CAETANI, Antonio
Appartenente ad una delle maggiori famiglie romane, figlio terzogenito di Giacomo (II) e di Sveva di Sanseverino, nacque forse nel settimo decennio del sec. XIV. Poiché dai contemporanei è indicato come napoletano, è possibile che sia nato a Piedimonte d'Alife, nel Regno, possesso ereditario della madre.
Già in un documento del 6 sett. 1384 il C. appare col titolo di protonotario apostolico. Poco dopo fu nominato anche arcidiacono di Bologna: in tale veste egli compare nel 1387, ma è possibile che la nomina sia avvenuta già l'anno precedente. Scarsi sono i suoi soggiorni bolognesi ricordati dalle fonti: di solito egli risiedeva presso la Curia pontificia, specialmente dopo l'elezione (1389) di Bonifacio IX, il cui fratello Giovannello Tomacelli aveva sposato la sorella del C., Agnesella. Il C. fu al suo servizio come notaio almeno a partire dal 1391, e dopo il 1394 anche come referendario; ebbe poi anche il titolo di familiare del papa. Il 20 giugno 1391 il papa lo incaricò dell'amministrazione degli affari ecclesiastici a Bologna, quale nunzio pontificio: lo troviamo a Bologna il 9 maggio 1392, ma un anno dopo è a Perugia, di nuovo presso la sede della Curia.
Da Perugia, con lettera del 18 apr. 1393, chiese al fiorentino Donato Acciaiuoli di procurargli un prestito di 3.000-4.000 fiorini, che gli serviranno per ottenere il vacante arcivescovato di Patrasso in Grecia, affinché "yo e chi è per me esca de povertà". Non riuscì però a farsi assegnare quella chiesa, ma ottenne benefici minori, certamente favorito dal suo lavoro in Curia: nel 1390 aveva già il priorato di S. Giacomo sopr'Arno a Firenze. Nel 1394 ottenne un arcidiaconato nella cattedrale di Múnster, e inoltre una prepositura e vari canonicati nella città e nella diocesi di Colonia, ove ricevette persino una chiesa parrocchiale.
Intorno al 1394 - come si afferma in una lettera di quegli anni di Pellegrino Zambeccari - il C. nutrì forti speranze di essere creato cardinale: ma per un lungo periodo - dal 1389 al 1402 - non fu compiuta alcuna nomina al Sacro Collegio. Il 27 genn. 1395, comunque, Bonifacio IX, preferendolo ad altri candidati, conferì al C. il patriarcato di Aquileia, di gran lunga la chiesa più ricca d'Italia - Roma eccettuata - e una delle più ricche di tutta la cristianità romana. Il 12 febbraio il C. si impegnò personalmente con la Camera pontificia al pagamento dei servizi dovuti. Come patriarca di Aquileia egli era anche signore temporale: governava la Patria del Friuli, e inoltre i possedimenti della Chiesa di Aquileia in Istria, ove aveva il diritto di nominare il marchese. Prima di prendere possesso del patriarcato il C. nominò marchese d'Istria nel marzo il fratello Cristoforo dopo aver inviato, alla fine di febbraio, suoi ambasciatori al Senato di Venezia e al signore di Padova, i potenti vicini sud-occidentali. Il neopatriarca non passò per Padova, ove era atteso, ma sostò a Venezia all'inizio di aprile. Qui il Comune gli concesse un prestito di 3.000 ducati come anticipo sui versamenti annui dovutigli per i possedimenti veneziani in Istria. Il 19 aprile il C. fu solennemente insediato nella cattedrale di Aquileia, alla presenza dei massimi esponenti del clero e della nobiltà del Friuli e dei rappresentanti dei Comuni; e prestò giuramento di mantenere in vigore le consuetudini della Chiesa di Aquileia e della Patria e di amministrare rettamente la giustizia. Due giorni dopo, probabilmente nel palazzo patriarcale di Aquileia, presiedette per la prima volta il Parlamento generale del Friuli. Il 22 aprile il C. fece il suo ingresso solenne in Udine, la più importante delle città a lui sottoposte. Nelle settimane che seguirono visitò le principali località dei suoi domini: la sua presenza è documentata a Cividale, a Gemona e a Venzone nel nord, a Sacile nella zona occidentale. Dal settembre del 1395 risiedette, poi, per circa un anno, prevalentemente nel castello di Udine, allontanandosene solo per brevi periodi (il 18 ott. 1395 celebrò ad Aquileia la sua prima messa assieme ad un sinodo). Nell'autunno 1396 scelse come sua sede Cividale, suscitando il malcontento della città di Udine, concorrente di quella. Da qui visitò ripetutamente. per periodi più o meno lunghi, Udine ed altre località: oltre a quelle già menzionate anche San Vito al Tagliamento, Portogruaro, Ragogna, il castello di Soffumbergo, e inoltre la città di Monfalcone al confine orientale, Muggia e Buie in Istria. Nel maggio-giugno 1398 il C. organizzò una spedizione militare contro i Turchi; ma la maggior parte dell'esercito friulano non lo seguì oltre Monfalcone.
