CISERI, Antonio
Nacque a Ronco sopra Ascona, in Canton Ticino, il 25 ottobre del 1821, da Giovanni Francesco e da Caterina Materni. Nel 1833 egli si trasferì a Firenze, condottovi dal padre, artigiano decoratore di stanze, ma anche pittore estemporaneo (suo, ad esempio, un Autoritratto del 1840 oggi in casa Ciseri a Ronco). Il C. fu posto immediatamente ad apprendere il disegno privatamente presso il suo primo maestro, che probabilmente fu Emesto Buonaiuti, e rimase sempre estraneo all'attività della bottega fiorentina del padre e del nonno paterno Francesco Antonio discendenti da una famiglia da lunga tradizione operante a Firenze nel campo della decorazione di interni (sembra, per esempio, che gli stemmi dipinti sotto il ballatoio merlato del Palazzo Vecchio a Firenze siano stati eseguiti appunto dalla bottega del Ciseri). L'educazione regolare del C. ebbe inizio nel 1834, quando venne ammesso all'Accademia di belle arti di Firenze iniziando il suo corso di studi sotto la direzione di Niccola Benvenuti. Le sue prime prove pittoriche originali risalgono al 1839, quando elaborò per il concorso annuale dell'Accademia i bozzetti per una Morte di Lorenzo il Magnifico, e per un Dante nella bottega di Giotto (Firenze, coll. priv.) con il quale vinse il premio minore per il bozzetto a olio d'invenzione. Ma il suo primo lavoro impegnativo, sia pure a destinazione ancora accademica, è costituito dal Carlo Vche si china per raccogliere il pennello aTiziano (ubicazione attuale sconosciuta), esposto nel 1842 e assai lodato dalla critica contemporanea per le qualità pittoriche dell'opera. Partecipò - vincendolo - al concorso triennale dell'Accademia di Firenze del 1843 con un S. Giovanniche rimprovera Erode e Erodiade (ubicazione attuale sconosciuta), per l'elaborazione del quale chiese consigli a Pietro Benvenuti e a Giuseppe Bezzuoli, procurandosi inoltre l'aiuto di Luigi Facchinelli per impostare l'impianto prospettico del dipinto. Altra opera importante di questi anni d'esordio è il Giacobbe che riconoscele vesti insanguinate di Giuseppe (1844; ubicazione attuale sconosciuta), per la cui esecuzione il pittore chiese, retribuendola, una consulenza diG. Bezzuoli che durò almeno tre mesi. In questo stesso 1844 il C. iniziò anche a lavorare a un Giano della Bella che parte da Firenze per il volontario esilio (Lugano, Fondazione Caccia) che sarà terminato nel 1849 e che otterrà un notevole successo all'esposizione di quell'anno nell'Accademia fiorentina (E. Ceccherini, Descriz. di un dipinto del prof. Ciseri..., Firenze 1857). Cominciò anche a dipingere i suoi primi ritratti, genere questo che tanto praticherà negli anni seguenti: sono di questo primo periodo, oltre ad alcuni ritratti di familiari, quelli giovanili dello scultore Giovanni Duprè (che cominciò a frequentare almeno dal 1845 e che in seguito diverrà suo ottimo amico) e del pittore e restauratore Giovanni Bianchi; questi ultimi ritratti sono entrambi a Firenze, in collezioni private.
Gli esordi del C., quali risultano documentabili dalle opere note e dagli stessi giudizi della critica contemporanea, sono caratterizzati da una cultura pittorica nettamente orientata nei temi, nella ricchezza cromatica e nella ricerca di una tenera naturalezza epidermica, verso il ricco e sensuale pittoricismo del Bezzuoli, rappresentante principale a Firenze di una tendenza che in quegli anni era fortemente avversata dalla critica toscana di orientamento purista perché giudicata troppo "realistica" e sostanzialmente estranea ai rigorosi fini etici e formali propugnati da artisti e critici appartenenti a quella linea culturale.
