BERTIOLI, Antonio
Nacque a Parma il 23 genn. 1735, da Ignazio e Gerolama Vannini. Si laureò in giurisprudenza nell'ateneo cittadino, dove nel 1767 divenne titolare della cattedra di istituzioni e nel 1771 di quella di pandette.
A questi anni risalgono il commento In quattuor imperialium institutionum libros… (raccolta di lezioni tenute nel corso dell'anno 1767-68, curata da D. Pezzaleo) e il posteriore Trattato sulle Pandette (per ambedue v. Catalano-Pecorella, pp. 39 s.), opera quest'ultima non priva di interesse per il continuo tentativo di collazionare l'esposizione del testo romanistico con le parallele disposizioni di "diritto patrio". A temi di "diritto patrio" del resto il B. dedicò la maggior parte delle sue attenzioni; i suoi scritti nacquero infatti tutti a margine dell'attività forense o amministrativa, e risentendo quindi dell'assenza di un qualsiasi tentativo di elaborazione scientifica, nonché di interessi sistematici. Va detto d'altra parte che lavori come gli Studi in materia fiscale, di diritto regio ed ecclesiastico, conservati mss. nell'Archivio di Stato di Parma (Mazzatinti), assieme con i molti altri di tal genere di cui ci è pervenuta notizia, testimoniano non solo una vasta conoscenza del sistema di fonti statutarie, consuetudinarie, ducali che alimentavano il complesso regime giuridico del ducato, ma la piena consapevolezza dell'ampio margine di discrezionalità che nell'impiego di queste fonti era consentito all'autorità giudiziaria ed amministrativa, specie in materia fiscale e feudale, sia che ci si volesse indirizzare verso soluzioni più o meno regalistiche, sia che si volesse proseguire invece sui consueti binari patrimonialistici.
Tali attitudini collocano il B. al di fuori d'ogni prospettiva riformatrice, lungo una linea di condotta tradizionalmente realistica e ancorata al vecchio assetto giuridico ed amnunistrativo, propria del resto a larga parte del ceto forense degli Stati italiani nei secc. XVII e XVIII. Non sembra quindi esatto parlare, a proposito dell'attività giudiziaria ed amministrativa che egli svolse tra il 1779 ed il 1806 - cioè negli anni che vanno dalla politica eversiva della legislazione regalistica del Du Tillot, operata dal duca Ferdinando I di Borbone, allo stabilizzarsi dell'amministrazione francese -, di ambiguità politica, sibbene di prudenza e di accomodamento alle situazioni presenti, atteggiamenti connaturati alla stessa formazione culturale e giuridica del Bertioli.
Di tale prudenza raccogliamo un'eco in una lettera del Palmieri a S. de Ricci (10 ott. 1789), in cui si parla del giansenista G. Poggi che "per riguardo" allo zio (il B.) "almeno in apparenza" avrebbe "ceduto alle viste politiche" (Codignola, pp. 180 s.); ma assai più, a tale proposito, ci dice l'atteggiamento tenuto nei riguardi della politica ecclesiastica inaugurata dal duca Ferdinando I.
Il B., nominato nel 1779 avvocato fiscale della camera ducale e nel 1788 consigliere delle finanze e titolare della Commissione dei confini, ebbe occasione di intervenire più volte nelle iniziative ducali, come nel marzo del 1780, quando assieme con altri magistrati e funzionari del ducato presentava al duca una nota, volta ad impedire che questi inviasse al pontefice una lettera (preparata per le insistenze dell'abate Celleri), in cui affacciava i suoi scrupoli sulla legittimità canonica delle disposizioni contenute nella legge di perequazione dei tributi del 13 genn. 1765. Tali interventi, sulla base di lunghe note e memorie, ricche di argomentazioni erudite e di raffronti con la legislazione in materia degli Stati vicini, specie quello di Milano, furono da parte del B. frequenti, come testimoniano del resto i suoi Studi in materia fiscale…, in cui tale materiale trovasi raccolto e trascritto; ma certamente nel complesso l'atteggiamento del B. fu assai più cauto ed opportunista di quello di altri funzionari e magistrati ducali. Quando infatti nel marzo 1778 il duca Ferdinando I si orientò verso la restituzione agli ordini religiosi dei beni incamerati e già destinati, questo provvedimento provocò nelle magistrature del ducato forte scontento e portò alle dimissioni del Civeri, allora presidente del Supremo Consiglio di grazia e giustizia. Fu il B., con decreto del 3 sett. 1788, a prenderne il posto, acquisendo così una posizione di primo piano a corte e nella vita pubblica del ducato.
