CATELLACCI, Antonio
Nacque a San Casciano Val di Pesa da Pietro e da Regina Catellacci il 28 sett. 1753 (Vannucci) o nel 1759 (Lippi). Poiché l'anno della laurea è certo (1776), la prima data è più attendibile. Le condizioni economiche della famiglia erano discretamente agiate, cosicché il C. poté studiare nel seminario arcivescovile di Firenze, dove ricevette una solida formazione classica i cui segni si manifesteranno anche nell'età matura; apprese l'inglese e il francese, tuttavia mostrò di possedere attitudini specifiche per le materie scientifiche, la matematica, la fisica e la filosofia razionale, nel cui studio fu incoraggiato dall'arcivescovo Incontri, fautore della loro importanza in una concezione ampia dell'educazione e per lo svecchiamento della formazione degli ecclesiastici. Questa circostanza influì nel determinare il C., terminati gli studi secondari, a non abbracciare lo stato clericale e ad iscriversi alla facoltà di medicina dell'università di Pisa.
Qui compì studi brillanti, soprattutto in anatomia, laureandosi nel maggio del 1776 e tornando subito a Firenze, dove cominciò a fare pratica come astante nell'ospedale di S. Maria Nuova. Il suo lavoro fu subito apprezzato, tanto che nel 1780, manifestatasi a Firenze una forma epidemica, il suo nome fu compreso tra quelli dei membri della commissione incaricata dal governo granducale di scrivere la storia medica del male. La commissione lavorò proficuamente, lasciando poi a uno dei membri, Domenico Battini, il compito di redigere la relazione finale (Costituzione epidemica di Firenze dell'inverno 1780-81, Firenze 1781).
Nel suo lavoro clinico il C. ebbe occasione di collaborare con Alessandro Bicchierai, dal 1773 professore dell'università di Firenze, che ne apprezzò le doti e lo propose nel 1782 per la cattedra di anatomia dell'università di Pisa, allora vacante. Cominciò così il periodo più significativo della sua carriera di clinico e di ricercatore: a Pisa rimarrà per circa venticinque anni, formando una valida scuola ed esercitando contemporaneamente la professione medica. Era ancora agli inizi del suo insegnamento quando conobbe lord Cowper, un nobile inglese allora residente a Firenze, che, nel 1786, apprestandosi a compiere un viaggio che doveva portarlo in Francia, Inghilterra e Germania, chiese e ottenne dal granduca Pietro Leopoldo di portare con sé il C. come medico personale. Questi profittò largamente dell'opportunità offertagli, e in ogni città dove sostò cercò di incontrare esponenti dell'ambiente medico e di studiare le istituzioni sanitarie; a Torino conobbe e strinse amicizia con C. Allioni, ma l'influsso più marcato fu esercitato su di lui dalla organizzazione e tradizione medica inglese, di cui divenne un ammiratore: a Londra entrò in contatto con il chirurgo e anatomista John Hunter, creatore di un imponente museo di anatomia patologica, e soprattutto con William Cullen, delle cui teorie neuropatologiche il C. divenne strenuo seguace.
Tornato a Pisa riprese l'attività didattica, nella quale ebbe gran successo grazie anche alla piacevolezza del suo eloquio, intessuto di reminiscenze letterarie: il suo amore per la tradizione umanistica lo spinse addirittura a ridurre in distici elegiaci latini il programma di fisiologia umana, al fine di facilitarne l'apprendimento agli studenti. Il lavoro ebbe circolazione limitata ai frequentatori dei corsi del C., cosicché oggi è da considerarsi perduto; ma nel tempo stesso in cui introduceva una innovazione formale così discutibile, egli mirava a un deciso ammodernamento della didattica, concependo il progetto di un trattato completo di anatomia umana aggiornato con le scoperte più recenti. L'opera avrebbe dovuto consistere di sei volumi, dei quali però il C. completò e pubblicò solo il primo, dedicato ai fondamenti anatomici ed in particolare al sistema osseo (Corso elementare di notomia..., I, Pisa 1806).
