BROCARDO, Antonio
Nacque a Venezia nei primi anni del sec. XVI. Suo padre, Marino, era medico abbastanza noto in città. La famiglia non era nobile; godeva però fama onorevole a Venezia e alcuni suoi membri si erano distinti nel disbrigo di pubblici incarichi.
Marino volle che il figlio si dedicasse agli studi di giurisprudenza, sembra contro la volontà del Brocardo. Di questa sua avversione agli studi delle leggi abbiamo una prova nelle parole che lo Speroni gli fa dire nel Dialogo della retorica:"dell'insegnare non parlo, che non ha il mondo la maggior pena che l'imparare malvolentieri; questo sa ognuno che si ricorda d'essere stato fanciullo... né leggo Bartolo o Baldo (il che faccio ogni giorno per compiacere mio padre) che io non bestemmi gli occhi, gli orecchi, l'ingegno mio e la mia vita condannata innocentemente a dover cosa imparare che mi sia noia il saperla". Alla radice di tale disistima è sicuramente l'infatuazione per i testi greci e latini, soprattutto attinenti alla facoltà oratoria e poetica, "restaurati" dalla filologia quattrocentesca e divulgati dalla stampa su larga scala.
In un documento del 1516 tratto "ex tabulario Episcopatus Patavini" appare la menzione di "Antonius Brocardo civis venetus leguni schola". Il Cian ha supposto trattarsi di un errore per 1526. Nel 1525 il B. era ancora a Bologna alla scuola del Pomponazzi. Nel '26 dové far ritorno a Padova dopo la morte del Pomponazzi, di cui scrisse al padre in data 25 maggio.
Terminati gli studi di diritto, il B. si volse verso la letteratura sotto la guida di Trifon Gabriele e del Bembo, che lo avviarono sulla strada dei grandi modelli dell'epoca: Petrarca e Boccaccio. Quali che saranno gli sviluppi "antibembisti" della sua carriera, appare certo che nei primi anni del noviziato letterario il B. si assoggettò senza alcuna forzatura alla dittatura letteraria del Bembo, compilando, secondo il costume dell'epoca, rimari e lessici petrarcheschi che ci danno la misura di una pedissequa imitazione. Quando gli parve di essere venuto in possesso dei requisiti tecnici indispensabili cominciò a comporre versi, "et allora - continua il dialogo speroniano - pieno tutto di numeri, di sentenzie et di parole petrarchesche e boccacciane, per certi anni fei cose a' miei amici meravigliose". Tali amici erano, innanzi tutto, i condiscepoli dell'ateneo padovano: Girolamo Negri, Nicolò Eritreo, Antonio Mezzabarba, Giambattista Fedeli, molti dei quali, oltre che per la professione forense, si distinsero nelle mansioni di pubblici funzionari, come l'Eritreo e il Fedeli, o il Negri che fu segretario di Alvise Cornaro. Lo stesso Speroni non gli negò la propria amicizia; Bernardo Tasso pubblicherà nel 1531, su consiglio del B., Ilprimo libro degli Amori, e si schiererà al fianco del B. al tempo dell'aspra polemica che questi sostenne contro il Bembo.
A Venezia amò una cortigiana, Marietta Mirtilla, alla quale sono indirizzate tre lettere scritte da Padova, mentre il B. frequentava ancora il circolo dei vecchi condiscepoli. L'ultima di tali lettere indulge al linguaggio furbesco, in cui sembra che il B. fosse così versato da comporvi un "capitolo". Si attribuisce anche al B. una Orazione in laude delle cortigiane, di cui parlano le fonti contemporanee (Nicolò Grazia e Tullia d'Aragona).
Nelle Rime, pubblicate postume insieme con quelle del Molza e di Nicolò Delfino (Rime del Brocardo et d'altri authori, Venezia 1538), si possono cogliere due linee fondamentali che le caratterizzano e in parte le diversificano nel campo della rimeria di stile bembiano. C'è da un lato la continuità della tradizione quattrocentesca che innalza a forme d'arte raffinata e aristocratica la consuetudine popolareggiante degli strambotti e dei madrigali, dei capitoli e delle ballate; e c'è, d'altro canto, il tentativo di assimilare alla tradizione petrarchesca il patrimonio della lirica classica (virgilianà, elegiaca, catulliana) secondo le direttive più consapevoli e costantemente perseguite che saranno del Molza e di Bernardo Tasso. Sotto questo aspetto va evidentemente intesa l'amicizia tra i due scrittori stretti da una concordanza di intenzioni letterarie.
