CICINELLO (Ciccinello, Cincinello), Antonio
Nato in una cospicua famiglia napoletana di tradizione filoaragonese, il C. nacque da Bufardo nel secondo o nel terzo decennio del XV secolo. Appena Ferrante d'Aragona salì sul trono (1458) il C., quasi coetaneo del re e già precedentemente al suo servizio, si vide affidare incarichi diplomatici, che divennero via via sempre più importanti.
È noto che la successione del bastardo di re Alfonso non avvenne senza travagli e l'Aragonese venne a trovarsi in una situazione precaria e difficile: mentre i baroni si organizzavano, contro di lui, gli Angiò si accingeva, rivendicare i loro diritti e Callisto III gli negava il suo riconoscimento. L'investitura gli fu però concessa dal successore di quest'ultimo, Pio II, presso cui, nel gennaio 1459, si trovava il C., che aveva il titolo di "camerarius armorum" regio. Egli aveva l'incarico di ottenere dal cardinal L. Scarampi un ingente prestito e inoltre di Stipulare un accordo generale con Sigismondo Malatesta e di conseguire il ritiro di Giacomo Piccinino dalle terre pontificie. Il C., che come procuratore di Ferrante assistette alla promulgazione del compromesso arbitrale emesso da Pio Il per appianare le divergenze sorte fra il principe di Taranto, G. A. Orsini, e il re di Napoli, rimase parecchi mesi nell'urbe, mentre le trattative del papa con il Malatesta si dipanavano molto lentamente. Doveva anche evitare che Francesco Sforza, del quale il sovrano si dimostrava diffidente, interferisse nella questione. Nel giugno il C. si trasferì a Mantova, ove si era portato il papa prima dell'apertura della Dieta. Lì, in collaborazione con un altro inviato napoletano, N. de Statis, egli, che era l'unico a conoscenza delle istruzioni segrete dei re, riuscì ad ottenere il 6 agosto un compromesso favorevole all'Aragonese. Molto probabilmente nell'ottobre dello stesso anno, il C., che il mese precedente si era recato presso il Piccinino per convincerlo a troncare le ostilità, era a Ferrara alla corte di Borso d'Este, dove, con uno stratagemma scoprì l'intenzione del condottiero di passare ai servizi di Giovanni d'Angiò, informandone prontamente Ferrante. Sempre per controllare le mosse del Piccinino, nel dicembre il C. si trasferì nelle Marche presso Alessandro Sforza.
Il C. era appena ritornato a Napoli, che il re lo inviò nuovamente (maggio 1460) presso il papa, a Siena, e quindi presso Francesco Sforza, a denunciare le trame del Piccinino ed a chiedere aiuto e consiglio. A giugno si incontrò con Pio II nella città toscana, ove trattò, senza molto frutto, anche l'ormai annosa questione di una definitiva pacificazione con Sigismondo Malatesta.
Probabilmente nella seconda metà di quello stesso anno va collocata una sua missione in Germania, di cui dà notizia soltanto Vespasiano da Bisticci, se la Dieta di cui questi parla si deve identificare con quella riunita a Magonza da Federico III fra l'estate del 1460 e gli inizi del 1461.
Già nel febbraio del 1461 il C. era a Milano, ove svolgeva la prima di quelle sue frequenti e fortunate missioni diplomatiche alla corte sforzesca, che gli varranno la stima e la confidenza di Francesco Sforza prima e di suo figlio poi e che serviranno non poco a cementare l'alleanza fra Milano e Napoli. Tornato nel Regno, nell'agosto dell'anno seguente fu presente alla battaglia di Troia, che vide la vittoria dell'esercito aragonese contro le milizie angioine. Di nuovo a Milano nell'ottobre del 1461 prese a tesservi, per incarico di Ferrante, la trama che avrebbe portato, nell'arco di due anni, alla rovina e alla morte del Piccinino, pure formalmente passato al servizio del re aragonese nell'agosto di quell'anno.
