BROGNOLI, Antonio
Nato a Brescia il 21 dic. 1723 da Alfonso e Teodora Olivi, studiò nei collegi dei gesuiti, prima a Brescia, poi a Milano, ove si dedicò alla filosofia, infine a Parma, dove seguì i corsi di giurisprudenza e soprattutto quelli di matematica di Iacopo Belgrado. Il suo ritorno a Brescia, nel 1741, fu definitivo e segnò l'aprirsi del suo interesse alla poesia, cui si dedicherà con sempre maggiore disposizione, trovando nella "ragunanza" bresciana di Durante Duranti, Marco Cappello, Francesco Torriceni e Carlo Scarsella una concreta possibilità d'incontri intellettuali e di esperienze letterarie e umane. Nel 1748 sposò Lucrezia Lupatini, di nobile e ricca famiglia, da cui ebbe due figli, Giuseppe e Paolo, che lasciarono ricordo come scrittori e uomini di varia cultura.
Il B. ricoprì numerosi incarichi pubblici, diventando in breve uno dei personaggi più autorevoli di Brescia e quindi finendo con l'imporsi come poeta ufficiale dei momenti salienti della vita politica e mondana della città. Nel 1757, per iniziativa del reggitore Bertucci Dolfin, in Brescia si istituì una società filarmonica: per l'occasione il B. compose una Cantata per l'ingresso di S. E. Bertucci Dolfin alla carica di capitanio e vicepodestà di Brescia (Brescia 1757); ancora una Cantata scrisse nel 1760 per Pier Andrea Cappello, che succedeva nella carica al Dolfin. Il B. fu molto legato al Cappello, esprimendo subito la sua disposizione a proporsi come poeta ufficiale con un ampio poema: La lode. A sua eccellenza il signor cavaliere Pier Andrea Cappello,podestà e vicecapitanio di Brescia, Brescia 1760.
Il poema, in ottave, configura una storia didascalica della "Lode", ha un'occasione di partenza marcatamente retorica (un tempo la lode "al divin culto era sacrata solo" poi fu "fatta alla virtù sprone e mercede", riducendosi quindi alla servitù e rendendosi irriperibile) e si distende in amplificazioni allegoriche che non sempre trovano una misura di scansione razionalistica nella narrazione del viaggio che l'autore compie alla ricerca della Lode: in questa impresa trova la compagnia del Merito, anchegli negletto e abbandonato. che, dopo varie peripezie che offrono spunti per digressioni moralistiche, lo conduce a ritrovare la Lode a Brescia, accanto al Cappello. L'intento celebrativo della Lode è troppo scoperto: infatti l'opera mostra in trasparenza lo sforzo compiuto dal B. per giustificarla in un contesto narrativo-romanzesco mediante l'assunzione della struttura del viaggio, che solo a tratti riesce a coprire la sua funzionalità encomiastica.
Nel 1761, in occasione di una rappresentazione della tragedia Sara in Egitto di F. Ringhieri, il B. scrisse un intermezzo scherzoso (non edito) per musica, i cui protagonisti erano la Moda, il Senno e il Capriccio; per il carnevale del 1766 compose un poemetto in ottava rima che voleva ricordare la riuscita Giostra all'anello fatta da' cavalieri bresciani (s.n.t.): quest'opera ha una certa agilità di versificazione (caratteristica peraltro comune a tutte le composizioni celebrative del B., sempre poeta di facile e limpida scrittura), che tende però a esaurirsi nell'invenzione celebrativa delle prodezze cavalleresche dei giovani nobili bresciani che presero parte alla giostra.
Ma l'opera maggiore del B., in cui trovano coerente realizzazione le tendenze moralistiche già evidenti nella Lode e pure nell'intermezzo del 1761, è il Pregiudizio (Brescia 1761).
Il poema, in ottave, è diviso in dodici canti, che furono scritti in occasioni diverse e quindi non riescono a dare all'opera un senso unitario, anche nella struttura esterna: si tratta per lo più di variazioni sul tema del "pregiudizio" che offrono al B. possibilità di osservazioni e interventi di carattere etico e anche, a volte, teorico. Il primo canto è senza dubbio quello più organico: fu recitato all'Adunanza Mazzuchelli, e il successo ottenuto spinse il B. a sviluppare il tema del Pregiudizio, che in quel canto primo è già tutto espresso, come condizione propria dell'uomo che abdica alle sue naturali funzioni intellettive razionali. Questa tematica che nasce dall'esigenza, al fondo d'ascendenza razionalistica, di denunciare le conseguenze negative della mancata utilizzazione degli strumenti della ragione e della critica, trova nell'opera del B. la solita veste allegorica: il poema narra infatti dell'assalto del Pregiudizio, che guida un esercito di Fate e Befane, al castello della Ragione; questa, aiutata dalla Critica e dall'Esperienza, si difende costruendo come armi da guerra una sorta di specchi ustori costituiti da un cristallo e da una lente (segno della necessità d'un raccordo costante tra il momento razionale e quello sperimentale) e riesce a mettere in fuga il drappello dei nemici. Il poema del B. risentì non poco della contemporanea pubblicazione del Mattino, e infatti finisce per spostare i termini della sua polemica da un ambito moralistico, piuttosto pedante, a uno dai contenuti prevalentemente civili e sociali, come avviene nel sesto canto che offre minute descrizioni di pregiudizi popolari. Ma la condizione teorica del B. è chiarita nei suoi limiti essenzialmente conservatori e di cauto accostamento alla tematica illuministica dal canto quarto che si distende in una forte requisitária contro i filosofi contemporanei, dal B. divisi nelle contrapposte (ed equivalenti nel giudizio negativo che il Pregiudizio loro conferisce) schiere dei Pigmei, che dubitano di tutto, e dei Giganti, che osano tutto, allargando oltre il lecito i confini dell'attività razionale: la posizione del B. è rivolta a consegnare alla filosofia un compito essenzialmente pratico, il cui criterio massimo d'esplicazione consiste nel concetto del buon senso, motivato razionalisticamente al grado minimo. E infatti non a caso il canto VIII ripropone la polemica contro i medici, e, recuperando alcuni dei temi più scontati e più tradizionali su questo soggetto, finisce per organizzarli in una direzione apertamente arretrata e conservatrice.