Tale tentativo è soprattutto presente nei sonetti in cui il poeta celebra Licida, il pastore delle ecloghe di Virgilio, mentre la tradizione quattrocentesca si rivela soprattutto nella mancanza di un centro ideale nel minuscolo canzoniere del B., improntato ad un occasionale recupero di temi petrarcheschi più che tendente ad una trasposizione in chiave edificante dell'avventura sentimentale del poeta. Ciò permette all'autore di insistere su singoli dati autobiografici con inconsueta frequenza, di sottolineare particolari scabri della propria autobiografia, al limite di una tematica che non esclude la ricerca dell'espressione popolaresca, la trascrizione apparentemente immediata di affetti e ideali.
Sul piano della retorica, stando alla parte svolta dal B. nel dialogo speroniano, egli auspicava una decisiva emancipazione della retorica volgare dalla tradizione latina e umanistica: tale assunto, evidentemente più incidente in ordine all'attività pubblica che non la profferta lirica. entrava in contrasto con la concezione del Bembo, eletto nel 1530 alla nuova dignità di storiografo e bibliotecario della Repubblica di Venezia, contro il quale probabilmente il B. indirizzò alcuni versi nel 1531. Si schierarono dalla sua parte, seppure molto prudentemente, il Tasso e il Berni, mentre organizzava una campagna diffamatoria contro di lui, forse su diretta richiesta del Bembo, Pietro Aretino; e quando, di lì a poco (prima del 29 ag. 1531), il B. morì per cause rimaste ignote, lo stesso Aretino rivendicò all'arma micidiale della propria maldicenza la sorte toccata all'infelice letterato, secondo la testimonianza di Giovanni Brevio, cui si deve in gran parte la storia della controversia.
Si trattasse di premeditazione o di pura millanteria, l'attacco dell'Aretino diretto contro il B. è valutabile soprattutto in termini di costume letterario: la Venezia del Bembo ormai sessantenne è la città in cui trionfano i poligrafi più spregiudicati; il brigantaggio letterario, concepibile in una società dove il mestiere dello scrittore si pone come la più facile e la più redditizia delle professioni, è un fenomeno largamente documentato nel panorama della "scapigliatura" cinquecentesca, dove, semmai, può sorprendere la consonanza di intenti che legò il "flagello dei principi" con il futuro cardinale. Il quale, se non fu responsabile diretto dell'episodio Brocardo, lo fu certamente per la creazione di una "ideologia" della letteratura: che rappresentò l'elemento distintivo della cultura italiana fiorita tra il terzo e il quarto decennio del secolo e quello condizionante il prossimo manifestarsi di una "letteratura" della Controriforma.
Fonti e Bibl.: Notizie sul B. si trovano, ovviamente, in quasi tutta la bibliografia sulBembo; per la storia della controversia vedi G. Ballistreri, Brevio,Giovanni, in Diz. Biogr. d. Ital., XIV, Roma 1972, pp. 207 s. Inoltre si v.P. Aretino, Lettere, Milano 1960, ad Ind.; Lettere volgari di diversi, a cura di P. Manuzio, Venezia 1551, I, pp. 117-119; II, p. 44; B. Tasso, Lettere, I, Venezia 1562, passim; S.Speroni, Dialogo delle lingue e della retorica, Lanciano 1912; G. M. Mazzuchelli, Gli Scrittori d'Italia, II, 4, Brescia 1763, pp. 2117-20; A. Virgili, F. Berni, Firenze 1881, pp. 229 ss.;V. Cian, Nuovi doc. su P. Pomponazzi, Venezia 1887, pp. 18 ss.; F. Pintor, Delle liriche di B. Tasso, Pisa 1889, pp. 22 ss.; F. Flamini, Il Cinquecento, Milano 1902, pp. 117, 182, 205, 206, 572; D. Vitaliani, A. B.,una vittima del bembismo, Lonigo 1902; C. Miani, Una contesa letteraria del Cinquecento: Bembo e B., Sassari, 1904; B. Croce, A. B., in Quaderni della critica, VI (1950), pp. 35-42; M. Marti, S. Speroni retore e prosatore, in Convivium, n.s., I (1954), pp. 31-46; G. Toffanin, Il Cinquecento, Milano 1954, pp. 93, 122-125.