Frattanto i primi successi del C. valsero ad assicurargli una discreta notorietà: ottenne ben presto dal padre un aiuto economico per sostenere le spese per uno studio personale e almeno a partire dal 1849 cominciò a ricevere e a guidare giovani allievi in una attività di insegnamento privato (più tardi, nel 1860, riconosciuta anche ufficialmente nella forma di una "scuola libera") che egli continuerà per tutta la vita. Fra i suoi primissimi scolari va ricordato Silvestro Lega che frequenterà lo studio del C. per almeno cinque anni, dal 1849 al 1854. In seguito ebbe numerosissimi allievi che gli resteranno vicini per lunghi anni, fra i quali furono prediletti Niccolò Cannicci, Giacomo Martinetti, Egisto Sarri, Raffaello Sorbi Edoardo Gelli, Pietro Senno, Tito Lessi e altri ancora.
Il decennio che va dal 1850 al 1860 è per il C. un periodo di intenso lavoro e di importanti esperienze culturali.
La sua prima opera di questo periodo, la Pietà per la chiesa di Magadino in Canton Ticino (1850-1851) rivela i germi di una interessante evoluzione rispetto alle caratteristiche formali delle opere del decennio precedente: i colori si attenuano in un chiaroscuro giocato su toni smorzati, a volte lividi, già lontani dal cromatismo lussureggiante della pittura romantica di impronta bezzuoliana (L.D.P., in L'Arte [Firenze], n. 73, 20ag. 1851). Queste caratteristiche diventano sempre più evidenti nelle opere immediatamente successive, come il Cristo che si separa dalla madre (1853-1854, destinato in origine alla chiesa della Madonna del Sasso, sopra Locarno, ma rielaborato in anni più tardi per un serio danneggiamento del dipinto e rimasto nello studio del C.), o come il S. Antonio abate per la parrocch. di Ronco (1859-1860), o ancora come il ritratto di gruppo della Famiglia Bianchini (presentato all'Esposizione universale di Parigi del 1855 e oggi in collezione privata a Siena): opere diverse fra loro, ma egualmente tese verso il superamento della iniziale formazione bezzuoliana. La linea comune che si coglie in questi dipinti è da riconoscersi in una autonoma meditazione sullo stile ingresiano (assai diffuso in Toscana proprio in questi anni), mediato tuttavia da un segno deciso e abbreviato, e da un chiaroscuro a luci e ombre sempre più definite e nette che piega verso una resa impassibile del modello chiaramente eccentrica rispetto alla cultura ingresiana e che invece trova un interessante parallelo nelle esperienze contemporanee di alcuni pittori francesi quali Gendron o Gérôme o in quelle dello svizzero Gleyre (Del Bravo, 1975).
L'opera centrale di questo periodo è certamente costituita dalla pala d'altare per la chiesa fiorentina di S. Felicita raffigurante il Martirio dei Maccabei, la cui lunga elaborazione (1852-1863) è segnata da progressi e da ripiegamenti continui che sono stati recentemente analizzati dal Del Bravo (1975), il quale ha sottolineato come il passaggio dalla fase preparatoria - documentata da numerosi studi e bozzetti - all'esecuzione sulla tela rivela un importante scarto culturale: per Del Bravo il C., partendo da una sorta di traduzione del severo formalismo ingresiano in un patetico naturalismo, procede verso una definizione progressivamente sempre più impassibile e oggettiva delle forme e della figura umana che trova un parallelo nella contemporanea affermazione della corrente più sistematica e conformista della cultura positivistica italiana. Lo stesso scarto stilistico è avvertibile anche nei ritratti eseguiti dal C. in questo periodo, fra i quali, oltre al bellissimo Autoritratto con tavolozza (Locarno, coll. priv.), si possono segnalare quelli dello scultore Luigi Maioli, del principe Amerigo Corsini, del medico Luigi Bufalini. Questo sesto decennio va inoltre ricordato per alcuni importanti avvenimenti privati del Ciseri. Nel 1855 egli sposò Cesira Bianchini, figlia del mosaicista Gaetano, al quale occasionalmente il C. fornirà cartoni per la decorazione di mobili e arredi (va ricordato soprattutto un cartone per un piano di tavola raffigurante l'Incontro di Cimabue con Giotto giovinetto che fu esposto alla grande rassegna mondiale di Parigi del 1855); nel 1853, intanto, il C. aveva occupato uno studio più ampio in via delle Belle Donne, lo stesso ambiente che in passato aveva ospitato prima Ingres e poi F. A. von Stürler; e fin dal 1852 era stato nominato professore per l'insegnamento superiore nell'Accademia di Firenze.
