CASALI, Antonio
Nacque a Roma il 25 maggio 1715 da Giovanni Battista, marchese di Pastina, e da Maddalena del conte Niccolò Mellini. Fu inviato dapprima a Modena per studiare nel Collegio dei nobili, poi ritornò a Roma dove si laureò in utroque iure. Destinato alla carriera ecclesiastica per poter riservare il patrimonio al fratello maggiore Alessandro, il C. vi si preparò accuratamente senza sentire vocazione per il sacerdozio (non risulta infatti che abbia mai preso gli ordini sacri): perfezionò invece la sua preparazione giuridica e dette prova in qualche occasione della sua abilità oratoria (In festo Ascensionis Christi oratio habita in Basilica Lateranensi ad Sanctissimum D. N. Clementem XII… ab Antonio Casalio Patritio Romano, Romae 1738).
Entrato in prelatura nel 1742, l'anno successivo il C. divenne ponente della Congregazione del Buon Governo, ottenendo da Benedetto XIV anche un canonicato presso la basilica di S. Maria Maggiore. Nel 1744 fu nominato prelato aggiunto della Congregazione del Concilio. In seguito ebbe la carica di referendario delle due Segnature. Il 12 dic. 1750 ricevette l'incarico di presidente della reverenda Camera apostolica, in seno alla quale divenne chierico coadiutore del decano monsignor Raggi: in questa qualità ottenne dal 1753 la prefettura degli archivi, che comportava la giurisdizione sopra tutti i notai e gli archivi pubblici dello Stato della Chiesa. Continuava frattanto ad esercitare l'incarico di ponente della Congregazione del Concilio (fino al 1760), e dall'anno 1754 al 1761 fu anche prelato della Congregazione della Città e Stato di Fermo. Nel 1759 fu creato presidente della Grascia, carica che mantenne per oltre due anni controllando con eccezionale rigore i metodi di distribuzione delle derrate alimentari ai non abbienti.
Nel 1760 gli venne proposto di ricoprire la nunziatura di Parigi, lasciata vacante nel 1759 da Ludovico Gualtieri, ma il C. rifiutò, allegando la motivazione di non essere in possesso di un patrigionio sufficiente per esercitare decorosamente tale dispendiosa carica (è noto, infatti, che ancora nel Settecento gli uffici diplomatici pontifici non erano dotati di un sufficiente appannaggio): probabilmente la sua ritrosia era anche dovuta al desiderio di non essere costretto a prendere gli ordini sacri. Ricevette perciò da Clemente XIII nel 1761 il più congeniale posto di segretario della Congregazione della Consulta, amministrando con grande zelo la giustizia, e fu nominato protonotario apostolico soprannumerario non partecipante. Il 27 sett. 1766 un breve pontificio lo elevò alla carica di governatore di Roma e di vicecamerlengo in sostituzione di monsignor Enea Silvio Piccolomini, salito al cardinalato. In questo ufficio il C. rivelò un brillante attivismo, sorretto da un eccezionale rigorismo. Riformò il tribunale del governatore snellendo le strutture processuali, ma di fronte alla consueta inerzia dei giudici fu costretto a ricorrere a premi in denaro per sollecitarli, non disgiunti però da severi provvedimenti (che andarono fino alla deposizione) in caso di serie inadempienze. Spinto dalla moralistica preoccupazione di non mantenere nell'ozio le recluse, introdusse nel carcere femminile di S. Michele una filatura di lana, canapa e lino.
Riservato cardinale in pectore da Clemente XIV il 12 dic. 1770, il C. fu dichiarato il 15 marzo 1773 e il 19 aprile ebbe il titolo diaconale di S. Giorgio in Velabro, che mantenne fino al 17 febbr. 1777 quando optò per la diaconia di S. Maria ad Martyres e fu assegnato alle Congregazioni di Propaganda Fide, della Consulta, di Avignone e Loreto. Il 26 marzo aveva ottenuto la carica di prefetto del Buon Governo, pur mantenendo quella di progovernatore di Roma. Divenne anche protettore dell'Ospizio apostolico di S. Michele, dell'Arciconfratemita del SS. Crocefisso in S. Marcello e di quella del Gonfalone.
