CARAFA, Antonio
Nato il 25 marzo 1538 da Rinaldo e Giovannella Carafa, ed imparentato con il pontefice Paolo IV, venne chiamato alla sua corte all'età di 15 anni, col titolo di cameriere segreto. D'ingegno vivace e versatile, seppe sfruttare abilmente l'occasione che gli veniva offerta, legandosi in modo particolare al parente Alfonso Carafa, prediletto di Paolo IV, nel quale tutti, in quegli anni, ravvisavano concordemente il futuro cardinal nepote. Con lui si dedicò anche agli studi, apprendendo il greco sotto l'esperta guida di Guglielmo Sirleto, allora protonotario, ed acquistando così fin dall'inizio quella fama di uomo colto ed istruito che tanto peso avrà nella sua carriera. Nominato nel settembre del 1557 coppiere, e nel 1558 canonico di S. Pietro, il C. non prese parte alla vita politica, allora accentrata nelle mani di altri membri della sua famiglia; tuttavia, quando l'ira di papa Paolo si abbatté su di essi, anch'egli cadde in disgrazia, anche se non venne allontanato da Roma (Bibl. Apost. Vat., Barb. lat. 5752, c. 83r).
La morte del pontefice (agosto 1559) pose bruscamente fine ad ogni sia ambizione: il nuovo eletto, Pio IV, osteggiò con feroce ostinazione i Carafa, giustiziandone alcuni ed imprigionando il card. Alfonso. Più fortunato, il C. riuscì a fuggire e a porsi in salvo, ma venne colpito da interdetto, privato dei suoi titoli e del canonicato.
La persecuzione di Pio IV trovava una giustificazione legale nel comportamento stesso del C., non privo di ombre: egli fu accusato infatti di aver aiutato Alfonso a falsificare il breve che lo nominava erede dei beni personali del pontefice morente, e dal tenore di una lettera indirizzatagli dal cugino sembrerebbe che il sospetto fosse fondato. La sua posizione presso il pontefice si aggravò nell'estate del 1560, quando venne scoperto che aveva nascosto in un convento a Napoli un'ingente quantità di beni e di denari per conto di Alfonso.
Iniziò così per il C. un triste periodo di esilio, a Napoli prima e a Montefalcone poi, che non terminò neppure colla liberazione del suo "complice", il card. Alfonso: vani furono gli sforzi di questo ultimo perché fossero restituite al C. le antiche cariche; l'unico risultato fu la revoca dell'interdetto (giugno 1562).
Emarginato dalla vita della Curia, privato di ogni possibilità di carriera, il C. si applicò di nuovo agli studi, approfondendo le sue conoscenze patristiche: a questo periodo risalgono la traduzione dal greco in latino del commento di Teodoreto ai Salmi di David (Beati Theodoreti Episcopi Cyri Interpretatio in omnes Davidis Psalmos ab A. C. e Graeco in Latinum sermonem conversa, Patavii 1564) e la Cathena explanationum veterum sanctorum Patrum in omnia tum Veteris,tum Novi Testamenti Cantica eodem conversa,ibid., pp. 265-299). Per completare la sua cultura giuridica nell'autunno 1563 si trasferì a Padova, ma non sentendosi al sicuro nella città veneta, dopo alcuni mesi dovette ritornare a Montefalcone. La vivacità intellettuale di questi anni è attestata da numerose lettere, raccolte soprattutto nel codice Barb. lat. 5729 della Biblioteca Apostolica Vaticana.
A porre fine alle sue traversie provvide il cardinale Ghislieri, salito al soglio pontificio nel gennaio 1566 col nome di Pio V. Rispettoso della memoria di Paolo IV, il nuovo papa richiamò a Roma il C. ed immediatamente, il 30 gennaio, gli concesse la Segnatura di grazia; nel febbraio lo nominò "cameriere segreto e partecipante", nel giugno successivo gli restituì il canonicato di S. Pietro, nel settembre lo riabilitò dalle accuse mossegli da Pio IV, facendo rivedere l'intero processo Carafa. Il 24 marzo 1568 infine gli concesse la porpora.