Nella pratica didattica dell'epoca, se non nella dottrina, era frequente la limitazione dello studio dell'anatomia ai soli visceri, riservando al resto del corpo umano cenni sbrigativi. Nella presentazione della sua opera il C. polemizza con questa consuetudine, dedicando poi quasi l'intero volume all'analisi delle ossa umane, giudicata ancora recentemente "precisa e praticamente valida alla luce delle odierne conoscenze" (Guarnieri-Mannelli, p. 55). Nelle parti dedicate all'anatomia microscopica, invece, affiorano inevitabilmente i limiti tecnici del tempo: "è ancora l'anatomico settecentesco che scrive". Al volume si aggiungevano dieci pregevoli incisioni anatomiche; l'opera ottenne un immediato successo e dopo essere stata adottata dal C. nei suoi corsi restò in uso sotto i suoi successori per buona parte dell'Ottocento.
Per quanto riguarda i rimanenti volumi dell'opera, l'autore vi lavorò, ma senza riuscire a terminarli, probabilmente anche per vicissitudini familiari. Infatti all'inizio del 1817 gli morì un figlio, nato dal suo matrimonio con Anna Arrighi, e la sua indole sensibile ne risentì gravemente; per distrarsi si rifugiò negli studi umanistici da lui prediletti, effettuando una traduzione in esametri latini dell'Inferno dantesco, che lo assorbì dal febbraio 1817 al marzo 1818 (L'Inferno di Dante, ossia la prima cantica della Divina Commedia, tradotto, schiarito a senso preciso di frase in versi eroici latini corrispondenti, Pisa 1819).
Negli anni successivi si dedicò esclusivamente agli studi e all'attività pubblicistica, rinunciando all'esercizio della professione medica. Già prima della stampa del volume anatomico si era interessato di epidemiologia, scrivendo in collaborazione con L. Morelli una Memoria sulla febbre gialla (Pisa 1804).
Questa sorpassava di molto i confini della specializzazione anatomica, offrendo una analisi accurata del morbo, d'impianto nettamente moderno, che fonde considerazioni epidemiologiche, cliniche e anatomo-patologiche. In seguito, essendosi ammalato il suo antico estimatore, lord Cowper, egli lo curò insieme al Bicchierai e, sopravvenuta la morte del paziente, ne eseguì l'autopsia esponendone i risultati nella Istoria dell'ultima malattia sofferta dal principe di Cowper (senza luogo e data di stampa, ma edita probabilmente a Pisa). L'esame del C. dette risultati completamente concordanti con la diagnosi precedentemente effettuata dal Bicchierai (Guarnieri-Mannelli, p. 55). Il carattere costante della produzione scientifica del C. è improntato a un sano empirismo, alieno dalla voga allora esistente dei "sistemi" fisiologici e clinici e intento all'accertamento preciso dei fatti anatomici.
Negli ultimi anni egli lavorò alla raccolta delle sue relazioni per laurea, al prosieguo del Corso di notomia e a una Classata serie di storie mediche con le autossie cadaveriche modellate sulle tracce dell'immortal Morgagni;questi scritti rimasero però inediti e i manoscritti, visti ancora dal Vannucci, non sono più segnalati.
Ammalatosi all'inizio del 1826, il C. morì a Pisa il 7 aprile di quello stesso anno.
Bibl.: R. Lippi, Tributo ai meriti del fu prof. C. reso dal collega Regolo Lippi..., Firenze 1827; A.Vannucci, A. C., in E. De Tipaldo, Biografia d. Ital. illustri, VI, Venezia 1838, pp. 17-22; E. Guarnieri-M. A.Mannelli, La cultura medica ed i suoi esponenti nella Firenze del primo Ottocento…, I,Milano 1968, pp. 53-56, 59, 63.