Il Pregiudizio illustra bene la collocazione del B. tra quel gruppo d'intellettuali classicisti che tentano Padeguamento alla nuova problematica illuministica senza peraltro uscir dai limiti storici del razionalismo arcadico; la sua opera a volte trova momenti di caratterizzazione che spezzano la monotonia del procedimento moralistico per allegorizzazioni piuttosto trasandate e configurano episodi di arguzia e piacevolezza satirica.
Nel 1770, in occasione della ripresa delle attività teatrali in Brescia, fu affidata al B. la traduzione dell'Olimpia di Voltaire: questo lavoro non fu edito e resta solo il giudizio positivo che ne espresse il Corniani.
Di notevole interesse sono le opere erudite del B.: le Memorie aneddote spettanti all'assedio di Brescia dell'anno 1438 (Brescia 1780)narrano con una certa vivacità le vicende della resistenza offerta da Brescia dal 1438alla fine del 1440 all'assalto dell'esercito di Filippo Maria Visconti guidato da Niccolò Fortebraccio, detto Piccinino. Molto più importanti sono però gli Elogi di Bresciani per dottrina eccellenti del secolo XVIII (Brescia 1785):per quanto disposti strutturalmente a una celebrazione il più delle volte encomiastica, gli Elogi disegnano una quadro unitario della cultura bresciana del Settecento, e trovano nella Conclusione il loro momento più importante, in cui il B. non solo espone e giustifica i criteri di costruzione dei singoli "elogi", cercando di colmare certe lacune particolari e le omissioni di personaggi ragguardevoli, ma opera una sintesi del senso generale di quella cultura, che nell'Adunanza mazzuchelliana trova il suo momento qualificante e la risoluzione intellettuale più coerente coi presupposti teorici del cauto razionalismo, dell'erudizione antiquaria e del classicismo.
Nella sua lunga vecchiaia il B. non cessò dal coltivare la poesia, e dal partecipare alla vita pubblica e culturale di Brescia, confermando il suo ruolo ufficiale in varie occasioni politiche e mondane, e ricoprendo anche importanti cariche onorifiche: fu uno dei presidenti della Biblioteca Queriniana, presidente dell'Accademia di Scienze e Arti, reggente dell'Accademia degli Erranti, socio dell'Ateneo.
Morì a Brescia il 15 febbr. 1807.
Opere: Orazione recitata li 8 agosto 1765 nel solenne funerale del conte Girolamo Silvio Martinengo, Brescia 1765; Cantata nella partenza del reggimento di Brescia di S. E. Tommaso Sandi, Brescia 1772; Orazione funebre ne' funerali di S. E. Francesco Grimani, Brescia 1774; Elogio del cardinale A. M. Querini, in Raccolta di elogi italiani, a cura di A. Rubbi, X, Venezia 1782; Cantata a S. E. Giovanni Grossi capitanio di Brescia, Brescia 1784; Sonetti in morte della contessa Margherita Mazzucchelli, Brescia s.a. Il Peroni (pp. 203 s.) dà l'elenco di diverse sue opere manoscritte "presso la sua famiglia": Imiei pensieri,Orazioni,Parlate al gran consiglio della città,Lettere dodici sopra i difetti che regnano ne' teatrali spettacoli italiani indirizzate all'egregia dama la contessa Bianca della Somaglia Uggeri,Risposta ai critici argomenti del p. Battista Da Ponte m. o. contro l'appendice pubblicata nelle "Memorie aneddote dell'assedio di Brescia" circa l'apparizione de' santi Faustino e Giovita sulle mura in difesa della città contro l'armata del Piccinino, Apologhi, oltre a varie poesie italiane e latine.
Bibl.: V. Peroni, Biblioteca bresciana, I, Brescia 1818, pp. 201-204; E. De Tipaldo, Biografia degli italiani illustri..., III, Venezia 1836, pp. 150-152; P. Treves Sartori, Scorci settecenteschi. Curiosità e pettegolezzi, in Nuova Antologia, 16 ott. 1912, pp. 624-633; Storia di Brescia, III, Brescia 1964, pp. 268 s.