Fu il C. infatti, a quanto pare, a convincere il duca di Milano della pericolosità per l'equilibrio politico italiano delle mire di potere del condottiero e dell'opportunità di dissiparne la diffidenza, promettendogli la protezione ducale e il matrimonio con una figlia naturale dello Sforza, Drusiana; come fu lui a condurre le trattative per la condotta che il Piccinino ricevette da Ferrante, insieme con una cospicua somma di denaro e alcune terre nel Regno. Ciononostante, il condottiero, presago dei pericoli che incombevano su di lui, si rifugiò a Milano, ove, il 13 ag. 1464, sposò Drusiana, ritirandosi poi a Pavia. In ottobre, stipulata finalmente la condotta, al C. bastava ormai soltanto, per compiere l'opera, dì convincere il Piccinino a tornare nel Regno o almeno di avvicinarvisi passando per le Marche, ove Alessandro Sforza, per suo suggerimento, avrebbe dovuto catturarlo. Non avendo ottenuto l'approvazione del duca di Milano a questo progetto, il C. il 22 nov. 1464 partì da Milano per il Regno, con minuziose istruzioni circa il matrimonio fra Ippolita Sforza ed Alfonso d'Aragona e altre, segrete, circa il Piccinino, sostando durante il viaggio a Modena, a Bologna, a Firenze. Da Napoli continuò a premere sullo Sforza perché inducesse il condottiero e tornare nel Regno e nella primavera del 1465 tornò a Milano a insistere nella richiesta. Finalmente il Piccinino, convinto dalle insistenze e dalle rassicurazioni del C., si avviò verso Napoli, dove venne catturato Il 24 giugno ed ucciso il 12 del mese successivo in Casteinuovo. Se il C. fu considerato "gran causa della captura del conte Jacobo", la complicità dello Sforza nella trama che portò il condottiero alla morte non può essere messa in dubbio; toccò però al C. coprire pubblicamente le responsabilità del duca di Milano, affermando, oralmente e per iscritto, la completa estraneità del duca al disegno di Ferrante.
Agli inizi del 1467 il C. era a Firenze, ove, insieme con M. Tornacelli, partecipò alla stipulazione della lega fra Milano, Firenze e Napoli contro Venezia, ottenendo quindi anche l'associazione di Lucca; ma, per timore di eventuali vendette di accoliti del Piccinino, rifiutò di recarsi di nuovo a Milano, ove Ferrante voleva inviarlo a promuovere la rappacificazione della duchessa Bianca Maria, vedova di Francesco Sforza, e di suo figlio, Galeazzo Maria. Fra il maggio e l'agosto dello stesso anno fu a Roma, ove trattò con Paolo Il circa la lega appena conclusa e gli promise aiuto da parte del re di Napoli. Quindi, fra il 1468 e il 1470, tornò a Milano; ebbe modo così di farsi apprezzare da Galeazzo Maria, che, nel marzo del 1471, trovandosi a Firenze, ne richiese all'Aragonese l'invio a Milano come ambasciatore. Rimase nella città lombarda almeno dall'aprile del 1473 fino al marzo 1475. Durante questo soggiorno, frequentemente consultato dal duca, svolse compiti di rappresentanza - ricevette con il duca il legato pontificio (11 sett. 1473) e Federico d'Aragona, che si recava in Borgogna (1475); assistette al fidanzamento di Bianca Maria Sforza con Filiberto, di Savoia (6 genn. 1474) - ma non riuscì a impedire che Milano si stringesse con Venezia e Firenze, il 2 nov. 1474, in una lega difensiva, a cui Ferrante d'Aragona contrappose nel gennaio dell'anno successivo l'alleanza con Sisto IV. Furono questi ultimi avvenimenti che determinarono forse il richiamo del C. a Napoli (marzo 1475).
Nel maggio dell'anno successivo il C. si vide affidare un incarico di grande responsabilità come luogotenente regio all'Aquila, con il compito di riportare la pace nella città, di indurla a pagare le imposte arretrate e di riformarne gli ordinamenti.
