napoli il 24 genn. 1419 ne ripartì nell'aprile, dopo aver ottenuto la liberazione di Giacomo di Borbone.
Divenuto il 5 maggio 1421 governatore e podestà di Orte, nel 1424 il C. ereditava dallo zio Giordano il principato di Salerno e veniva in possesso, per concessione papale, del castello di Sortano. Nello stesso anno seguì Paolo Emigli nelle Marche, dove questi era stato inviato dal papa per recuperare al potere temporale le terre sottratteglisi. Alle sue azioni belliche si dovette il recupero di Apiro. Era all'assedio di Arquata del Tronto, quando fu richiamato nel luglio 1425 dal pontefice. Questi intanto aveva cercato di ottenere per il nipote alcune località del Regno, già appartenenti a Francesco Mormile e a Tommaso Sanseverino, i quali le difesero strenuamente.
Il 25 aprile del medesimo anno la regina Giovanna II aveva dato il suo assenso per il matrimonio del C. con Giovannella, figlia di Nicola Ruffo, marchese di Crotone e conte di Catanzaro. Gli sponsali si sarebbero dovuti celebrare entro un anno e mezzo e la sposa, se non fossero sopravvenuti fratelli maschi, avrebbe ereditato i beni feudali. I due sposi avrebbero assunto il doppio cognome di Colonna-Ruffo e avrebbero inquartato le armi. La dote era di 5.000 fiorini d'oro e 3.000 di gemme. Il matrimonio però, rimandato per la giovane età della ragazza, poi non avvenne per l'uccisione di questa da parte dei tutore.
Intanto il C., aiutato dal favore del pontefice, badava ad accrescere la fortuna della famiglia. Nel 1425 il papa concedeva in feudo perpetuo, dietro richiesta della cittadinanza stessa, Paliano e Serrone al C. e ai fratelli, Odoardo e Prospero. L'anno successivo il C., a nome suo e dei fratelli, acquistati Sarno e Palma il 6 dicembre, li permutava il 15 dicembre con i castelli di Nettuno e di Astura. Il 27 dello stesso mese acquistava il castello di Rocca di Papa e il 12 febbraio dell'anno successivo parte della mola di Morlupo e il castello del Monte della Guardia.
Il 1° giugno 1427, per volere del pontefice, i beni dei Colonna di Genazzano, al cui ramo appartenevano sia, il C. sia Martino V, furono divisi fra il C. e i suoi due fratelli. Una parte del patrimonio, costituita dai possedimenti di Genazzano, Cave, Rocca di Cave, Olevano, Capranica, San Vito, Pisciano, Ciciliano, Paliano e Serrone, doveva rimanere indivisa fra i tre congiunti. Al C. personalmente toccarono inoltre Santo Stefano, Morolo, la metà di Supino, Trivigliano, Monte San Giovanni, Strangolagalli, Carpino, Guercino, Collepardo, Ripi, Fumone, Ferentino, Alatri, Veroli, Mugnano, Nettuno e Astura, la maggior parte dei quali possedimenti gli dava la possibilità di comunicare facilmente con i suoi beni nel Regno.
La serie degli acquisti non era peraltro finita, ché fra il 1427 e il 1428 il C. comperava, sempre a nome suo e dei fratelli, ancora casali, città (Nepi) e castelli, fra cui quelli di Filacciano, Nemi e Genzano.
Intanto, dopo l'effimera pace con il Visconti del 30 dic. 1426 i Fiorentini vollero fare al papa un atto di omaggio, offrendo ai tre nipoti, il C. e i fratelli, nel 1427 la cittadinanza fiorentina. Il C. si recò anzi due anni più tardi nella città toscana, dove gli si portarono incontro, ai confini con Siena, Palla di Nofri Strozzi e Rinaldo degli Albizzi e dove fu magnificamente alloggiato nel palazzo degli Scolari a spese del Comune.
Alla morte di Martino V (20 febbr. 1431), il C. e i fratelli, notevolmente ricchi, potenti signori di numerose località nel Lazio e nel Regno, erano anche depositari di denari e di tesori della Chiesa e con le loro milizie presidiavano Castel Sant'Angelo, Ostia e altre fortificazioni nel Lazio e nelle Marche. Il nuovo pontefice, Eugenio IV, ottenne da loro l'immediata restituzione delle rocche nel territorio romano. Li accusò però di essersi impadroniti di denari destinati alla guerra contro il Turco e di tesori della Chiesa, che Martino V era solito tenere nel palazzo Colonna ai SS. Apostoli, dove alloggiava. Inoltre il papa procedette all'arresto di alcuni famigli dei Colonna e pretese la restituzione di molte località che, sostenne, Martino V aveva concesso ai parenti illegittimamente. I Colonna allora si armarono e, concentrarono le loro forze a Marino, aggregando intorno a sé i Conti, i Caetani, i Savelli. 11 23 aprile il C. prese d'assalto porta Appia (ora porta S. Sebastiano) e l'esercito dei ribelli penetrò in città fino a palazzo S. Marco, ma poi dovette retrocedere e abbandonare l'Urbe, mentre le case dei Colonna venivano saccheggiate. I tre fratelli furono allora citati dal papa, perché venissero a discolparsi; non presentatisi, furono scomunicati con bolla del 15 maggio. Essi rimanevano però militarmente padroni della Campagna romana. In aiuto del papa Giovanna II inviò allora lacopo Caldora, che si impadronì di parecchie località dei Colonna. Nel frattempo la regina incaricò Petriccone Caracciolo di sequestrare Salerno, Cava, Castellammare e in breve tutti i possedimenti dei C. nel Regno. Ammansito il Caldora con denaro, i Colonna dovettero poi affrontare Niccolò da Tolentino, inviato dai Fiorentini in soccorso del papa. Si giunse alla pace il 22 settembre. Al C. fu imposto il pagamento di ben 75.000 ducati e la restituzione di tutte le rocche pontificie. Il principato di Salerno non gli fu reso e inoltre il 22 dicembre dovette pagare altri 35.000 scudi, per i quali il C. fece redigere un atto di protesta il 16 febbr. 1432, dichiarando di essere stato costretto a un pagamento ingiusto. Il giorno dopo vendeva, a nome suo e dei fratelli, probabilmente per sottrarle alla confisca, Ardea e Frascati. Il 12 settembre dello stesso anno Eugenio IV assolveva di tutte le colpe di cui erano stati accusati il C. e i fratelli.
