CARAFA, Antonio
Secondogenito di Giovanni Alfonso, conte di Montorio, e di Caterina Cantelmo, fratello di Giovanni e Carlo, nacque, probabilmente a Napoli in data imprecisata. Sposò in prime nozze Brianna Beltrame e in seconde Laura Brancaccio e si dedicò alla carriera militare al servizio della Santa Sede prima e del duca di Firenze poi. Quando lo zio Gian Pietro divenne papa assumendo il nome di Paolo IV (23 maggio 1555). il C., chiamato con i suoi fratelli a Roma per ottenere le più importanti cariche del governo pontificio, ricevette il 31 ag. 1555 il comando dell'esercito.
Ben presto la politica estera pontificia cadde nelle mani dei nipoti del papa: con l'esplicito fine di conseguire l'investitura di qualche Stato essi spinsero Paolo IV a stringere il 15 dic. 1555 un'alleanza colla Francia contro gli Spagnoli. Clausola significativa dell'accordo era che Enrico II si impegnava a prendere sotto la sua protezione i tre fratelli e a risarcire l'eventuale perdita dei loro possedimenti nel Napoletano con feudi in Francia o in Italia.
La posizione occupata dal C. in questo triunivirato familiare era senza dubbio la più debole; poiché per indole e per intelligenza egli era di gran lunga inferiore agli altri due. Bernardo Navagero, ambasciatore veneziano a Roma e suo amico, traccia di lui un ritratto poco lusinghiero: "è collerico in modo che diventa insopportabile a tutti; e potrebbe ben essere animoso nell'eseguire quanto gli fosse commesso; ma nel comandare non lo reputano atto a pigliar i buoni partiti e a lasciar i tristi..." (Relazione..., p. 386). Gli vennero perciò affidati in prevalenza compiti esecutivi come il comando delle truppe e l'incarico di trovare alleati per la lega piuttosto che la direzione delle manovre politiche, accentrate nelle mani dello scaltro Carlo.
Il C. inoltre, pur condividendo per opportonismo l'alleanza con Enrico II, nutriva sentimenti di attaccamento nei confronti della Spagna e di latente inimicizia contro i Francesi, che si trasformarono in ostilità dichiarata nel corso della guerra e contribuirono a rendere i rapporti con Giovanni e Carlo spesso difficili ("...fra questi tre fratelli non vi è stata buona intelligenza, né mai vi sarà; poiché i primi due mal sopportano che il minore, che è cardinale, sia maggiore, ed inoltre hanno avuto sempre diversi pareri..." (ibid.). Le sue simpatie per la Spagna erano tuttavia tollerate grazie al favore speciale che Paolo IV dimostrava al figlio Alfonso, nato dalle nozze colla Beltrame, allora "cameriere alla guardia et alle ambasciate del Papa".
Ai primi di febbraio del 1556 il C. si recò all'assedio di Montebello, feudo del conte Giovanni Francesco Guidi di Bagno, reo di ribellione al pontefice: ma profilandosi ormai sicura la guerra cogli Spagnoli, il 12 febbraio fu inviato a Ferrara per convincere Ercole II a parteciparvi. La missione ebbe esito positivo e l'Estense ottenne in cambio del suo intervento il titolo di generale della lega.
Il 21 giugno il C. venne nominato governatore generale delle armate della Chiesa in sostituzione del fratello Giovanni ed il 27 dello stesso mese fu ufficialmente investito del titolo di marchese di Montebello, definitivamente espugnato dai Pontifici. Il 24 luglio era a Venezia, nel tentativo infruttuoso di coinvolgere anche la Repubblica nell'alleanza antiasburgica.
Dopo l'invasione dello Stato pontificio da parte del duca d'Alba (1 sett. 1556), l'attività militare del C. divenne più intensa: inviato nella Romagna dove si trovavano i suoi feudi per organizzarne la difesa, si recò dapprima a Bologna e a Ravenna per arruolare truppe, senza tuttavia riuscirvi per mancanza di denaro. Passò poi ad Ascoli, col disegno di sollevare la popolazione della zona, ma l'opposizione di Ferrante Loffredo marchese di Trevico lo fece desistere dall'impresa.