Numerosi documenti - soprattutto il Registrum (se ne conserva un anno e mezzo) della sua cancelleria - attestano che il C. negli anni del suo patriarcato dedicò grande cura agli interessi ecclesiastici della sua diocesi e alla amministrazione dei suoi domini temporali, cercando parimenti di intrattenere buoni rapporti coi vicini: con Venezia e Padova, con i duchi di Austria e i conti di Gorizia. Il suo governo, però, dovette suscitare in Friuli un certo malcontento di cui sono espressione due cronache coeve (in de Rubeis, Monumenta, App., pp. 15, 17). In esse viene criticata specialmente l'avarizia del C., il quale avrebbe accumulato 60.000 ducati per poi recarsi a Roma e rimanervi, nonostante avesse promesso di rientrare nella Patria. Inoltre egli non sarebbe stato molto operoso perché malato per lungo tempo.
Nel 1397 il C. progettò un viaggio a Gerusalemme, al S. Sepolcro. Il 21 luglio ottenne l'autorizzazione di Bonifacio IX, ma non intraprese mai il pellegrinaggio. In quell'epoca ricominciarono a diffondersi nel Friuli voci secondo le quali il C. voleva cedere il patriarcato in cambio di un altro ufficio ecclesiastico. Quando alla fine del 1398 egli si allontanò effettivamente dalla Patria per compiere una visita di vari mesi a Venezia, i Comuni, per iniziativa di Udine, fondarono una lega a difesa della comune libertà nella incerta situazione che sarebbe venuta a crearsi per una prolungata assenza del patriarca o per la nomina di un nuovo signore. Al suo ritorno il C. assicurò di voler rimanere nel Friuli per tutta la vita. Ma appena due anni dopo lasciò definitivamente il Patriarcato: ai primi di marzo 1401 si mosse verso il Regno e, dopo esser passato per Venezia, Ancona, Roma e aver visitato il re Ladislao di Napoli, toccò Piedimonte d'Alife all'inizio di maggio. In luglio dovette recarsi di nuovo a Roma, ove probabilmente fu anche nei mesi successivi, sembra anche nel tentativo di sollecitare il suo trasferimento da Aquileia.
All'inizio del dicembre 1401 il Consiglio di Udine ritenne necessario debberare circa un nuovo insediamento sulla cattedra patriarcale; nel successivo mese di gennaio il Parlamento friulano decise di inviare al C. una ambasciata per indurlo a ritornare, assicurandogli il proprio favore; e successivamente il Senato di Venezia aderì a questa iniziativa. Ma il 27 febbr. 1402 il C. fu nominato cardinale prete da Bonifacio IX, con il titolo di S. Cecilia che gli fu conferito soltanto il 17 maggio dopo il suo ritorno a Roma dai bagni di Tripergole, presso Napoli, ove la sua presenza è attestata nel mese di marzo.
