CARACCIOLO, Antonio Carmine
Figlio di Giuseppe, principe di Torella, e di Francesca Caracciolo, nacque il 5 luglio 1692 nel feudo paterno di Barile (Potenza). Pochi anni dopo l'avvento degli Austriaci al potere a Napoli, il C. successe nei titoli e nei feudi al padre, morto il 12 maggio 1712. Il 6 giugno 1714 sposò Marianna Serra, figlia del duca di Cassano.
Dalla quasi totale assenza di notizie intorno al C. - i cui zii paterni erano emigrati in Spagna al servizio prima di Carlo II e poi di Filippo V - durante il periodo della dominazione austriaca a Napoli, appare probabile la sua ostilità nei confronti degli Imperiali e un atteggiamento, che si rivelerà chiaramente nel 1734, di fedeltà agli Spagnuoli.
Soltanto due notizie, relative ambedue al 1727, ci dimostrano che il C. viveva ancora nel Regno. Una è la nomina in quell'anno a governatore della casa dell'Annunziata e l'altra è il sospetto di una sua responsabilità in un caso di omicidio, che sarebbe stato eseguito per suo ordine.
Quando, scoppiata la guerra di successione polacca, Carlo di Borbone cominciò la sua discesa verso il Regno, il C. per prima cosa si liberò da quanto poteva impedirgli di dedicarsi senza riserve alla causa dell'infante. Si separò dalla moglie, dalla quale non aveva avuto figli (ella si rifugiò in un monastero) e rinunciò lo Stato in favore del fratello Domenico. Dopo aver consigliato Michele Imperiale, principe di Francavilla, a negare aiuti agli Austriaci, raccolse mille fanti e tentò, in un primo momento fallendo, di congiungersi all'esercito spagnuolo, provocando contro di sé l'intervento della cavalleria imperiale. Comunque, all'ingresso di Carlo a Montecassino (24 marzo 1734), il C. faceva già parte del seguito del Borbone.
Quando, subito dopo, l'esercito spagnuolo si divise in tre corpi, uno dei quali si diresse verso la capitale, uno verso Capua e uno in Puglia, dove si era rifugiato il viceré austriaco, il C. era accanto al duca di Castropignano, che aveva la direzione del terzo corpo. La sua partecipazione alla guerra ebbe, oltre che un carattere militare, certamente un carattere politico. Infatti egli indusse Bitonto a sollevarsi e ad acclamare re Carlo di Borbone già il 23 aprile. L'azione peraltro si rivelò prematura, perché la sollevazione fu soffocata e gli Austriaci mantennero il possesso della città ancora per un mese.
Il C., che ormai era entrato a far parte, anche se sicuramente non con funzioni di primo piano, della classe dirigente del nuovo regime, fu nominato gentiluomo di camera dell'infante e capitano degli alabardieri. Entusiasta, come molti, del nuovo assetto costituzionale del Regno, non compromesso in alcun modo con gli Austriaci, esponente di una nobiltà che si poneva al servizio dello Stato e non in difesa dei propri interessi di casta, il C. intraprese al servizio di Carlo la carriera diplomatica. Gli scopi della sua prima missione, che fu a Venezia, sono abbastanza oscuri, ma in quell'epoca - si era agli inizi del 1735 - Carlo cercava di ottenere dalle altre potenze il riconoscimento del suo possesso del Regno.
È molto verosimile quindi che il C. si fosse recato presso la Repubblica a partecipare l'avvento della nuova dinastia borbonica nell'Italia meridionale. All'arrivo il C. ricevette la visita di Pietro Giannone, che si trovava già dal settembre dell'anno prima nella città veneta, reduce da Vienna e desideroso di tornare in patria. La sua accoglienza al Giannone, che nella Vita lo definì "molto ben veduto dalla nuova corte di Napoli", fu calorosa; anzi, pare che il C. lo invitasse a non assumere impegni a Venezia, perché le sue qualità sarebbero state utili a Napoli. Furono queste però affermazioni incaute, poiché contro l'esule erano stati già presi provvedimenti per impedirne il ritorno nel Regno. Tornato a Napoli, il C. allineò il suo atteggiamento alle direttive del governo borbonico, non rispondendo neanche ad una lettera dello storico.