Entrato all'Aquila il 2 luglio 1476, disarmò le varie fazioni, suscitando le reazioni dei potenti Camponeschi, con cui tentò invano un accordo; quindi, con molta rapidità, emanò i nuovi statuti, sostitutivi di quelli del 1353, nel quali previde un notevole rafforzamento dell'organo esecutivo, costituito di sei membri ed eletto per quattro anni, e il pratico esautoramento del Consiglio generale; infine, il 15 settembre, ottenne l'approvazione del saldo delle imposte dovute al fisco regio in ragione di ben 20.000 ducati.Almeno dall'inizio del febbraio 1477 il C. era di nuovo a Milano, dove evidentemente si era recato subito dopo l'uccisione del duca Galeazzo Maria, e il 10 marzo la reggente, Bona di Savoia, lo accoglieva nel Consiglio di reggenza da lei creato, comprendente, oltre a un ristretto numero di membri del Consiglio segreto, anche capi militari e gli ambasciatori delle potenze alleate.
Il C., che rimase nella città lombarda almeno fino a tutto maggio, quando fu testimone della ribellione dei fratelli del defunto duca contro la cognata e il potente segretario, Cicco Simonetta, i quali, come pare, gli "apersero il tutto", prese parte attiva alle sedute non esimendosi dall'esporre i suoi autorevoli consigli. Subito dopo però dovettero sorgere degli attriti fra lui e alcuni consiglieri ducali, e forse con la duchessa, perché in seguito fu inviato un ambasciatore milanese a Napoli a difendere i duchi dall'accusa di non aver trattato il C. "honorifice et amice".
L'ultima missione diplomatica svolta dal C. fa quella compiuta a Siena fra il marzo e il giugno del 1480, intesa a favorirne l'ingresso nella lega napoletano-fiorentina. Dopo essere passato a Roma in occasione della conquista di Otranto da parte dei Turchi (agosto 1480), il C. tornò definitivamente nel Regno, dove il duca di Calabria gli affidò la cura di suo figlio Federico, principe di Capua. Nel marzo del 1484 svolse una missione non meglio precisata in Puglia; nell'estate del 1485, essendosi manifestate all'Aquila nuove tensioni antiaragonesi, prima scintilla della congiura dei baroni, dovute sia ai recenti inasprimenti fiscali, sia all'arresto, avvenuto il 28 giugno, di P. L. Camponeschi, il C. vi fu inviato in qualità di luogotenente del principe di Capua, governatore d'Abruzzo. Entrato in città alla fine di luglio, riunì il 9 agosto un Parlamento generale per eleggere i nuovi magistrati; ma la situazione in città peggiorò progressivamente, anche per l'arrivo di squadre armate di Colonnesi; onde il C., che si assentava spesso per recarsi a Sulmona a consultare la duchessa di Calabria e il principe di Capua, fece affluire in città 400 armati. Rientrato all'Aquila nella notte fra il 24 e il 25 settembre, rifiutò un invito dei reggitori del Comune a trasferire i soldati fuori della cinta urbana.
Scoppiati nel corso della giornata del 25 violenti tumulti e accorso il popolo armato in piazza, il C. tentò, con l'aiuto di pochi fedeli, di affrontare i rivoltosi, ma fu inseguito, raggiunto in casa e ucciso a colpi di coltello.
Sottile diplomatico, stimato per capacità e pratica politica, il C. non era un soldato e la sua imprevedibile fine fu dovuta in buona parte alla sua incapacità di comprendere che la situazione aquilana non poteva più essere risolta con le parole, gli accordi e magari gli intrighi, ma soltanto con la forza.
Con lui non va confuso il contemporaneo Turco Cicinello, probabilmente suo parente, inviato da Alfonso d'Aragona à Genova nel 1456, con il compito, fallito, di appoggiare gli Adorno, contro P. Fregoso. Nel marzo 1459 fu nominato membro del Consiglio di reggenza del Regno, in assenza di Ferrante impegnato nella guerra antiangioina, e nello stesso anno inviato presso Giovanni d'Aragona, insieme con A. d'Alessandro. Fatto signore di Carpinone (Campobasso), fu ancora utilizzato come inviato regio in Inghilterra, ove si fermò dal giugno al novembre del 1465. Dopo la morte di Francesco Sforza (8 marzo 1466) guidò la flotta aragonese inviata a Genova.
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