Musicista (Arezzo 1623 - Firenze 1669). Studiò a Roma, con A. M. Abbatini e forse anche con A. Carissimi. Frate minore, fu maestro a Volterra, Lucca, Firenze. Fin dall'Orontea (1649) e dal Cesare amante (1651), il C. sentì l'attrazione degli stili operistici romani e veneziani, e più ancora nell'Argia data a Inns bruck nel 1655. Successivamente, nel 1661 trionfò a Firenze la sua Dori, da lui stesso allestita. In queste opere (dall'Argia alla Dori) il teatro del C. si colora sempre più di tinte veneziane, realizzando uno dei più tipici esempî di opera "barocca"; tinte veneziane, si potrebbe dire, su disegni derivati spesso dallo stile romano di "cantata". Ma di "manierismo" non c'è traccia: tutto vi si fonde in estetica unità. Al decennio 1655-65 seguono i due anni "viennesi" di felice creazione. Il C. lavora per quella corte, offrendole tra l'altro Nettuno e Flora (1666), Le disgrazie d'amore (1667) e Il pomo d'oro (1667), l'opera sua più fortunata, già preceduta da Tito (Venezia 1666) e una Semirami (1666, ma rappresentata solo più tardi a Venezia nel 1670 col titolo di Semiramide e nel 1674 con quello di La schiava fortunata). Le opere "viennesi" sono le più spinte verso il Barocco di quante ne abbia date il C., e vi domina il "meraviglioso" tanto per l'intreccio quanto per le necessità scenotecniche. La musica tocca però alte vette liriche, nelle zone dolcemente melanconiche, effuse nell'"aria" e nell'"arietta". Oltre le opere, il C. produsse numerosa musica vocale: celebri soprattutto le cantate.