BEGARELLI, Antonio
Nacque a Modena verso la fine del sec. XV da mastro Giuliano fornaciaio.
La data di nascita si ricava dalla Cronaca del Lancilotto, in cui alla data 11 marzo 1524 il B. è ricordato come "zovane d'anni 25". La contemporaneità, della testimonianza parrebbe decisiva, anche, se è stata sottolineata la contraddizione con quanto afferma lo stesso Lancilotto nel Citalogo del 1543, in cui si attribuiscono al B. "anni 35 in circa", come pure con il Forciroli (1586) che indica come data di nascita il 1479.
Il B. è ricordato per la prima volta il 22 dic. 1522 a proposito di una Madonna di terracotta, che non può essere identificata con quella compiuta nel 1528 - acquistata dalla Comunità. Ma il documento, di lettura non agevole, ha finito per alimentare nuovi dubbi attorno alla cronologia del giovane Begarelli. Inequivocabile, per contro, la già citata testimonianza del 1524, anno in cui la compagnia di S. Bernardino aveva preparato la cappella destinata ad accogliere la Pietà del B., gruppo compiuto non prima del 1526 e nel 1795 - demolita da tempo la chiesa della Compagnia - trasferito in S. Agostino, dove tuttora si conserva. Del medesimo periodo è sicuramente il sepolcro del protonotario apostolico Gian Galeazzo Boschetti nella parrocchiale di San Cesario, presso Modena: quel personaggio era, infatti morto a Roma, nel 1524. Alla data 20 apr. 1527 il Lancilotto annota: "M. Antonio de Zulian Bregarelo ha fato el presepio che è soto la ancona di San Sebastian in Domo, et posto in dito loco". Il Presepio alla fine del secolo XIX fu tolto dalla collocazione originaria e sistemato nella navata di destra della cattedrale, in una nicchia protetta da un vetro. Ancora il Lancilotto riferisce che il 14 genn. 1528 si stava provvedendo a collocare sulla facciata del palazzo del Comune la grande statua della Vergine compiuta alcuni mesi prima dal B., cui era spettato un compenso di lire 100, elevato poco dopo a lire 120 in occasione della definitiva coloritura (21 ott. 1528). Nello stesso anno la Comunità deliberava di accordare, all'artista una piccola pensione.
Le scarse notizie sopra riportate sono tutto quanto sappiamo intorno alla giovinezza del B., la cui formazione artistica è ancora lontana dall'essere chiarita. Mentre è verosimile che egli traesse dalla consuetudine col padre fornaciaio il primo impulso a modellare la creta, èben certo che in Modena fioriva una tradizione assai viva di plasticatori: da Benedetto degli Erri e Galeotto Pavesi, operosi nel cuore del Quattrocento, ai più moderni Giovanni dell'Abate e Guido Mazzoni: questi ultimi artisti, assieme ad Alfonso Lombardi, sono quelli che le fonti citano con più insistenza come maestri del Begarelli. La lettura stilistica delle opere giovanili del B. sembra tuttavia suggerire, accanto, a qualche debito verso il realismo mazzoniano, la chiara prevalenza di una componente classica, che è ragionevole collegare con l'affermarsi della cultura raffaellesca interra padana. Interessante appare il contatto con, Bartolomeo Spani nel sepolcro Boschetti, immaginato, come un sarcofago sorretto da mostri marini e sormontato dalla figura del defunto che si solleva sui gomiti in atto di leggere, mentre lo circondano due putti reggifiaccola e una fama alata. Una descrizione ottocentesca (Magnani, p. 23) ci permette, di sapere che il monumento a Francesco e Lionello Belleardi (1529), già in S. Francesco e distrutto nel 1805, doveva apparire assai simile al sepolcro Boschetti; oltre alle figure dei defunti, il B. aveva impostato sul sarcofago una figura di Redentore che rimanda ancora a un confronto con il reggiano Spani (monumento di Bertrando de' Rossi nella Steccata. di Parma).