Decisa la soppressione della Compagnia di Gesù e preparato il breve Dominus ac Redemptor (21 luglio 1773) che la sanciva, il C. fu chiamato il 6 agosto a far parte della congregazione speciale incaricata di dare esecuzione alla soppressione, presieduta dal cardinale Marefaschi e composta oltre che dal C. dai cardinali Corsini, Zelada e Carafa, dai prelati Alfani e Macedonio e dai teologi consultori Carlo Cristoforo da Casale e Mamachi.
Secondo il Pastor, che attinge a fonti gesuitiche, il C., poiché considerato troppo moderato, sarebbe stato sostituito per intervento del ministro spagnolo a Roma, conte Moñino; è vero invece che, dopo aver partecipato alle prime sedute, in cui furono decise le modalità di pubblicazione del breve, l'occupazione delle case gesuitiche e la carcerazione dei membri della Compagnia ritenuti più pericolosi, il C., a cui il 12 agosto era stata affidata la sorveglianza sopra il collegio di S. Apollinare e che il 26 agosto firmò l'editto di confisca di tutti i beni appartenenti ai gesuiti, si ammalò piuttosto seriamente ristabilendosi soltanto ai primi di ottobre (Lettere inedite di G. Marini, II, p. 87). Allora riprese il lavoro nella congregazione sostenendo tra l'altro insieme con il Corsini e contro Zelada, Marefaschi e Carafa l'opportunità di riservare ai gesuiti tenuti prigionieri in castel Sant'Angelo un trattamento duro.
Alla vigilia della morte di Clemente XIV (21 sett. 1774), il C., giudicando possibile un perturbamento dell'ordine pubblico, prese severe misure di prevenzione mobilitando tutte le forze di polizia e facendo trasferire a castel Sant'Angelo i detenuti nelle prigioni del Campidoglio e delle carceri nuove. Il 25 settembre, dichiarando che non avrebbe potuto dall'interno del conclave provvedere efficacemente alla sorveglianza della quiete pubblica della città in cui serpeggiava un notevole fermento, si dimise dalla carica di governatore e venne sostituito da monsignor Potenziani. Apertosi il conclave, il C. fu giudicato tra i papabili da parte dei rappresentanti borbonici, mentre in un primo tempo incontrò la diffidenza dei rappresentanti imperiali, i quali lo ritenevano legato agli zelanti.
Alla metà di gennaio 1775 il suo nome e quelli di Di Simone e Negroni furono scelti dai ministri delle corone come i più adatti per conseguire qualche favore anche presso gli zelanti; ma tale speranza andò delusa: il C. raccolse un massimo di quattordici voti, di cui quattro - si diceva - venuti da parte degli zelanti. Profilatosi, infine, l'accordo sul Braschi, il C. insieme con Marefoschi, Borghese e Fantuzzi, fu tra i più tenaci oppositori, consentendo solo all'ultimo di raggiungere l'unanimità del Sacro Collegio.Nel 1776 ottenne da Pio VI la protetr toria del Conservatorio Pio, già guidato con risultati poco favorevoli dal governatore monsignor Potenziani; il C. gli dette le regole, molto austere (Regole del conservatorio eretto dalla Santità di Nostro Signore Papa Pio Sesto..., Roma 1776), sviluppandovi la produzione di tele fini lisce e ad opera, damascate a uso di Fiandra, merletti, dobletti, rigatini, fazzoletti e fustagni. Nell'ospizio di S. Michele fece migliorare la qualità della seta lavorata nel reparto di manifattura, introducendovi la "cavatura" della seta "all'uso di Francia con la stufa ad acqua calda, secondo il metodo portato in Roma da Monsieur Tabarin" e dotandolo di strutture sufficienti a "cavar seta per tutto il corso dell'anno" (p. XLIII). Anche in due case di Senigallia e di Monterado, appartenenti al Collegio Germanico, di cui gli era protettore (apparteneva al patrimonio della soppressa Compagnia di Gesù), introdusse modeste filature di canapa, cotone e lino sotto la direzione del marchese Anton Maria Grassi.