Ormai la fama del C. è solida e affermata, e la sua attività dal 1860 al 1870 è segnata da continue e spesso remunerative commissioni importanti.
Cadono proprio in questi anni alcune fra le più tipiche e note opere sue, come il Date a Cesare quel che è di Cesare (1860-1862; destinato alla chiesa della Madonna del Sasso sopra Locarno, ma poi venduto a un collezionista sudamericano; il C. eseguì un'altra redazione di questo soggetto, anche essa terminata nel 1862, che finì in casa Rusca a Locarno perché di dimensioni inadatte all'altare della chiesa della Madonna del Sasso); e ancora: il S. Martino per la parrocchiale di Ronco sopra Ascona (1860-1869), una replica del Giacobbe che riconosce le vesti insanguinate di Giuseppe (1862), un Giuseppe venduto daifratelli (1862-1863, poi replicato nel 1865-1867), e soprattutto il dipinto principale di questo gruppo, il Trasporto di Cristo al sepolcro, che era fin dall'origine destinato alla Madonna del Sasso sopra Locarno (ove si trova ancora oggi) e che fu iniziato nel 1864 per essere terminato nel 1870e solamente dopo che ne era stata condotta a termine una replica venduta sul mercato londinese nel 1869 (G. Manni, Sopra un dipinto, Firenze 1870; I.H.I., 1884; La mise au tombeau..., 1896; P. G. [G. Pozzi], in Messaggero serafico [Locarno], settembre 1949).
Queste opere - e in particolare il Trasporto - manifestano ancora più evidentemente quelle caratteristiche formali di impronta "positivistica" già ben presenti nella fase finale del lavoro al Martirio dei Maccabei: luci e ombre molto nette, dall'intonazione fredda e lucida, colori spesso giocati su toni neutri con improvvise accensioni di bianchi o di rossi, un disegno sempre più netto e preciso, teso a sottolineare l'evidenza delle forme.
Questi sono anche gli anni della definitiva affermazione sociale, culturale ed economica del C.: nel 1868 venne eletto membro del Consiglio superiore della Pubblica Istruzione, e in questa veste ebbe frequenti occasioni di viaggi a Roma e nel resto dell'Italia, lui che aveva compiuto il suo primo viaggio importante - appunto a Roma - soltanto nel 1864. Questa carica, inoltre, gli consentì di stringere relazioni prestigiose con personaggi di primo piano nel panorama della cultura contemporanea italiana quali, fra gli altri, G. B. Cavalcaselle, D. Martelli, R. Bonghi, T. Dandolo, R. Foresi, F. D. Guerrazzi, G. Prati, i ministri Coppino e Correnti. Parallelamente si amplia - e diventa sempre più interessante - la galleria dei personaggi che egli ebbe occasione di ritrarre nel corso di questo decennio: da Cavour a Caterina e Domenico Bargagli, dal Guerrazzi a Ottilia Peratoner e Anna Walter, dal Foresi al Duprè, da Vittoria Altoviti Avila Toscanelli a Renato Fucini. Sempre in questi anni, sia pure quasi per caso, ebbe l'opportunità di visitare gli studi di due importanti artisti stranieri di passaggio a Firenze: nel 1867 quello di William Holman Hunt (ove vide ancora fresco di colore l'Isabella da Messina) e, nel 1870, quello di Alexandre Cabanel, pittore questo che egli giudicò assai severamente perché artefice di opere troppo "alla moda" e di esecuzione "non vera e fiacca" (Spalletti, 1975, pp. 632, 664 s.).