Appagata così a soli trent'anni ogni sua ambizione, egli trascorse il resto della vita impegnato in un'attività intensa quanto tranquilla, tutta assorbita da un'incessante quanto prevedibile pratica curiale, che lo coinvolse in alcuni dei principali problemi dell'epoca, senza tuttavia permettergli di occupare mai posizioni di protagonista. In essa comunque il ruolo politico e quello culturale vanno nettamente distinti. Del primo è testimonianza il fitto epistolario scambiato con alcuni dei più influenti personaggi della società italiana e con la maggioranza dei vescovi (Bibl. Ap. Vat., Barb. lat. 5698-5741 e 9920), da cui ricaviamo l'impressione di una ridotta partecipazione del C. alle principali vicende che si svolsero in quegli anni.
Erede di una tradizione di spregiudicata disinvoltura diplomatica, il C. si trovò in una posizione di primo piano: gli stessi interlocutori che un tempo avevano lusingato l'orgoglio dei suoi celebri parenti, presentano a lui le proprie "credenziali" politiche, rendendogli il doveroso omaggio che si conviene ad un personaggio del suo rango: il viceré di Napoli, il duca di Savoia, il duca di Ferrara gli scrivono, gli domandano favori, gliene accordano benignamente, intrattengono relazioni amichevoli. Ma non c'è molto più di questo. In realtà il potere del C. è solo un'ombra di quello antico, anche se ne imita lo splendore: tipico esponente di una burocrazia efficiente e ben collaudata, egli si limita ad un ruolo di esecutore. suggeritore, amministratore. Al partito imperiale erano chiaramente rivolte le sue simpatie, tanto che Sisto V si servì proprio della sua opera nel 1587, incaricandolo di firmare una convenzione con Filippo II, in base alla quale il papa prometteva al sovrano spagnolo un ingente aiuto economico se avesse intrapreso la conquista dell'Inghilterra. Fu questo comunque il solo atto politico di un certo peso che venne da lui compiuto: agli occhi della diplomazia più esercitata la sua figura appariva secondaria: "...Caraffa è tenuto un daben signore, ma più tosto di puoco valore che altramente. Seguita una vita santa, studia et vive quietamente... Il Papa l'ama et l'ascolta; nel resto si sta..." (Roma, Biblioteca della Accademia nazionale dei Lincei, 39 B 13, c. 440r: Relazione anonima del 20 febbraio 1574).
Ben diverso appare invece il ruolo esercitato nel campo culturale: egli fu infatti un tipico esponente di quella cerchia di intellettuali capeggiata dal Sirleto e dal Santoro che si distinse nella Chiesa post-tridentina per l'acuta sensibilità ai problemi dottrinali ed esegetici posti dalla Riforma. Onnipresente nelle diverse commissioni cardinalizie incaricate di risolvere ogni sorta di questioni, si fece fedele interprete, a volte con altri, spesso da solo, di quell'esigenza di ammodernamento nella continuità che contrassegnò i pontificati di Pio V, Gregorio XIII e Sisto V. Ufficiale riconoscimento di tale funzione fu nel 1586 la nomina a prefetto della "Congregatio Interpretum Concilii Tridentini" (della quale era membro autorevole fin dal 1568), cui era demandata la mansione di delucidare i canoni conciliari, stabilire le direttive che ne permettessero l'applicazione, dirimere i dubbi ordinari degli ecclesiastici di ogni categoria e sorvegliare l'attuazione concreta, sin nei minimi dettagli delle prescrizioni del concilio.
