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BONCIANI, Antonio

di Benito Recchilongo - Dizionario Biografico degli Italiani - Volume 11 (1969)
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BONCIANI, Antonio

Benito Recchilongo

Nacque a Firenze nel 1417 da Cola che abitava nel popolo di S. Apostolo. Quasi certamente appartenne alla schiera dei "canterini" o "cantori in panca" che a Firenze, secondo una consuetudine da tempo consolidatasi anche in altri Comuni, intrattenevano il popolo nella piazzetta di S. Martino recitando cantari o versi di altro genere.

Contemporaneo del più celebre "canterino" Antonio di Guido, il B. fu anche suo rivale nel mestiere: contro di lui infatti scrisse un sonetto caudato (edito dal Renier) dove, con una compiaciuta violenza di linguaggio tipica di queste tenzoni aggressive, si infilzano accuse ingiuriose, che naturalmente sono documento di un costume letterario più che indizio attendibile della vita corrotta del rivale.

Nel 1448 (la data si deduce dai riferimenti storici del testo) scrisse un poemetto in cinque capitoli ternari, il Giardino, dedicato ad Astorre II Manfredi, presso il quale probabilmente si trovava mentre questi occupava Faenza ed iniziava una lunga lotta col nipote Taddeo che si era impadronito di Imola.

Il poemetto, rimasto inedito, è tramandato adespoto dal cod. Palatino-Panciatichiano 25 della Biblioteca Nazionale di Firenze, ma è attribuito al B. dal cod. C. 35. sup. della Biblioteca Ambrosiana di Milano, dove fu trascritto nel 1470: l'attribuzione è del resto confermata da numerosi richiami ai versi del Trionfo d'Amore, sicuramente del Bonciani.

Sulla scia di ricordi petrarcheschi e danteschi, il B. descrive una visione: addentratosi in un giardino ove si era recato per dimenticare le sue pene d'amore nella lettura delle Heroides di Ovidio, egli incontra una donna che gli confessa tra le lacrime il suo amore per Astorre, conosciuto quindici anni prima alla corte dei Gonzaga, del quale attende invano il promesso ritorno; quando poi ella conosce i pericoli in cui versa il signore, prega l'autore di confortarlo con i suoi versi: l'ultimo capitolo assolve questo compito, con il ricordo di uomini illustri che ebbero a soffrire per la sorte avversa e con ammonimenti morali.

La trama del poemetto è esile e dispersiva: i vari temi (descrittivi, narrativi, ricordi libreschi) sono svolti con un rilievo quasi autotonomo, assorbendo di volta in volta l'attenzione del rimatore, sicché creano singolari squilibri nell'economia dell'intera opera. Particolarmente minuta risulta, nei primi due capitoli, la descrizione del giardino, che segue un elementare ordine geometrico esteriore ma non riesce mai a creare una vera prospettiva, poiché l'abbondanza dei particolari si risolve, più che in un quadro, in un elenco prolisso e monotono di piante. Si ha l'impressione che il B. riecheggi quelle descrizioni "della natura della frutta" tramandateci da qualche canterino presente in Toscana tra la fine del sec. XIV e gl'inizi del XV: come Pietro di Viviano da Siena, che ci ha lasciato un capitolo ternario (per il quale cfr. F. Novati, Le poesie della natura delle frutta..., in Giornale storico della lett. ital., XIX [1892], pp. 55-79), talvolta assai vicino ai versi del Bonciani.

Da una dichiarazione dei beni, conservata nella portata del Catasto del 1458, risulta che in quell'anno il B. viveva ancora nel popolo di S. Apostolo, in una casa a pigione; egli afferma inoltre di non possedere altro che una "schiava", un cavallo e modesti crediti sul Monte; fu tassato per 200 fiorini, ridotti poi a 150. A partire dal 4 agosto dell'anno successivo fu per otto mesi elezionario degli Officiali di Monte, in qualità di sindaco e ragioniere "ad sindacandum rationes comitatus".

In questo periodo all'incirca si può collocare il Trionfo d'Amore in terzine, scritto su commissione di Lorenzo di Tuccio Manetti (m. 1470) per la sua dama Diamante (ed. dal Flamini, Un trionfod'Amore).

