BELPULSI, Antonio
Nacque in San Martino (Campobasso) dal dottor Francesco il 9 febbr. 1760, se sono esatte le notizie date dal Perrella. Allorché dopo la spedizione della squadra francese al comando del Latouche-Tréville nel 1793 fiorirono a Napoli numerosi clubs a carattere giacobino, il B. fu a capo di uno di questi e in relazione con alcuni dei noti elementi rivoluzionari della capitale, fra i quali Annibale Giordano. Sin dai primi suoi tentativi di propaganda, si servì del nome del reggente della Vicaria L. De Medici, col quale ebbe certo rapporti di amicizia, ma probabilmente non l'approvazione alle sue idee giacobine, come egli volle far credere. Quando iniziò la ricerca e il procedimento contro i congiurati del 1794 il B. si rifugiò in provincia a San Martino continuando ivi la diffusione dei principî rivoluzionari. Tornato a Napoli, a metà di novembre 1794 progettò con C. Lemaître, G. Spagnuolo e altri un grandioso piano insurrezionale che prevedeva un'azione nel Sannio e poi nella capitale, da realizzarsi non appena parte delle truppe borboniche fossero state inviate in Lombardia a sostegno dell'Austria.
Ma il B., forse dopo un colloquio col Medici, dal quale avrebbe compreso di trovarsi in posizione assai compromessa, decise di partire per la Francia, ove, secondo quanto disse agli amici, avrebbe cercato di procacciarsi due navi di munizioni da destinarsi alla progettata sollevazione, che subiva pertanto qualche ritocco nei piani.
Imbarcatosi in effetti con falso nome, il B. raggiungeva Livorno e quindi, salito su altra nave, Genova, ove otteneva dal rappresentante francese Villars una lettera di presentazione per i rappresentanti francesi a Nizza. Per via si incontrava col gen. Massena ad Albenga e si metteva in contatto epistolare coll'esule Pasquale Matera, aiutante di campo nell'esercito francese. A metà dicembre 1794 era a Nizza, ove presentò a capi militari e rappresentanti politici francesi e al Matera il suo piano, non riuscendo evidentemente a far trionfare le proprie idee: avrebbe semplicemente ottenuto l'approvazione al moto nelle province e alla relativa spedizione di un battello di munizioni con equipaggio di esuli napoletani.
Non se ne fece comunque nulla, e G. Caviglia, cui avrebbe dovuto essere affidato il comando del battello, abbandonava il B. per denunciarne le trame al governo di Napoli, ove tuttavia giungeva solo nell'aprile 1795 dopo l'arresto del Medici e l'istituzione di una nuova Giunta inquisitoria.
Il B. continuò nella Francia meridionale la sua propaganda: era intanto incluso fra gli inquisiti, più fortunato di altri giacobini molisani - tra i quali il fratello Giovanni - che non sfuggirono all'arresto.
Ritornò in patria coll'esercito francese, nel quale aveva già servito quale commissario in Piemonte nel 1796; e la Repubblica napoletana lo trovò fra i suoi maggiori difensori. Ed infatti egli ebbe il comando della Legione sannitica.
Come riferisce il Cuoco - che dice "ragionevole" il suo progetto - il B. avrebbe voluto presidiare le posizioni di Monteforte, di Benevento, di Cerreto e di Isernia, per tenere separati i gruppi di insorti che tendevano a riunirsi. Ma intraprese la sua spedizione quando i Francesi si erano già allontanati ed ormai non aveva a sua disposizione più di 250 uomini: contingente troppo esiguo per poter compiere azione di qualche rilievo contro le ormai imponenti forze del Ruffo. Lo scontro decisivo con queste truppe ebbe luogo a Marigliano e si risolse tragicamente, come riferì lo stesso Monitore napoletano del 1° giugno: "Quest'oggi è tornato qui il capo legione Belpulsi, ch'era partito comandando l'avanguardia. Egli ha avuto un'azione molto infelice a Marigliano cogli insorgenti. Egli ieri li aveva attaccati e respinti, cosicché ebbe campo di entrare pacificamente in Marigliano. Entratovi stamane, non si sa perché, ordinò di saccheggiarsi e bruciarsi il paese. I soldati dispersi furono circondati dagl'insorgenti che tornarono in maggior numero, ed egli non poté raccoglierli. Si deliberò quindi, secondo dicono alcuni dei suoi stessi ufficiali, non la ritirata, ma la fuga, gridando egli stesso: Si salvi chi può, e perdendo l'obice che esso portava, tre cassoni e buona parte della sua gente. Egli però si è costituito da se medesimo in arresto nel Castello dell'Ovo, offerendo di giustificarsi pienamente".