Nei Libri decretorum e nei Libri litterarum, che conservano i resoconti dell'attività della Congregazione, l'impronta del suo zelo anche prima della nomina a prefetto è molto evidente; in particolare fu tra i sostenitori del rispetto dell'obbligo di residenza, della necessità di un'istruzione catechistica adeguata dei religiosi come di tutti i credenti, e della diffusione del culto eucaristico secondo le modalità conciliari. A maggior chiarimento delle implicazioni dottrinali e pastorali del concilio scrisse inoltre un commento perpetuo ai Canoni (Vat. lat. 6326, cc. 2r-227v) ed una succinta esposizione dei Decreti, in risposta alle spiegazioni richieste dal vescovo di Segovia Andrés Pacheco (Vat. lat. 10425, cc. 140v-142r).
Tuttavia il talento del C. non si esaurì in questo ruolo pratico di divulgazione; il suo nome è rimasto infatti fondamentalmente legato all'intervento su due dei più importanti problemi ecclesiali del tempo: quello dei rapporti con le confessioni cattoliche di rito non latino e quello dell'edizione critica delle più significative collezioni di testi della Chiesa.
Le comunità di rito non latino costituivano un'inquietante testimonianza di autonomia ed indipendenza nei confronti della Chiesa di Roma e l'ala più cosciente della Curia non poteva non avvertire la necessità di una regolamentazione della loro esistenza, nell'ottica complessiva della Controriforma. Il C. fu tra i primi animatori della Congregazione dei Greci, istituita da Gregorio XIII il 10 giugno 1573, su pressante invito del card. Santoro. Col passare degli anni ne divenne il membro più influente ed assiduo: contribuì alla formazione di un progetto di ristrutturazione dei rapporti con i Greci d'Italia che, pur viziato all'origine dall'angusta, quanto abituale "condanna" dei loro "errori", giudicava non "espediente" voler introdurre a viva forza costumi estranei alla loro tradizione (come pure era stata intenzione dello stesso Pio V) e proponeva perciò soluzioni di prudente e ragionevole compromesso arenatisi però i lavori della commissione per la morte di alcuni illustri componenti, come il Sirleto (1585) ed il Boncompagni (1586), egli finì col distaccarsene, anche perché in contrasto con la tolleranza e la disponibilità mostrate dal Santoro. Il suo istintivo ossequio alle istituzioni lo aveva portato infatti a moderare le iniziali aperture. Tuttavia non cessò per questo di interessarsi alle confessioni non latine: fu protettore della Chiesa dei Caldei e del Collegio romano dei Maroniti, nei confronti dei quali ebbe modo di manifestare un eguale paternalismo illuminato. Inviò infatti ai gesuiti, in missione presso la loro Chiesa in Libano, due istruzioni nel 1578 e nel 1590 in cui raccomandava di svolgere un controllo dottrinario sottile ed inflessibile, non disgiunto da un graduale tentativo di acculturazione, nello spirito che diverrà classico nella propaganda missionaria ("...Nel notare gli errori procureranno di non fare o dire a loro cose delle quali non restino capaci e soddisfatti, assicurandoli sempre che Sua Santità manderà loro risoluzioni molto amorevoli... perciocché essendo, come si dice, gente idiota e semplice, più facilmente per questa via - si sommetteranno in tutto quello che sarà conveniente": in R. Rabbath" Documents, I, p. 141). Con analoghi atteggiamenti si occupò, anche se marginalmente, dell'apostolato presso i non cristiani, partecipando all'attività della Congregazione per la conversione degli infedeli e i problemi missionari e stilando la risposta ufficiale a nome del pontefice alle richieste delle Chiese dell'America meridionale, inoltrate a Roma dopo il concilio provinciale di Lima (1581-82), dal suo presidente e patrocinatore Toribio Alfonso de Mongrovejo.
Nei riguardi del grave problema dell'edizione critica dei testi fondamentali per il credente, il C. diede prova solo in apparenza di un minore opportunismo, come del resto tutta la Curia dell'epoca, poiché, dietro l'esigenza del rispetto per la verità si muoveva un'identica ricerca del "conveniente".