Si attuava intanto, sia pure faticosamente, l'inserimento del nuovo Stato nella politica europea. Prestava allora la sua opera come inviato napoletano in Francia il conte di Sanseverino, che nella seconda metà del 1735 si decise di sostituire con il Caracciolo. Le credenziali e le istruzioni, preventivamente inviate in Spagna per l'approvazione, gli furono consegnate il 21 ott. 1735. Egli, che in questa missione volle con sé come segretario il celebre Matteo Egizio, già suo precettore, rappresentava il nuovo Stato a Versailles, Ma per tutte le questioni riguardanti la soluzione del conflitto ancora in atto, si doveva uniformare alle direttive dell'ambasciatore spagnuolo.
Sbarcato a Marsiglia il 5 novembre, il C. trovò che si era venuta a determinare una situazione di tensione fra la Spagna e la Francia, poiché quest'ultima aveva firmato separatamente i preliminari della pace con gli Asburgo.
Il C. fu raggiunto in quella città da un corriere inviato direttamente dalla Spagna ad ingiungergli di interrompere il viaggio verso Parigi e da uno mandato dall'ambasciatore spagnuolo in Francia, che lo pregava di non incontrare alcun ministro francese prima di essersi abboccato con lui. Il C. si fermò a Marsiglia per due settimane, poi lentamente si avviò verso Parigi. Il 21 novembre era a Lione, il 29 nei pressi della capitale. Secondo gli accordi, a Villejuif egli fu raggiunto dal Sanseverino e dall'ambasciatore spagnuolo, che gli ingiunse di non recarsi a Versailles. Prolungandosi però il silenzio della corte di Madrid, da cui si aspettavano direttive, secondo il parere anche dell'ambasciatore spagnuolo in Inghilterra, il C. si indusse a compiere almeno una visita di cortesia al card. Fleury ed al guardasigilli Chauvelin. Il 6 dicembre, accompagnato dal Sanseverino e dall'ambasciatore spagnuolo, il C. presentò le sue scuse ai due ministri francesi per il ritardo con cui avveniva la sua visita, adducendo quale causa determinante un malessere che lo aveva colpito alla fine del viaggio. Inoltre esponeva come le sue istruzioni fossero di ringraziare Luigi XV per l'aiuto e il favore prestato a Carlo nella conquista del Regno e di pregarlo di perseverare in questo suo atteggiamento. Espresse anche la sua perplessità per gli sviluppi che aveva assunto la situazione politica, non osando però recriminare sull'azione della Francia nei "preliminari"; non mancò di farlo invece l'ambasciatore spagnuolo.
Il C. era consapevole del fatto che non ci si attendeva da lui alcuna iniziativa e che poteva essere soltanto una debole eco della voce dell'ambasciatore spagnuolo; ciononostante avvertiva un certo disagio, anche perché non era in grado di seguire i maneggi diplomatici, da cui si sentiva escluso ad opera dei suoi stessi colleghi.
La situazione intanto si andava lentamente evolvendo e, non rimanendo alla Spagna altra possibilità che accettare la pace, Filippo V si convinse ad entrare nei "preliminari", acconsentendo allo sgombero delle truppe spagnuole dalla Lombardia, dall'Emilia e dalla Toscana, in cambio del riconoscimento dei Regni di Napoli e Sicilia al figlio. Dopo questa decisione della Spagna, al C. fu dato il permesso di presentare - come fece il 22 genn. 1736 - le credenziali a Luigi XV.