Negli anni successivi il B. svolse numerosi incarichi: nel maggio 1790 stese insieme con il delegato lombardo Giuseppe de Pecis un regolamento dei confini tra il territorio parmense e quello milanese, e nell'aprile del 1794, con la partenza del Ventura per la Spagna al seguito dell'erede ducale don Luigi, assunse di fatto la massima carica politica ed amministrativa del ducato. Ebbe in questi frangenti da svolgere alcune missioni diplomatiche, facendosi interprete dell'incerta politica del duca Ferdinando rispetto alle potenze europee. Nel maggio del 1794, recatosi a Milano, il B. firmò una convenzione che in ultima analisi legava il ducato alla coalizione antifrancese, sulle orme del patto austro-sabaudo di Valenciennes. iniziativa che modificava alquanto i cauti precedenti di neutralità, e trovavasi in non lieve contraddizione con la successiva missione che egli stesso dovette condurre, nel dicembre del 1795, a Madrid, al fine di regolare la posizione diplomatica e giuridica del ducato di Parma in seguito al trattato di Bâle (Bédarida, p. 165). Tornato in patria; era nominato dal duca consigliere intimo e ciambellano ed insignito del titolo di conte.
Sopravvenuta la dominazione francese, il B. conservava il suo posto alla testa della massima magistratura civile del ducato e veniva incaricato di redigere quella Raccolta di leggi, avvisi ed istruzioni concernenti le manimorte ed altri oggetti di suprema giurisdizione negli Stati di Parma, Piacenza e di Guastalla, che vedeva la luce in Parma nel 1803, e veniva incontro, con una organica raccolta, al richiamo in vigore della legislazione del Du Tillot, operato dai Francesi con i decreti dei 6 aprile e 12 maggio di quell'anno.
Il regime di transizione instaurato con l'avvento francese in Parma che conservava al duca Ferdinando la titolarità dei ducato, e alla sua morte (avvenuta nell'ottobre 1802) faceva passare quest'ultimo direttamente sotto l'anuninistrazione francese come possedimento, fino alla sua definitiva anunissione nell'ambito territoriale dell'impero (maggio 1808), rendeva indispensabile l'opera di uomini come il B. per la profonda conoscenza che questi aveva del vecchio apparato anuninistrativo e legislativo.
Fu proprio il B. ad essere incaricato, come presidente d'una commissione, di cui fecero parte P. Fainardi, L. M. Giordani, L. Fossa e F. Melagri, della redazione di quel Regolamento giudiziario in aggiunta alle costituzioni civili, ed in riforma delle consuetudini del Foro negli Stati di Parma, Piacenza, Guastalla…, stampato in Parma nel 1804 e promulgato con decreto del 10 gennaio di quell'anno, che può considerarsi come una tipica iniziativa di transizione tra il vecchio regime proceduralistico e la nuova legislazione imperiale del 1806.
Il B., che era stato elevato alla carica di presidente della Corte di giustizia criminale, morì a Parma il 10 ag. 1806.
Di lui, oltre alle già citate, vengono ricordate le seguenti opere edite: Parmensis haereditatis pro… Raynaldo et Antonio patre et filio Ferrari cum D. Marchionina Lucretia Torri Gozzi, Parmae 1761; Risposta per le Marchese Malaspina di Liciana… nella causa di preteso fedecommesso avanti l'eccelsa Dettatura di Parma, Parma 1781; una raccolta di Responsi legali non meglio identificata e vari scritti inediti ricordati dal Pezzana.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Parma, R. D. Camera, Ruolo di Parma (1776-1805), n. 46, p. 10; R. G. Univ.tà, n. 66, p. 78; H. Bédarida, Les premiers Bourbons de Parme et l'Espagne (1731-1802), Paris 1928, pp. 127, 141, 160, 164, 165; E. Codignola, Carteggi di giansenisti liguri, II, Firenze 1941, pp. 180 s.; Mem. degli scrittori e letter. parmigiani raccolte da p. I. Affò e continuate da A. Pezzana, VII, Parma 1833, pp. 350-358; G. B. Jannelli, Diz. biogr. dei Parmigiani illustri, Genova 1877, pp. 53-55; V. Benassi, G. Du Tillot, in Arch. stor. per le prov. Parmensi, n.s., XXV (1925), pp. 166, 167, 170, 173 ss.; G. Mazzatinti-A. Sorbelli, Inventari dei manoscritti delle Bibl. d'Italia, XX, p. 125; G. Catalano-C. Pecorella, Inventario ragionato dei manoscritti giuridici della biblioteca Palatina di Parma, Milano 1955, pp. 39 s.