Anche in questo caso lo stimolo per l'operazione era partito dal concilio stesso, che aveva fissato perentoriamente le condizioni di canonicità di un'opera e promosso la Vulgata al ruolo di testo ufficiale della Chiesa latina occidentale. Di fronte all'estrema fluttuazione di tradizioni manoscritte vastissime ed all'acribia filologica che aveva sorretto tante interpretazioni protestanti, diveniva improrogabile il compito di stabilire definitivamente la lettera del "depositum fidei". Nacquero così, ora spontaneamente e faticosamente, ora su precise istruzioni pontificie, varie commissioni per emendare le collezioni più importanti: nel 1566, quella per il Decreto di Graziano, nel 1569 quella per la Vulgata, nel 1580 quelle per la traduzione dei Settanta e per le Decretali, ed infine nel 1583 quella per gli atti dei concili. Il C. fu membro di ciascuna di esse, portandovi il contributo della sua perizia di erudito e della sua zelante alacrità: l'impegno più significativo fu comunque quello di presidente della commissione per la Vulgata, cui venne nominato nel 1586.
Sisto V aveva infatti caldeggiato con passione tale impresa ed eleggendo il C. aveva inteso in un certo senso rifondare la commissione o almeno accelerarne al massimo i risultati. Nello spazio di soli due anni la revisione venne portata a termine, dopo un'ampia e rigorosa collazione di codici ed un'attenta scelta di lezioni: tuttavia gli effetti non furono quelli che erano stati sperati. La soppressione di passi tradizionali, la rielaborazione di luoghi famosi, l'eccessiva "novità" dell'originale ricostruito, rispetto alla consuetudine allarmarono il pontefice, che ordinò, prima ancora che la revisione fosse interamente terminata, di dare alle stampe una versione meno ardita filologicamente e più rispettosa delle deformazioni comunemente accettate. Colpito sul vivo il C. non esitò a manifestare il proprio disappunto, scontrandosi col papa in modo assai aspro, tanto da esser minacciato, in seguito, di deferimento all'Inquisizione. L'edizione voluta da Sisto V, pubblicata nell'aprile 1590, fu accompagnata dalla bolla Aeternus ille che stabiliva i tempi ed i Todi della sua diffusione, ma la morte improvvisa del papa (27 ag. 1590) pose termine all'impresa, poiché il C., di concerto con la commissione per la Vulgata, fece sospendere immediatamente le vendite dell'opera, rimettendo l'arbitrato della questione al successore di Sisto V. Gregorio XIV ne incaricò la Congregazione dell'Indice, che in breve diede ragione al C. (giugno 1591): la stampa della versione emendata (sul cui frontespizio rimaneva pudicamente la menzione del patrocinio di Sisto V) avvenne però solo con Clemente VIII, verso la fine del 1592. Il C. non poté assistere a questa sua piccola vittoria: il 13 genn. 1591 si era infatti spento nella casa dei teatini a S. Silvestro al Quirinale.
Nella sua produzione letteraria vanno annoverate, oltre alle opere già menzionate, una biografia apologetica di Paolo IV (pubblicata postuma a Colonia nel 1612 col titolo di De Vita Pauli IV) e la edizione di Cassiano, in collaborazione col Ciaconio (Roma 1588). Fu inoltre protettore della Biblioteca Vaticana, dopo la morte del Sirleto, a partire dal 15 ott. 1585: ad essa lasciò per testamento un cospicuo numero di codici greci e latini (Vat. lat. 3454-3553; Vat. gr. 1218-87). Durante il pontificato di Sisto V fece restaurare a sue spese la chiesa dei SS. Giovanni e Paolo a Roma.