Intanto Giovanna II, morto ser Gianni Caracciolo, pareva disposta a rinnovare l'adozione di Alfonso d'Aragona e questi era sollecitato a tornare nel Regno da molti baroni e anche dal C., che gli promise di mantenere a sue spese per quattro mesi cinquecento cavalli e quattrocento fanti, se egli fosse sbarcato nel Regno. Il re in cambio promise al C. la restituzione del principato di Salerno e del contado di Sanseverino.
Quando nel 1433 Niccolò Fortebraccio, aizzato da Filippo Maria Visconti e spacciandosi per l'inviato del concilio di Basilea, si avvicinò bellicosamente a Roma, i Colonna si unirono a lui, ancora una volta ribelli al papa. Il 25 agosto il C. era all'assalto condotto da Fortebraccio a ponte Molle. Seguì poi il condottiero quando questi, assediato dal Vitelleschi, si rifugiò a Genazzano e poi a Tivoli. Il 9 ottobre il papa lanciò di nuovo la scomunica contro i Colonna. Con ogni probabilità successivamente il C. seguì le sorti della famiglia, ma non fino alla distruzione di Palestrina (1436) da parte del Vitelleschi, poiché intanto era morta Giovanna II (2 febbr. 1435) e il C. aveva immediatamente offerto il suo aiuto ad Alfonso d'Aragona, che nello stesso anno lo nominò viceré di Principato. Con il re il C. partecipò alla battaglia di Ponza (5 ag. 1435) e fu uno dei pochi gentiluomini che sfuggirono alla cattura. Quando nel 1436, il sovrano liberato tornò a Gaeta, il C. fu subito con lui. Il 6 sett. 1437 furono firmati i capitoli con i quali il sovrano prometteva al C. la restituzione di Salemo e la condotta di 300 lance da tenere nella Campagna romana.
Il C. tuttavia non recuperò il principato di Salerno e per alcuni anni non si hanno notizie di lui.
Nel 1447 egli perse la seconda moglie, Antonella Cantelmo, che fece testamento l'11 gennaio, istituendo erede la suocera, Sveva Caetani. Nel medesimo anno il nuovo papa, Niccolò V, gli confermò tutti i possessi. Iniziata sotto il pontificato di questo papa una annosa lite fra il C. e i Caetani per il possesso di Ninfa, essa proseguì sotto Callisto III, che l'11 sett. 1455 emanava una bolla perché i due contendenti sospendessero le ostilità, che in effetti cessarono, rassegnandosi il C. ad avere la peggio. Comunque il C. e Onorato Caetani arrivarono il 12 genn. 1458 a stringere un patto di pace e di alleanza.
Nel dicembre di quell'anno Pio II nominò il C. prefetto di Roma e, recatosi nel 1459 il pontefice a Mantova per la Dieta, accompagnato anche dal cardinale Prospero, il Senato veneto ascrisse il C. e i fratelli al patriziato veneziano, nel gennaio del 1460.
Era morto intanto Alfonso d'Aragona ed era iniziata la guerra di successione nel Regno. Il C. e il fratello Odoardo sostennero Giovanni d'Angiò, ma Pio II, il 25 marzo 1461, fece sì che arrivassero a una rappacificazione con Ferdinando d'Aragona e con gli Orsini, che avevano parteggiato per quest'ultimo. I buoni rapporti fra questo pontefice e il C. non erano però del tutto sinceri, se è vero che alla morte del cardinale Prospero, nel 1461, il papa inviò nell'abitazione di lui cinquecento armati con l'intento di recuperare i denari di Martino V e che il C. evitò di farsi trovare in casa in quell'occasione.
Anche se non riebbe mai il principato di Salerno, il C. instaurò poi con il re Ferdinando rapporti amichevoli, tanto è vero che accompagnò a Milano nell'aprile del 1465 Federico d'Aragona, quando questi vi si recò a prendere Ippolita Sforza, futura sposa di Alfonso d'Aragona. Il C. tornò da Napoli nei suoi possedimenti nel gennaio del 1466, rimanendo sorpreso durante il viaggio da un terremoto.
Morì il 25 febbr. 1472 e fu seppellito nella chiesa di S. Nicola a Genazzano.
Nel 1449 aveva sposato in terze nozze Imperiale Colonna; ebbe numerosa prole: Giovanni, Pierantonio, Prospero, Antonina, Caterina, Vittoria, Paola, Antonia e Girolamo e Sveva, naturali.
Fu cantato, insieme con lo zio pontefice, in una canzone di Ciriaco d'Ancona, che lo disse destinato a grandi imprese e ornato di molte virtù.
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