L'ultimo ventennio di attività del C. è caratterizzato da almeno due fatti salienti: la lunghissima elaborazione dell'Ecce Homo, commissionato dal governo fin dal 1870 e terminato pochi giorni prima della sua morte; e la prevalenza assoluta nelle opere di questo periodo di commissioni religiose, con una netta predominanza, di quadri destinati a Ordini monastici quali i cappuccini, i frati bigi, i francescani dell'Ordine del S. Sepolcro, Ordini questi che, come risulta dai documenti, stabilivano minuziosamente i temi da svolgere.
Si scalano così negli ultimi anni di attività del pittore il Sogno di Giuseppe per la chiesa di S. Maria delle Grazie a Firenze (1873-1875); il gruppo dei cinque quadri per la chiesa fiorentina del Sacro Cuore, oggi non più in loco (Apparizione del Sacro Cuore di Gesù alla beata Alacoque, 1875-1879; La Madonna di Lourdes, 1876-1879; Immacolata Concezione, 1877-1879; Cristo e la Madonna appaiono a s. Francesco, commissionato nel 1879; La Madonna del Sacro Cuore, 1881-1884); e ancora il gruppo di quattro quadri per la chiesa del S. Sepolcro a Gerusalemme, raffiguranti i santi Pietro,Paolo,Francesco,Margherita da Cortona, commissionati nel 1872 (e terminati nel 1873) assieme ad altri dipinti per lo stesso luogo affidati a Enrico Pollastrini, Amos Cassioli, Annibale Gatti, Luigi e Cesare Mussini, Guglielmo Martinetti; il gruppo dei tre dipinti per la chiesa di S. Salvatore a Gerusalemme (Incredulitàdi s. Tommaso, Il perdono di Assisi, L'apparizione di Gesù Bambino a s. Antonio da Padova, commissionati nel 1884 assieme ad altri dipinti affidati al figlio del C., Francesco Giuseppe, e a Giacomo Martinetti, e terminati fra il 1885 e il 1886); la pala d'altare per la cappella funebre di Giovanni Duprè nel cimitero di Fiesole, raffigurante la Resurrezione di Cristo (1884: A. Conti, Inauguraz. della cappella Duprè..., Firenze 1884).
Questi temi, di una religiosità diretta e finalizzata a immediate ragioni di culto, si riflettono in qualche modo nello stile tardo del C., che piega ora verso ricerche cromatiche ed effetti luminosi sempre più accentuati, tesi a sottolineare icasticamente gli eventi miracolosi e le sacre immagini rappresentate. Tali caratteristiche sono ben presenti anche nell'opera principale di questo periodo, l'Ecce Homo - di commissione governativa come si è detto e oggi nella Galleria d'arte moderna di palazzo Pitti a Firenze - in cui quelle ricerche raggiungono sensibilissimi effetti di luminosità e di trasparenze che hanno suggerito eventuali affinità con la pittura di Lawrence Alma Tadema, ma che più probabilmente vanno viste in relazione con certa pittura italiana contemporanea (per esempio, le opere di Cesare Maccari oppure i dipinti più "diafani" di Domenico Morelli) e anche con la scintillante tavolozza di alcuni pittori stranieri presenti a Roma in questi anni, come per esempio il polacco Siemiradzki al quale il C. e Luigi Mussini resero visita nel 1876, ammirando una sua opera appena terminata, quella Notte pompeiana che di lì a poco sarà celebrata su molti giornali italiani appunto per le sue preziose qualità cromatiche e luminose. Ed è una coincidenza significativa che il 1876 - dopo un periodo di indecisione sul soggetto da trattare per la commissione governativa ricevuta fin dal 1870 - sia proprio l'anno in cui il C. iniziò a sbozzare sulla tela la sua grande opera conclusiva.