Con la nomina a cardinale del figlio Alfonso (15 marzo 1557), divenuta più forte la sua posizione presso il pontefice, il C. non si curò più di nascondere i suoi veri sentimenti nei confronti dei Francesi e del fratello Carlo, parlando pubblicamente con tanta "irriverenza del papa che voleva la guerra, e del cardinale che la consigliava", da scandalizzare il Navagero (Relazione..., p. 287) Il suo carattere impulsivo non gli permetteva del resto di controllarsi a lungo e la rottura con gli alleati divenne in breve inevitabile.
Casus belli fu il diverbio sorto con il duca di Guisa, capo dell'armata francese in Italia, in seguito al fallimento dell'assedio di Civitella nell'aprile 1557, impresa a cui anche il C. aveva preso parte. Alle rimostranze del francese contro lo scarso impegno del papa, il C. replicò duramente accusandolo a sua volta di essere responsabile della sconfitta per non aver voluto ascoltare i suoi consigli e non aver pagato le truppe. Il litigio fu a tal punto clamoroso che il C. abbandonò l'esercito e ritornò a Roma ai primi di maggio.
A partire da questo momento egli si adoperò con ogni mezzo, apertamente ed in segreto, per screditare i Francesi e concludere una pace onorevole, acuendo così maggiormente il contrasto coi due fratelli. Ma né il suo peso politico né il suo debole carattere erano sufficienti ad imporre un mutamento immediato: il C. dovette piegarsi ancora una volta ed il 21 luglio fu messo a capo, insieme a Giulio Orsini, di tremila svizzeri mandati in aiuto di Paliano, feudo del fratello Giovanni, assediato da Marc'Antonio Colonna. Caduta in un'imboscata, la spedizione fu interamente distrutta, l'Orsini venne ferito e fatto prigioniero e lo stesso C. si salvò a stento (27 luglio 1557). La sconfitta di San Quintino (10 agosto) e il timore di un nuovo sacco di Roma costrinsero Paolo IV a porre termine al conflitto e l'11 settembre i cardinali Carlo Carafa, Guido Ascanio Sforza e Vitellozzo Vitelli si incontrarono a Cave col duca d'Alba per trattare la pace; alla legazione prese parte anche il C., ma il suo ruolo fu diverso da quello dei negoziatori ed in realtà esclusivamente rappresentativo.
Meno compromesso degli altri componenti della famiglia, non avendo mai nascosto le sue simpatie per la Spagna, egli era l'unico che godesse di un certo favore nel campo nemico, rappresentando così un'utile pedina nelle mani del cardinale Carlo, che cercava di salvare il salvabile della politica perseguita fino ad allora, ottenendo da Filippo II quei feudi che aveva sperato di conseguire con l'alleanza francese.
La conclusione della guerra lasciò irrisolto il problema dei compensi territoriali ai Carafa e questi decisero di ricorrere direttamente al re cattolico. L'11 ottobre il C. accompagnò a Bruxelles il card. Carlo: per sé richiedeva il marchesato di Oria nel Regno di Napoli, che fruttava una rendita di 6.000 corone, ma le eccessive pretese dei fratelli ed il disinteresse del sovrano spagnolo per nemici ormai sconfitti frustrarono i suoi desideri ed egli ritornò in patria nel marzo 1558 senza aver ottenuto nulla.
Mentre i nipoti del papa continuavano a tessere intrighi, una catastrofe inaspettata mise fine drammaticamente alla loro carriera politica; il 27 genn. 1559 durante un concistoro Paolo IV lesse all'improvviso un bruciante atto di accusa contro di loro, rei di aver condotto una vita immorale e dissipata, destituendoli da tutte le cariche ed obbligandoli a lasciare immediatamente la città.