A Roma il C. risiedette dapprima nelle case della famiglia Caetani sull'isola Tiberina, poi in un palazzo di proprietà di Gentile Orsini a Campo de' Fiori. Non è necessario menzionare qui gli affari correnti di cui il C., come tutti i cardinali, fu incaricato. Egli svolse un ruolo preminente soprattutto nei giorni immediatamente precedenti la morte di Bonifacio IX (1º ott. 1404): a quanto pare fu il C. a indurre il pontefice a proseguire le trattative appena iniziate con gli inviati dell'antipapa avignonese Benedetto XIII. Nel periodo di sede vacante che seguì alla morte di Bonifacio IX il C. fece parte del gruppo minoritario di cardinali che voleva differire l'elezione del nuovo papa per favorire l'unificazione della Chiesa divisa dallo scisma. La sua energica presa di posizione in favore dell'unità fece allora sperare a molti che il C. venisse eletto al soglio pontificio; gli sarebbe stata favorevole, in particolare, la nobiltà romana. Quando, però, si giunse all'elezione pontificia, la scelta cadde non sul C. bensì su Cosma Migliorati, che prese il nome di Innocenzo VII. Nei giorni successivi alla sua elezione (17 ottobre) il nuovo pontefice incaricò il C. di scrivere agli ambasciatori avignonesi, partiti nel frattempo da Roma, di ritornarvi per riprendere le trattative: ma l'iniziativa non ebbe successo.
Il 14 giugno 1405 il C. venne trasferito al vescovato suburbicario di Palestrina. Poco dopo ottenne l'ufficio di gran penitenziere (in seguito alla morte, il 18 giugno 1405, di Francesco Carbone) che conserverà fino alla morte. Fu anche cardinale protettore degli Ordini dei cisterciensi e dei serviti. Il C. era allora ritenuto uno degli uomini di fiducia di Firenze nel Sacro Collegio (il 23 marzo 1406 fu conferita dietro sua richiesta a lui ed ai suoi parenti la cittadinanza fiorentina) e manteneva buoni rapporti anche con il re Ladislao di Napoli.
Dopo la morte di Innocenzo VII la condotta del C. si ispirò nuovamente ad una fervente difesa dell'unità della Chiesa. Come già nel 1404 egli avrebbe voluto differire l'elezione per facilitare l'unificazione. Quando dovette inchinarsi di nuovo alla maggioranza dei suoi colleghi, operò nel conclave per favorire l'elezione di Angelo Correr (che in effetti fu scelto e prese il nome di Gregorio XII), poiché la tarda età di quello faceva prevedere un breve pontificato. Quando però le trattative di Gregorio XII con Benedetto XIII fallirono, il C. l'11 maggio 1408 abbandonò con altri otto cardinali Lucca, dove era giunto con la Curia il 26 gennaio, e fuggì a Pisa. Nei mesi che seguirono i cardinali ribelli si riunirono di solito nelle stanze del palazzo arcivescovile nelle quali alloggiava il C., indice indubbiamente dell'importanza acquistata dal C. tra di loro. Il C. non ubbidì - né ubbidirono i suoi colleghi - all'ingiunzione (12 luglio) di Gregorio XII di presentarsi al suo cospetto entro un mese, pena la perdita di uffici e benefici. In seguito al loro rifiuto i cardinali vennero destituiti (la decisione definitiva è del 14 genn. 1409) e scomunicati; ma il provvedimento pontificio non poté essere applicato perché Gregorio XII non aveva i mezzi per imporlo. Fu, comunque, certamente dietro sollecitazione del papa che il re Ladislao fece imprigionare, nella seconda metà del 1408, il fratello del C. Cristoforo, già suo maresciallo, e i figli di costui e confiscò i beni della famiglia nel Regno, tra cui anche quelli del cardinale.