Del sepolcro Belleardi rimangono alcuni splendidi frammenti: due testine di angeli e il busto di Lionello (Modena, Galleria Estense). Gli innegabili ricordi del Mazzoni, che si avvertono nella Pietà di S. Agostino e nel Presepio del duomo, permettono di misurare quanto profondo sia il divario che separa l'aspra poesia naturalistica del più antico maestro dalla fluida sintassi formale del B., che tende ad assorbire in composte cadenze classicistiche gli episodi di più scoperta espressività; esemplare in questo senso il Presepio del duomo, la cui, superba freschezza d'invenzione è stata purtroppo compromessa dalle sfortunate vicende esterne: la sovrapposizione di pesanti stuccature, il trafugamento di alcuni pezzi verso la metà del Seicento e le alterazioni apportate alla composizione del gruppo. Le singole statuette appaiono tuttora modellate con una eleganza in cui è stato colto uno squisito presagio di Arcadia. Diverso il respiro della grande Madonna col Bambino e s. Giovannino del palazzo comunale (1527-28) - ora nel Museo civico di Modena maestosa immagine che può rammentare le ancone di Girolamo da Carpi.
I consensi toccati alle prime opere procurarono ben presto al B. numerosissimi incarichi da parte di chiese e comunitì di Modena; e con l'irúzio del quarto decennio del sec. XVI prende avvio la stagione più intensa, ed anche più alta, dell'operosità dell'artista. Il Lancilotto annota che in uno stesso giomo, il 10 ag. 1531, furono esposte al pubblico due opere del B., entrambe cospicue: una statua di S. Maria Maddalena eseguita per la cappella Belleardi al Carmine e una. grande Deposizione per la chiesa di S. Cecilia, per cui l'artista ebbe un compenso di "scuti più de 300". Quest'opera è ora collocata in capo alla navata sinistra di S. Francesco; la Maddalena, al contrario, è andata perduta e sappiamo soltanto che l'opera divenne presto famosa come "la gran Maddalena del Begarelli" e che esisteva ancora intorno alla metà del Seicento. Il 24 ott. 1532 lo scultore si impegnava ad eseguire per 32 scudi quattro statue destinate al dormitorio del monastero benedettino di S. Pietro (la Vergine col Bimbo, S. Giustina, S. Pietro e S. Benedetto); le statue, assieme con altre due (S. Francesco e S. Bonaventura)non documentate, ma verosimilmente eseguite in un periodo non molto diverso, lornano ora la navata centrale della chiesa. Subito dopo il 1534 è giusto porre un gruppo di terracotte eseguite per la chiesa di S. Salvatore: il termine post quem è costituito dalla notizia dell'incendio che distrusse in quell'anno la chiesa, ben presto ricostruita. Le sculture di S. Salvatore, da annoverare tra le cose più felici del B., comprendono: una Vergine col Bambino, un Battesimo di Cristo e un Cristo morto sorretto dagli angeli e sono ora conservate nella Galleria Estense. Dai Pagani (1770) sappiamo che la Vergine era circondata da quattro angeli, che però più tardi - come riferisce il Valdrighi (1824) - pervennero a un Giuseppe Malavasi, il quale se ne valse per unirli ad un. Crocefisso, anch'esso del B., costituendo un nuovo gruppo. Sulla tkàccia di questa testimonianza e di un'incisione del Tomba (1823), Si è identificato l'altare Malavasi con l'insieme conservato negli Stanfliche Museen di Berlino. I due Angeli volanti, come i due Angeli reggifiaccola di Berlino facevano dunque parte dell'altare di S. Salvatore di cui la Madonna dell'Estense costituiva il centro.
Nel 1536 il B. è a Ferrara per eseguire alcuni lavori per conto di Alfonso I d'Este. Un rogito del 15 ott. 1539 testimonia che il B. in quel tempo possedeva con il fratello e i nipoti una casa attigua al monastero dei benedettini "in la ruva appresso San Pedro". Il 1543 costituisce il sicuro termine ante quem per la datazione di alcune sculture eseguite per i monaci benedettini di Parma: in quell'amo infatti l'àrtista compiva attorno alle statue alcuni lavori di restauro e di doratura. Le statue rappresentano La Vergine col Bambino e s. Giovannino (che reca sul basamento l'iscrizione "Antonii Mutinensis"), S. Felicita, S. Benedetto e S. Giovanni Evangelista e sono collocate ora nel transetto della chiesa di S. Giovanni Evangelista. Alle opere suddette si possono avvicinare con sicurezza altre non documentate: il complesso della parrocchiale di Bomporto (Modena), che comprende, oltre alla Crocefissione tuttora in situ, un S. Pellegrino e un S. Francesco ora nella Galleria Estense di Modena, tutte cose stilisticamente vicine alla Deposizione del 1531; la Madonna del latte della Galleria Estense, statuetta che riprende con incantevole freschezza i motivi, formali della Madonna di S. Salvatore; la Vergine col Bambino ès. Giovannino degli Staatliche Museen di Berlino, omaggio diretto alle Madonne di Raffaello; una Testa di s. Benedetto nel Museo di Antichità di Parma.