Come prefetto del Buon Governo il C. compì la visita alla comunità di Frascati, sollecitato da alcuni cittadini, nell'agosto 1775. Trovò giustificate le querele... fatteci da ogni ceto di persone accertando varie irregolarità in particolare nell'Annona frumentaria "reputato l'unico sostegno delle pubbliche sostanze", ove "quelli che l'amministravano in luogo di aumentarne il capitale, studiavano la maniera di distruggerla". Riformò perciò gli statuti dell'Annona e del Monte di pietà e i capitoli per gli appalti e gli affitti comunitativi, prese provvedimenti per l'estinzione dei debiti dell'Università dei bovattieri, ordinò un'inchiesta sulla azienda comunitativa e la formazione di un esatto inventario di tutti i beni posseduti dalla Comunità. Per quanto riguarda i bilanci poté tuttavia rilevare che il conto comunitativo era in attivo mentre quelli privilegiato e camerale erano in pareggio (Arch. di Stato di Roma, Buon Governo, IV, Visite, pp. 325 s.).
L'anno seguente il C. entrò a far parte della congregazione particolare istituita da Pio VI con motu proprio del 27 luglio 1776, per esaminare il piano di riforma tributaria preparato già alcuni anni prima dal Braschi quando era ancora tesoriere generale, probabilmente con l'aiuto dell'economista F. A. Bettinelli. Il progetto prevedeva l'abolizione di ogni dazio, gabella o pedaggio interno, con l'istituzione delle dogane ai confini e la riduzione della miriade di imposte camerali, prodotta da secoli di disordinata politica fiscale, a tre sole voci: estimo, macinato e sale. Le entrate corrispondenti avrebbero permesso il risanamento di parte del deficit delle comunità: infatti la Camera apostolica si sarebbe accollata i debiti provenienti dalle spese per i passaggi delle truppe straniere e per le carestie. Per la ripartizione dell'estimo era però necessaria la formazione di un catasto completo di tutto lo Stato. Il C. si dichiarò sostanzialmente favorevole al progetto, proponendo però degli emendamenti che soltanto in parte vennero accolti.
Anzitutto egli suggeriva come fine della riforma tributaria l'estinzione totale dei debiti delle comunità (ciò verrà realizzato nella riforma fiscale del 1801), in secondo luogo poneva l'esigenza di favorire in qualche modo le comunità che presentavano una migliore situazione di bilancio onde premiarne la più rigorosa amministrazione (ma gli fu fatto rilevare che ciò poteva provenire da fattori puramente accidentali o comunque non dipendenti dai meriti degli amministratori); postulava la necessità di un nuovo censimento, per ripartire più equamente le imposte personali e chiedeva di uniformare in tutto lo Stato le gabelle comunitative, specialmente per evitare il contrabbando di generi alimentari; infine domandò per il prefetto del Buon Governo la facoltà di rimuovere i governatori, in quanto denunciava che "una delle principali sorgenti, onde vanno in decadenza gl'interessi delle Comunità, consiste nell'incuria de' Governatori, i quali trascurano d'eseguir prontamente gli ordini della Congregazione, perché sanno di non poter essere da quella rimossi dalla carica" (Arch. di Stato di Roma, Camerale II, Dogane, busta 140, 13 n. 5: Osservazioni fatte dall'E.mo Prefetto del B. Governo sul Progetto).
La congregazione speciale chiuse i lavori il 7 genn. 1777, approvando in linea di massima il piano proposto. Dopo che un editto del tesoriere generale ebbe abolito i pedaggi e le gabelle di transito (16 apr. 1777), il C. il 15 dicembre emanò un Edittosopra la formazione del catasto e allibrazione universale del terratico, che prescriveva la formazione in ogni comunità di una congregazione che in pochi mesi avrebbe dovuto accertare la proprietà dei terreni (in base ad assegna, cioè ad una dichiarazione giurata dei proprietari), la loro estensione (in base o ai catasti esistenti o, in mancanza di questi, ad altri documenti), il loro valore (per mezzo di periti che successivamente avrebbero stabilito l'"intrinseca qualità e attività dei terreni").
