CAETANI, Antonio
Nato intorno al 1526 da Francesco, del ramo di Maenza, fu impegnato per lunghi anni nella prosecuzione dei lavori di ricostruzione e di ripopolamento della rocca di Norma già iniziati dal padre e, prima di lui, dal nonno Pietro. Sposò nel 1547 Caterina Savelli dalla quale ebbe un figlio, Francesco, e forse altri due, Orazio e Luigi.
I travagliati rapporti dei Maenza con i cugini di Sermoneta, intessuti di inimicizie e di congiure, traevano la loro origine, nel 1465, da una causa contro Onorato di Sermoneta a proposito delle terre di Sermoneta, Bassiano, Ninfa, Norma, Tiberio, Cisterna, Castelvecchio e San Donato, sulle quali i Maenza avanzavano pretese ereditarie. In questo contesto si colloca la figura del C., protagonista della cosiddetta "seconda congiura" del 1554. Egli, infatti, riuscì ad inserirsi per i propri fini nella più vasta lotta fra il re di Francia e l'imperatore per il predominio sull'Italia.
I Caetani di Sermoneta, fedeli sostenitori del re di Francia, davano qualche preoccupazione a Carlo V per il controllo che esercitavano, con la torre dell'Acquapuzza, sulla strada che dal Napoletano conduceva in Marittima. I Colonna a loro volta parteggiavano per l'imperatore ed erano venuti in disaccordo col Caetani per una questione riguardante la spiaggia di Fogliano. Per questo cercarono con successo di far coincidere i loro desideri di rivalsa con quelli del C., incitandolo a proseguire l'azione del padre, parte attiva della precedente cospirazione. Ad acuire la tensione provvidero, nel 1552, alcuni conflitti fra gli abitanti di Norma e quelli di Sermoneta, ai quali si aggiunse il disappunto del C. per la infruttuosa mediazione del cardinale di Sermoneta a proposito di certe cariche lucrative pontificie. Il C. si risolse perciò definitivamente a servire la causa dell'imperatore recandosi a Napoli nel 1554, con propositi di vendetta, presso il viceré Pedro Pacheco di Villena: questi accettò immediatamente le sue proposte per un'offensiva contro Sermoneta e a questo scopo gli affidò il comando di cinquanta, fanti, ufficialmente destinati al suo servizio personale. Il C. poi avrebbe dovuto studiare il modo di impadronirsi di Sermoneta, contando su di un ulteriore invio di truppe imperiali provenienti da Itri, Pontecorvo e San Germano. Bonifacio Caetani di Sermoneta avrebbe dovuto essere neutralizzato ai fini del piano generale, che prevedeva il contemporaneo ingresso delle milizie imperiali nello Stato pontificio. Se il progetto avesse avuto esito positivo, il C. avrebbe ricevuto, come compenso, la stessa Sermoneta.
Francesco, venuto a conoscenza della trama, cercò con ogni mezzo di dissuadere il figlio, pensando - sull'esperienza della precedente congiura - alle conseguenze del fallimento di una azione che si configurava, oltre tutto, come tradimento nei confronti del papa. Il C. tuttavia proseguì nella organizzazione del progetto, affiancato da Antonio Cella quale fiduciario, e prese contatti con Mariano Negri, capitano del castello di Bassiano, di proprietà dei Sermoneta. Raggiunta l'intesa per la consegna di Bassiano al momento opportuno, il C. avvicinò Giovanni Girolamo Pierleoni, servitore di Camillo Caetani, successivamente licenziato dal figlio Bonifacio, e Giovanni Tatanello, al quale Bonifacio aveva fatto dare alcuni tratti di corda sulla pubblica piazza. Il Pierleoni infine fece da tramite per la corruzione di alcuni soldati della rocca di Sermoneta, ai quali furono promessi da 60 a 70 ducati a testa.
Per l'esecuzione del colpo di mano furono esaminate diverse soluzioni fino a trovare l'accordo su un progetto di massima concepito come segue. Alcuni congiurati sarebbero entrati alla spicciolata nella rocca e nascosti dai soldati complici in un lungo e oscuro corridoio coperto. Scesa la notte, avrebbero ucciso il castellano e aperta la "porta falsa" prospiciente il fossato del "giardino". Qui avrebbero trovato i soldati del C. che, percorrendo la torre del Belvedere e il corridoio coperto, avrebbero sopraffatto le guardie del secondo ponte levatoio, uccisi i servi che avessero opposto resistenza e infine catturato Bonifacio insieme con la sua famiglia. Nulla impediva, a questo punto, secondo la deposizione resa al processo da Tatanello, che i soldati si abbandonassero al saccheggio e alla violenza personale.Intanto il C. si manteneva in contatto con gli Spagnoli a Napoli, con il capitano Angelo di Pitigliano e con l'abate Brisenga (o Brisenio), un nobile di Spagna decaduto, agente degli Imperiali a Roma. Ascanio Colonna da parte sua sollecitava la rapida realizzazione del progetto. Ma le cose non procedettero nel senso sperato e soprattutto non furono avvolte dal segreto indispensabile. Forse la cerchia dei congiurati si era allargata oltre misura, forse qualche mossa sbagliata mise in sospetto Bonifacio: sta di fatto che il nuovo papa Paolo IV, informato della trama, ordinò sollecitamente un'istruttoria e il processo. Bonifacio stesso fece arrestare Mariano Negri, Tatanello, Camillo Martinelli, il Pierleoni ed altri che, interrogati e torturati, rivelarono ogni cosa. Passarono allora sotto la giurisdizione del procuratore fiscale della Camera apostolica, accusati di fellonia contro la sicurezza dello Stato ecclesiastico. Nel settembre furono arrestati il Brisenga e Francesco Caetani e nel 1556 furono eseguite alcune condanne a morte. Il C. invece era riuscito alle avvisaglie del pericolo, a fuggire a Napoli dove, nonostante una prima fredda accoglienza da parte del viceré, riuscì ad ottenere il comando di un migliaio di spagnoli facenti parte delle truppe di Marcantonio Colonna, pronto ad attaccare lo Stato del cugino. Le diffide a presentarsi al processo non furono naturalmente raccolte e quindi si procedette contro di lui in contumacia condannandolo alla confisca dei beni, all'esilio eterno e infine a morte. Il cardinal Carafa ordinò ripetutamente la distruzione di Norma, che però non fu mai eseguita per l'opposizione dei Caetani di Sermoneta, ai quali il papa l'aveva promessa in feudo. Quando poi si presentò Poccasione di arrestare il C., il tempo aveva fatto sfumare l'odio e il cardinale Nicolò di Sermoneta rifiutò il suo aiuto. Egli ebbe così il perdono e le sue terre. Non ebbero però risposta positiva, com'è naturale, le proposte che il C. avanzò più tardi per imparentarsi coi Sermoneta, così come, nel 1573, le sue richieste di restituzione dell'artiglieria confiscatagli a Norma. Morì il 1º marzo 1574.
Fonti e Bibl.: Roma, Archivio Caetani, Fondo generale [vecchia numeraz.], nn. 144851 (C-178), 84022; Pergamene 2653; Misc.616 (C-21): "Sermonetane Rebellionis et Proditionis"; G. Caetani, Caietanorum genealogia, Perugia 1920, tav. F-LVI; Id., Domus Caietana, I, 2, San Casciano Val di Pesa 1927, ad Indicem; C.De Lellis, Discorsi delle fam. nobili del regno di Napoli, III, Napoli 1654, p. 208.