Il Colletta riferisce che dopo il crollo della Repubblica il B. riparò in Castel Sant'Elmo e qui fu prelevato dal comandante francese del forte e consegnato alla polizia borbonica. Non sappiamo donde egli abbia attinto la notizia ché il Cuoco, alludendo all'episodio, fa soltanto il nome del Matera, che successivamente fu processato e poi condannato a morte, mentre il B. non figura tra i giudicati e condannati da parte della Giunta di Stato.
Inoltre senza dubbio il B. era a Genova dopo Marengo perché ivi accolse fraternamente il Cuoco come questi raccontò in una sua lettera. Il suo nome riappare a metà luglio del 1802 a proposito di una macchinazione ordita da Girolamo Pignatelli, principe di Moliterno, il quale con la collaborazione di Domenico Fiore e del B. si era prefisso di allearsi con l'Inghilterra per fare insorgere il Regno e scacciarne i Borboni. Arrestato tra il settembre e l'ottobre 1802 per ordine di Napoleone, che peraltro non prese sul serio la congiura, e chiuso insieme con gli altri nella torre del Tempio, ne uscì soltanto alla fine dell'agosto 1803.
Nulla sappiamo delle sue seguenti avventure, ché molto vaghe e contraddittorie sono le notizie raccolte da opposte fonti dal Perrella. Il Marulli dice che "fuggendo in Lucera e nascostosi in un convento fu scoperto, poscia arrestato e consegnato alla polizia di Napoli che tosto lo fece decapitare". Ma egli non documenta tale notizia. Ed ignoriamo anche la data della sua morte.
Bibl.: G. Marulli, Ragguagli storici sul regno delle Due Sicilie, Napoli 1844, II, p. 249; C. Perrone, Storia della Repubblica partenopea, Napoli 1860, II, pp. 268, 290 ss., 311; III, pp. 324, 550; M. D'Ayala, Vite degl'Italiani benemeriti della libertà e della patria, Roma 1883, p. 440; M. Rossi, Nuova luce risultante dai veri fatti avvenuti in Napoli pochi anni prima del 1799, Firenze 1890, pp. 20, 193, 200; A. Perrella, L'anno 1799 nella provincia di Campobasso, Caserta 1900, pp. 425 ss.; G. Cogo, V. Cuoco, Napoli 1907, p. 54; B. Croce, Una famiglia di patrioti, Bari 1919, pp. 117, 118; V. Cuoco, Scritti vari, a cura di N. Cortese e F. Nicolini, Bari 1924, II, pp. 301, 365; B. Croce, La rivoluzione napoletana del 1799, Bari 1926, pp. 420 s.; V. Cuoco, Saggio storico sulla rivoluzione napoletana del 1799, a cura di N. Cortese, Firenze 1926, pp. 263, 272, 278, 279; A. Simioni, Le origini del risorgimento politico nell'Italia meridionale, II, Messina 1931, p. 225 e passim; N. Nicolini, Luigi De Medici e il giacobinismo napoletano, Firenze 1935, pp. 34, 39 s.; Id., La spedizione punitiva del Latouche-Tréville (16 dicembre 1792) ed altri saggi…, Firenze 1939, pp. 110-127 e passim; B. Croce, Aneddoti di varia letteratura, III, Bari 1954, pp. 319 s., 346-48; P. Colletta, Storia del reame di Napoli, a cura di N. Cortese, Napoli 1959, II, p. 97.