Nell'agosto del 1408 il C., dietro incarico degli altri cardinali ribelli, si recò a Firenze ove, insieme con altri cardinali, ottenne il permesso di aprire a Pisa il progettato concilio di unificazione della Chiesa. Senza successo rimase, invece, il tentativo da lui effettuato a Siena, insieme con Pietro Filargi, di consegnare personalmente a Gregorio XII l'invito dei cardinali al concilio, nel frattempo convocato, poiché, malgrado l'intercessione dei priori, il papa non concesse loro l'udienza che avevano chiesto, neppure dopo una settimana di attesa. Un terzo incarico del Collegio cardinalizio unificato portò il C. nuovamente a Firenze nel gennaio 1409: qui egli ottenne che la Repubblica negasse l'obbedienza a Gregorio XII. Ancora durante il concilio pisano - apertosi il 25 marzo - egli guidò una commissione cardinalizia che a metà aprile trattò con Carlo Malatesta, seguace di Gregorio XII, il quale si adoperava per un accordo in extremis.Durante il processo miziato a Pisa contro i due papi contendenti, il C. testimoniò il 18 maggio sulle inadempienze di Gregorio XII nelle trattative per l'unificazione. Dopo la deposizione di ambedue i papi il C. partecipò al conclave da cui il 26 giugno 1409 uscì eletto papa il Filargi, col nome di Alessandro V.
Questi lo trasferì sin dal 2 luglio al vescovato di Porto. Lo stesso giorno gli fu affidata l'amministrazione del vescovato di Fiesole, che egli conserverà fino all'agosto del 1411. Questo fu - per quanto ne sappiamo - il più rilevante beneficio ecclesiastico ottenuto dal C. nel corso del suo cardinalato. Quando era stato elevato al patriarcato di Aquileia egli aveva dovuto rinunziare a tutti i benefici precedentemente goduti; perciò una volta divenuto cardinale il C. cercò, secondo l'uso di allora, di aumentare le proprie entrate. Già il giorno della sua nomina, il 27 febbr. 1402, egli si fece assegnare da Bonifacio IX una pensione di 2.000 ducati, che il suo successore sul soglio patriarcale doveva versargli per due anni. Pur soltanto in base alle notizie edite, per quanto lacunose, relative agli anni successivi, risulta che egli possedeva inoltre un canonicato ad Aquileia, vari canonicati e una chiesa parrocchiale in Boemia, la prepositura e un canonicato alla cattedrale di Würzburg, un arcidiaconato a Liegi, una chiesa a Santa Maria Capua Vetere; era inoltre arciprete di S. Giovanni in Laterano e abate commendatario sia dei SS. Bonifacio ed Alessio a Roma sia dell'abbazia di Farfa.
Il C. non partecipò all'ultimo conclave, celebrato lui vivente. Era giunto a Bologna con la Curia il 12 genn. 1410, ma non entrò nel conclave iniziato il 14 maggio, in seguito alla morte di Alessandro V, probabilmente perché malato. Malattia ripetutamente menzionata sin dall'epoca del suo patriarcato: per es. per lo stesso motivo non aveva presenziato l'11 maggio 1408 al decisivo concistoro di Gregorio XII, immediatamente precedente la ribellione dei cardinali (ciò non gli impedì, tuttavia, di fuggire lo stesso giorno a Pisa), e il 25 marzo 1409 non partecipò - perché malato - alla processione inaugurale del concilio, che egli attese nella cattedrale di Pisa. Nell'agosto del 1410 egli si trattenne a Padova, lontano dalla Curia. La sua presenza presso Giovanni XXIII è di nuovo attestata soltanto un anno dopo, questa volta a Roma. A quell'epoca faceva parte di una commissione cardinalizia incaricata dal papa di esaminare la questione di Jan Hus, sospetto di eresia.
Questo incarico non era stato ancora assolto quando l'11 genn. 1412 il C. morì a Roma. Il giorno successivo la sua salma venne portata dal palazzo in cima alla scalinata di S. Pietro nella chiesa di S. Maria sopra Minerva, che egli aveva fatto restaurare a proprie spese, e sepolto ivi alla destra dell'altar maggiore. La sua lapide, murata in una parete della sagrestia, è tuttora visibile.
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