Fonti e Bibl.: Principale fonte per la ricostruz. della vita del C. sono le lettere scambiate con una pluralità di corrispondenti, raccolte per la maggior parte nel fondo Barb. lat. della Bibl. Apost. Vat. ai numeri 5698-5741 e 9920. Nel fondo Vat. lat. ai numeri 10425 (cc. 140v-142r) e 6326 sono conservati due suoi commenti ai canoni del concilio di Trento. Alla sua mano va anche attribuita la stesura di una parte del Diario concistoriale del Santoro (G. Papa, A proposito dei diari concistoriali del card. Santoro, in Riv. di storia della Chiesa in Italia, VIII 1195-41, pp. 267-77). Per l'attività svolta dal C. nell'ambito della "Congregatio Interpretum Concilii Tridentini" sono di fondamentale importanza i Libri decretorum ed i Libri litterarum, smembrati in diverse biblioteche romane (Bibl. d. Acc. naz. d. Lincei, 40. F. 2, 41.F.3-10; Bibl. Angelica, 90, 185, 536-61, 921; Bibl. Casanatense, 2625, 3402; Bibl. Ap. Vat., Vat. lat. 10428, 11713, 13098, 13568, 14141). Su questo aspetto della vita del C. è comunque fondamentale lo studio di G. Papa, Il cardinal A. C. prefetto della S. Congregazione del Concilio, in La Sacra Congreg. del Concilio. Quarto centenario della fondazione(1564-1964), Città del Vaticano 1964, pp. 309-338. Sul ruolo del C. nell'ambito della Congregazione dei Greci si vedano gli atti delle riunioni della commissione, raccolti per la maggior parte nel manoscritto della Bibl. nazionale di Napoli, Brancacciano I B 6. Il più completo studio sull'argomento è quello di V. Peri, Chiesa latina e Chiesa greca nell'Italia post-tridentina(1564-1596), in Atti del Convegno storico interecclesiale,(Bari 30 aprile-4 maggio 1969), I, Padova 1973, pp. 271-469. Per le ediz. della Vulgata e dei concili si vedano P. Höpfl, Beiträge zur Geschichte der Sixto-Klementinischen Vulgata, Freiburg in Br. 1913, passim; e H. Quentin, J. Dominique Mansi et les grands collections conciliaires, Paris 1900, pp. 25-27. Sull'attività del C. come cardinale protettore della Biblioteca Vaticana, si veda J. Bignami Odier, La Bibliothèque vaticane de Sixte IV à Pie XI, Città del Vaticano 1973, ad Indicem. Si vedano inoltre, piú in generale, A. Rabbath Documents inédits pour servir à l'histoire du Christianisme en Orient, I, Paris s. d., ad Indicem; V. Forcella, Iscrizioni delle chiese e d'altri edifici di Roma..., IV, Roma 1874, p. 44; X, ibid. 1877, p. 7; S. Giamil, Genuinae relationes inter Sedem Apostolicam et Assyriorum,Orientalium,seu Chaldaeorum Ecclesiam, Roma 1902, ad Ind.; B. Aldimari, Historia geneal. della famiglia Carafa, II, Napoli 1691, pp. 455-460; L. Cardella, Memorie storiche de' cardinali della Santa Romana Chiesa, V, Roma 1793, pp. 119-122; P. Batiffol, Le Vatican de Paul III à Paul V, Paris 1890, pp. 63-94, 131-139; L. von Pastor, Storia dei papi, VIII, Roma 1924, ad Indicem; IX, ibid. 1925, ad Ind.; X, ibid. 1928, ad Ind.; S. Kuttner, L'édition romaine des conciles généraux..., in Miscellanea historiae pontificiae, III (1940), pp. 5-15; R. De Maio, Alfonso Carafa, Città del Vaticano 1961, ad Ind.; N. Del Re, I card. prefetti della S. Congr. del Concilio dalle origini ad oggi(1564-1964), in La Sacra Congregazione del Concilio..., Città del Vaticano 1964, pp. 268 s.; V. Peri, La Congregazione dei Greci(1573)ed i suoi primi documenti, in Studia Gratiana, XIII (1967), pp. 129-256 passim; Id., Due protag. dell'"Editio Romana" dei concili ecumenici..., in Mélanges Eugène Tisserant, VII, Città del Vaticano 1964, pp. 131-232; Dict. de Théol. cath., II, col. 1700; Dict. d'Hist. et de Géogr. Eccl., XI, col. 986.