Subito dopo egli non mancò di inviare a Napoli tutte le notizie che riuscì a raccogliere sulle relazioni fra il re di Sardegna e l'Inghilterra, alle quali si, guardava con sospetto da parte degli Spagnuoli. Così nella primavera, dopo lo sgombero di Parma e Piacenza da parte degli Spagnuoli e l'incidente causato dalla differente valutazione di quali artiglierie dovessero essere trasferite, al C. fu dato l'incarico di dolersi con il guardasigilli francese, il quale a sua volta recriminò la rapidità degli Spagnuoli nel porre in atto il ritiro delle truppe in Italia.
Tramite il C. fu inoltre ventilata la proposta francese di un matrimonio di Carlo di Borbone con una nobile francese.
Mentre le trattative per la pace generale si dipanavano lentamente, il 3 sett. 1737 il C. fu nominato plenipotenziario di Carlo di Borbone per discutere a Parigi i punti controversi con il card. Fleury e con il nuovo guardasigilli francese, Amelot de Caillu. Anche questa volta il C. aveva come direttiva quella di sostenere punto per punto il plenipotenziario spagnuolo. Questi e il C. dovevano risolvere la questione della liquidazione dovuta a Carlo di Borbone per il ducato di Parma e Piacenza, protestare perché l'imperatore si fregiava ancora dei titoli di "re di Napoli e di Sicilia e duca di Calabria", richiedere l'uso della lingua spagnuola per la parte del testo del trattato riguardante il re di Spagna ed il nuovo re di Napoli.
Mentre le trattative erano condotte da parte della Spagna con estrema puntigliosità, anche dopo la firma della Francia (18 nov. 1738) e del re di Sardegna (8 febbr. 1739), il C., che già da tempo pregava di essere sostituito, sostenendo di non poter sottostare alle spese del soggiorno in Francia, minacciò di allontanarsi da Parigi, se l'ambasciatore francese avesse lasciato Napoli. Pare infatti che quest'ultimo dovesse in effetti partire dal Regno, ma per un normale avvicendamento, e che il Montealegre avesse reputato inutilmente dispendiosa la presenza di un ambasciatore napoletano a Parigi. Un tempestivo e reciso ordine della corte spagnuola intimò invece al C. di non muoversi. Egli naturalmente obbedì ed il 21 apr. 1739 firmò il trattato di pace. Partì dalla capitale francese il 12 luglio.
Al ritorno a Napoli, creato grande di Spagna di prima classe nell'ottobre 1739, il C., che era stato uno dei primi cavalieri dell'Ordine di S. Gennaro, istituito il 3 luglio dell'anno prima a celebrazione del matrimonio del re, fu destinato come ambasciatore in Spagna, ma, giunto a Madrid, vi morì l'8 genn. 1740, prima di aver potuto presentare le sue credenziali. Gli successe nei titoli e nei feudi il già ricordato fratello Domenico.
Fonti e Bibl.: T. Carafa, Relaz. della guerra fatta in Italia nel 1733-1734, a cura di B. Maresca, in Arch. stor. per leprov. napol., VII (1882), p. 588; Racconto di varie notizie..., ibid., XXXI (1906), p. 697; P. Giannone, Vita scritta da luimedesimo, a cura di S. Bertelli, Milano 1960, pp. 264, 274; P. Palumbo, Storia di Francavilla, Lecce 1870, p. 247; G. B. D'Addosio, Origine... della... Casa dell'Annunziata, Napoli 1883, p. 599; M. Schipa, Il Regno di Napoli al tempo di Carlo Borbone, I, Milano-Roma-Napoli 1923, pp. 107, 110, 136 s., 139-46, 148, 150, 152, 156, 161-71, 228, 230, 288; M. G. Castellano Lanzara, La Real Biblioteca di Carlo di Borbone, in Rass. stor. napol., n. s., II (1941), pp. 225, 227 s.; T. Leccisotti, Carlo di Borbone a Montecassino…, in Arch. stor. per le prov. napol., s. 4, I (1962), p. 301; R. Aiello, La vita politica napol. sotto Carlo di Borbone, in Storia di Napoli, VII, Napoli 1972, p. 471; F. Fabris, La geneal. della famiglia Caracciolo, a cura di A. Caracciolo, Napoli 1966, tav. VII.