Data l'esigenza di affrettare i tempi, il C. aveva rinunciato all'idea di far misurare ex novo i terreni e anche a quella di non "stimare il nudo suolo", ma di tenere almeno in parte conto "del sopraterra e miglioramento" (Arch. di Stato di Roma, Camerale II, Dogane, b. 140, I, n. 14); ma poiché diffidava del senso civico dei proprietari, suggeriva almeno di non lasciar trapelare che le collette camerali sarebbero state proporzionate alla proprietà terriera. I timori del C. non erano infondati: furono necessarie numerose circolari per prorogare i termini di scadenza delle assegne, ricordare le severe pene gravanti sui dichiaranti infedeli, esortare i governatori ad affrettare i tempi per l'applicazione esatta delle tariffe ai terreni. Le operazioni si trascinarono fino al febbraio 1786 e, in seguito, si calcolò che circa 100.000 rubbia (184.000 ettari) di terreno non erano state denunciate. Il catasto così formato (detto "piano") fu, seppure in forma non definitiva, presentato a Pio VI già tra il 1784 e il 1785, ma soltanto con la riforma fiscale del 1801 esso servì come base del riparto della "dativa reale" (6 paoli ogni 100 scudi di estimo).
La congregazione particolare, che terminò i lavori nel gennaio 1777, aveva raccomandato, in una logica di tipo ancora mercantilistico, lo sviluppo delle produzioni e attività agricole, estrattive, manifatturiere e commerciali, per aumentare le esportazioni e ridurre le importazioni. Mettendo in pratica queste indicazioni il C. nel 1778 fece aprire dalla stessa Congregazione del Buon Governo un'impresa di cave di alabastro a Cori, Orte e Civitavecchia; nel 1780 concesse a numerose comunità la privativa per l'estrazione di marmi, alabastri e "pietre mischie", che portò all'apertura di oltre quaranta cave. Erogò sussidi a un lanificio di Perugia, all'incisore in rame Giuseppe Volpato per impiantare una fabbrica di porcellane a Roma, a Giuseppe Luigi Poggiolini che aprì due fabbriche di maioliche e di cristalli ad Imola, ad Alberto Montefiore per erigere un'impresa tessile (teleria, mussola e cotonina) a Fabrica di Roma.
Nel settore agricolo, per migliorare la resa dei terreni posseduti dalle comunità, stabilì di farli concedere in enfiteusi a privati, dando impulso soprattutto alle colture delle patate, del cotone e del ricino. Curò l'istruzione agraria incoraggiando l'agronomo Adamo Fabbroni di Perugia alla fondazione del periodico L'agricoltore e alla stesura delle Istruzioni elementari di agricoltura (Venezia 1787). Nominato protettore della Società georgica di Montecchio, fondata nel 1778, ne esortò i membri ad occuparsi soprattutto dell'istruzione pratica dei contadini. Particolare cura, per favorire il commercio, il C. dedicò alle strade, la cui amministrazione dipendeva dal Buon Governo. Furono create la nuova strada da Velletri a Terracina (terminata nel 1786) e quella da Frosinone a Piperno; furono migliorate la Cassia fra Ronciglione e Viterbo, la Lauretana (nei pressi di Pedaso) e la Clementina. Vennero costruiti i ponti di Ceprano sul fiume Liri e di Benevento sul Calore; fu ricostruito il castello di Grottammare. Come amministratore di Terracina il C. fece ampliare la città e migliorare il porto; dette anche nuovo impulso ai bagni termali di Nocera Umbra e di Viterbo.
Fornito di una discreta cultura antiquaria, coadiuvato da un segretario, Angelo Comolli, buon conoscitore d'arte, il C. fu anche appassionato di scavi archeologici. Già nel 1772 egli aveva ritrovato e donato a Clemente XIV l'ara di Vulcano (nota come ara Casali) illustrata in una pubblicazione dall'antiquario Orazio Orlandi; nel novembre 1777 donò a Pio VI per il Museo Pio Clementino le due statue dell'Endimione e del Niobide.
Malato già da diversi anni di gotta, il C. morì a Roma il 14 genn. 1787 e fu sepolto in S. Agostino.
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