Privato del comando della guardia pontificia e del governo della città leonina, il 31 gennaio il C. dovette stabilirsi in esilio a Montebello con la famiglia: in un primo tempo accarezzò la speranza di rientrare nelle grazie dello zio, illudendosi che la sua collera fosse passeggera e che l'affetto per il cardinal Alfonso avrebbe giuocato in suo favore. In seguito, di fronte all'incrollabile volontà del pontefice, cercò nuovamente aiuto presso Filippo II, giungendo fino a boicottare l'azione dei fratelli presso di lui, pur di riuscire a salvarsi. Così quando nel marzo 1559 questi decisero di inviare a corte Paolo Filonardo per perorare la propria causa, con l'aiuto di Ruy Gomez de Silva il C. dissociò le sue responsabilità da quelle di Giovanni e Carlo, ordinando segretamente al Filonardo di appellarsi a suo nome al duca d'Alba, acerrimo nemico del Gomez de Silva: il risultato fu che la missione fallì miseramente (agosto 1559).
La morte di Paolo IV (15 ag. 1559), sembrò offrire al Carafa la possibilità di ritornare alla ribalta politica. Questa volta i tre agirono in accordo, ben consapevoli che solo con l'elezione di un pontefice a loro interamente devoto avrebbero potuto riacquistare l'antico potere. Studiarono così di far convergere i voti dei due cardinali a loro congiunti sul candidato più disposto a favorirli ed aiutarli.
In particolare il C. si assunse il compito di esercitare pressioni sul figlio perché appoggiasse il cardinale Gonzaga prima, Giovan Angelo de' Medici poi: grazie ai voti dei Carafa quest'ultimo, venne eletto papa col nome di Pio IV, ma una volta al potere non si dimostrò affatto riconoscente e il 7 giugno 1560 fece imprigionare in Castel Sant'Angelo i cardinali Carlo e Alfonso, insieme col duca di Paliano; il C. si salvò unicamente perché al momento dell'arresto si trovava a Napoli.
Per tutti era ormai veramente la fine: invano il C. nel settembre successivo implorò a corte l'aiuto spagnolo; Filippo II non fece nulla per l'ex vassallo caduto in disgrazia né per la sua famiglia e nel marzo 1561 Carlo e Giovanni vennero giustiziati; Alfonso fu liberato solo dietro il pagamento dell'ingente cifra di 100.000 scudi d'oro.
Solo, privo di qualsiasi aiuto, il C. non riuscì più a risollevarsi: chiuso in un amaro rancore, non aiutò neppure il figlio a pagare l'intera somma richiesta per il suo riscatto, limitandosi a prendere in affitto per 14.000 ducati i beni della mensa arcivescovile di Napoli posseduti da Alfonso (giugno 1562).
Del resto egli non era mai stato un buon padre per il giovane cardinale, schiacciato sotto il peso del suo carattere autoritario, e anche in seguito, stabilitosi a Napoli insieme con Alfonso, che una volta liberato poteva finalmente recarsi nella sua sede di arcivescovo, non mancò di interferire nella conduzione della diocesi compromettendo in diversi casi le relazioni col viceré.
Tuttavia l'improvvisa morte del figlio (29 ag. 1565) produsse uno sconvolgente cambiamento nella sua personalità: con essa il C. vedeva finire anche fisicamente la sua famiglia, essendo deceduto già l'altro figlio Pietro nel luglio 1561. Abbandonato qualsiasi sogno di gloria terrena, si diede a condurre una vita appartata e devota, iscrivendosi all'Accademia dei Bianchi e prodigandosi in opere pie; né valse a risollevarlo il favore che il nuovo pontefice Pio V gli mostrò, riabilitando la memoria dei suoi congiunti uccisi.
L'8 apr. 1588 fece testamento ed alcuni giorni dopo morì. Aveva avuto anche due figlie femmine, Agnese e Costanza, entrambe monache.
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