Accanto a questi dipinti più impegnativi il C. proseguiva la sua infaticabile attività di ritrattista (egli eseguì complessivamente, spesso aiutandosi con fotografie del formato "carta da visita", un numero non precisabile di ritratti, ma certamente nell'ordine del 300-350); fra i più significativi di questi suoi ultimi venti anni potremo ricordare quelli di Giorgio Campani, di Emilio Pazzi, di Andrea Maffei, di Giovanni Prati, di Emilio Santarelli, di Raffaello Lambruschini, di Gino Capponi, di Giovanni Poggi, di Umberto I e della Regina Margherita.
Anche quest'ultimo periodo della vita del C. è ricco di onori e di incarichi ufficiali. Nel 1873 partecipò all'Esposizione universale di Vienna inviando il Martirio dei Maccabei, appositamente tolto da S. Felicita, che ottenne in premio una medaglia d'oro; nella sua veste di membro del Consiglio superiore si occupò di molti affari importanti, fra i quali il rinvenimento degli affreschi del Botticelli nella villa Lemmi (1873, poi staccati e venduti al Louvre dal conte Bardini nel 1881 per 35.000 lire) e il restauro della "Camera degli sposi" a Mantova (1877). Dal febbraio 1874 all'aprile 1875 fu direttore pro tempore dell'Accademia di belle arti di Firenze nel delicatissimo momento in cui questo istituto era travagliato da aspre polemiche sul progetto di riforma amministrativa e didattica. Nell'ottobre 1874, infine, il C. chiese di rinunciare alla cittadinanza svizzera perché gravato da tasse che egli giudicava eccessive, ottenendo la cittadinanza italiana nel 1877.
Il C. morì a Firenze l'8 marzo 1891, e appena un mese dopo venne esposto l'Ecce Homo, che sollevò consensi pressoché unanimi, anche da parte di critici, come Diego Martelli (in Il Corriere ital., 7 apr. 1891), dichiaratamente lontani dalla sua cultura e dalla sua esperienza figurativa (Jarro [G. Piccini], in La Nazione, 4 apr. 1891; Epsilon, La Vedetta, in Gazzetta del popolo, 6-7 apr. 1891; Bulletin Photoglob, 1º maggio 1903; R. Chiti, in La Difesa dell'arte, 11 dic. 1910; Il Giornale d'Italia, 14 luglio 1915; M. Tinti, in Il NuovoGiornale, 9 giugno 1916).
Nuclei consistenti di opere del C. sono conservati nella sua casa natale a Ronco sopra Ascona, nel Museo della Fondazione Caccia di Lugano, in alcune collezioni private di Locarno e Bellinzona. Altre opere, oltre che nella Galleria d'arte moderna di palazzo Pitti e nel Gabinetto dei disegni e delle stampe degli Uffizi, sono raccolte in varie collezioni private a Firenze e a Siena. Di eccezionale importanza, tuttavia, resta il grande fondo di suoi disegni e di documenti sulla sua attività oggi conservato presso i discendenti diretti del C., nella villa di Costalpino nei pressi di Siena, parzialmente pubblicati nel 1975 (Spalletti).
Fonti e Bibl.: Oltre ai documenti conservati presso i discendenti del C. a Costalpino (Siena), esiste presso l'Archivio cantonale di Bellinzona materiale documentario e bibliografico (schede Motta), di utile consultazione. Per la storia della famiglia del C. (a partire dal 1707) vedi R. Broggini. Appunti e documenti sull'emigrazione ticinese, in Popolo e libertà, 12 genn. 1963. Si veda sull'attività del C.: T. Menichelli, Buondelmonte e la Donati, quadro in tela di A. C., in Il Genio (Firenze), 11 febbr. 1852; A. M., L'eccidio dei Maccabei, in La Gazz. del popolo, 27 luglio 1863; Marco [R. Foresi], Il Martirio dei sette fratelli Maccabei, in La Nuova Europa, 25 luglio 1863; G. Gargani, Del quadro in tela: i Maccabei e la Madre…, Firenze 1863; G. E. Saltini, Gesù portato al sepolcro.... in L'Opinione, 2 maggio 1869; Giorno per giorno, in Il Fanfulla, 15 maggio 1871; C. Cobianchi, Mostra di ritratti nello studio del prof. A. 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