Secondo una tradizione largamente rappresentata nel '400, lo schema compositivo è dato ancora direttamente dai Trionfi di Petrarca, che si incontra e si confonde poi col modello della visione dantesca; né mancano ricordi ovidiani. Nel Trionfo si ritrovano inoltre tutti gli ingredienti tipici del genere e del mestiere: l'invocazione ad Amore, con la cornice vagamente allegorica; la facile e quasi inevitabile equazione tra il diamante "chiara pietra luminante" e la bella Diamante; la rassegna degli amanti infelici; la descrizione della bellezza di Lorenzo, condotta secondo i tratti divenuti ormai canonici per la bellezza femminile; infine la petizione degli affetti, con l'esortazione, al creato ed alle varie autorità terrene, a rendere omaggio alla bellezza del giovane. Tuttavia la vicina presenza dei modelli conferisce a questo poemetto un maggior equilibrio nell'organizzazione della materia, ed anche scioltezza espositiva, sebbene qua e là si avverta ancora lo sforzo di inserire i vari temi entro lo schema accettato. Ciò che poi caratterizza l'arte del B. rispetto ai suoi modelli è il gusto della nota fiabesca nella descrizione del paesaggio, l'amore per una scenografia ingenuamente fastosa, e, nello stesso tempo, una ricchezza di particolari tutti espliciti, una grazia più terrena, se non proprio sensuale, nella descrizione della bellezza.

Anche nello stile del Trionfo si avverte il peso di una tradizione retorica che, persa ogni traccia del suo aulico rigore originario, si stempera in una sovrabbondanza di aggettivi e di ripetizioni. Accanto a questi relitti troviamo, però, e forse rivelano meglio la personalità del B., i modi ben noti alla poesia popolare e borghese: l'apostrofe diretta all'ascoltatore, la ripetizione dell'attacco delle terzine, l'accumulazione di particolari affastellati paratatticamente, la frequenza delle zeppe che aiutano a concludere il ritmo del verso; ed anche, notevole, il bisogno di una lingua più varia e colorita.

Recentemente è stata formulata l'ipotesi (M. Martelli) che al B. debba attribuirsi anche la Caccia di Belfiore, poemetto in ottave scritto intorno al 1460 che ebbe l'onore della stampa già nel 1485 e fu largarnente noto nella seconda metà del secolo: se ne ricordò certamente anche Lorenzo il Magnifico in diversi particolari della sua Uccellagione di starne. La Caccia fu tramandata adespota e poi erroneamente attribuita al letterato Agostino Staccoli di Urbino.

L'analisi stilistica ed il raffronto con le opere del B. (reso più sicuro dal fatto che questi usa spesso un frasario povero e monotono, che scompone e adatta alle varie situazioni) hanno permesso di individuare molte affinità della Caccia sia col Giardino sia col Trionfo: cadenze fisse, emistichi o addirittura interi versi, stilemi rimandano spesso ai versi del B.; lo stesso schema compositivo della visione (Venere in sogno fa assistere il poeta ad una caccia, cui partecipano nobili fiorentini del tempo, per consolarlo delle sue pene d'amore), con l'innegabile forzatura nell'accostare temi così eterogenei, ben s'addice alla tecnica sempre artificiosa ed esteriore delle costruzioni narrative del Bonciani. Se l'ipotesi, com'è probabile, coglie nel segno, questa è certamente la sua opera più felice.

Ridotta infatti a un cenno fugace la struttura della cornice, se nella Caccia è ancora visibile l'impaccio di uno stile celebrativo e generico nella presentazione iniziale dei personaggi, ben presto la narrazione si anima e acquista una precisione di tratti inconsueta nell'arte del B., che, non più costretto da uno schema esteriore rigido, può abbandonarsi liberamente alla descrizione di scene di breve respiro, ora mosse e vivaci, ora rapide e incisive. Eppure la precisione realistica dei gesti e la vivacità del linguaggio parlato non dissolvono quell'atmosfera di fiaba che avvolge anche questa "visione e anzi spesso le due componenti si incontrano in un felice equilibrio. Anche lo stile qui aderisce meglio alla vena narrativa, seguendo l'azione senza troppi indugi e ripetizioni.

Non conosciamo l'anno della morte del B.: nella portata del Catasto del 1469 e del 1480 egli non compare.

Bibl.: R. Renier, La discesa di Ugo D'Alvernia all'Inferno..., in Scelta di curiosità letterarie inedite orare dal sec. XIII al XVII, n. 194, Bologna 1883, pp. XVIII-XIX, n.; F. Flamini, Untrionfo d'amore del sec. XV, in IlPropugnatore, n.s., II, (1889), 10, pp. 139-164; Id., La lirica toscana del Rinascimento anterioreai tempi del Magnifico, Pisa 1891, pp. 165, 173, 450, 538; V. Rossi, Il Quattrocento, Milano 1960, pp. 260, 264; P. O. Kristeller, Iter Italicum, I, London-Leiden 1963, pp. 74, 297 (ove erroneamente si indica contenuto nel cod. C. 35. sup. dell'Ambrosiana il Trionfo del B. dedicato a Lorenzo di Tuccio Manetti); M. Martelli, Un recupero quattrocentesco: la Caccia diBelfiore, in La Bibliofilia..., LXVIII (1966), 2, pp. 109-163.

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