In non poche delle opere del quarto decennio il B. sembra raggiungere una classicità di primo rango che invita a reperime le fonti in un giro di cultura ben più vasto di quello proprio della città natale dell'artista. Si è già accennato ai possibili agganci con la cultura raffaellesca emiliana, cui davano un contributo non secondario le incisioni di Marcantonio Raimondi e i chiaroscuri di Ugo da Carpi, di un timbro, questi, singolarmente vicino al gusto del Begarelli. Ma certo stimoli più vigorosi potevano venire all'artista sia dalla pìesenza in Emilia di testi di Raffello stesso (Madonna di S. Sisto di Piacenza, S. Cecilia di Bologna) sia dalle intelligenti assimilazioni degli esempi raffaelleschi operate, tra Ferrara e Bologna, da Girolamo da Carpi, dal Garofalo, dal Francia.
A questo punto è necessario accennare al sicuro contatto con il Correggio, ricordato concordemente dagli antichi scrittori. La crescita prodigiosa dell'Allegri tra Correggio, Modena e Parma esercitò certamente un fascino profondo sul plasticatore modenese: e baster'èbbero a provarlo la Madonna della Galleria Estense o le statue di S. Giovanni a Parma, tutti pezzi di una fluidità fimale che può ben dirsi correggesca. Anche, nella Deposizione di S. Francesco è possibile cogliere qualche riflesso del Correggio più patetico. Ma sembra leggenda la notizia - riferita già da S. Resta, (Campori, pp. 476s.) e da F. Scannelli (Il Microcosmo della Pittura, Cesena 1657, p. 63) - chelo scultore preparasse modelli di terracotta per l'Allegri impegnato a compiere la decorazione della cupola del duomo di Parma (1526-30); come anche l'asserzione che il Correggio collaborasse con lo scultore nella Deposizione del 1531, modellando di sua mano tre figure. Non del tutto prive d'interesse, inoltre, le congetture riferite dal Pungileoni su un possibile viaggio romano del B., ipotesi che non sarebbe forse inutile riesaminare in rapporto alle nuove risultanze critiche maturate attomo al problema del Correggio a Roma. La notizia, riferita dal Vedriani, che il B. fu invitato ad Aversa, insieme col nipote Lodovico, dall'abate Alfonso da Napoli per modellare tredici statue, potrebbe avvalorare l'ipotesi ricordata dal Pungileoni, anche se essa identificava nel viaggiò romano un episodio importante per la formazione del giovane plasticatore, mentre l'andata ad Aversa dovette cadere in epoca più avanzata. Mette conto di essere ricordato - se non altro perché riflette l'alta stima rivolta dal Vasari all'opera del B. - l'episodio leggendario, riferito a punto dallo storico aretino, di Michelangelo che dinanzi alle sculture del B. avrebbe esclamato: "Se questa terra diventassi marmo guai alle statue antiche!". Il Vasari accenna anche alla consuetudine del B. di coprire la terracotta "di colore di marino": purtroppo questo aspetto della plastica begarelliana ci è pressoché sconosciuto, dal momento che oggi ci troviamo dinanzi a statue che hanno sofferto grossolane ridipinture o, al contrario, hanno perduto ogni coloritura per tornare a mostrare la superficie grezza del cotto. Sulla base dell'esame dei pezzi meglio conservati, possiamo arguire che l'artista usasse levigare dapprima la superficie delle sculture con un leggero strato di stucco, per poi sovrapporvi una delicata tempera color avorio, non senza ricorrere all'oro zecchino per profilare orli di vesti e particolari decorativi.
Anche gli ultimi due decenni dell'attività del B. sono accompagnati da -un sufficiente numero di testimonianze e di documenti. Il 19 genn. 1544 i monaci di S. Pietro pagano all'artista un acconto per le statue che in quel momento egli stava eseguendo per il capitolo: si tratta del gruppo della Pietà (ora nell'abside di destra della chiesa) che il Lancilotto ebbe modo di vedere già collocato nel marzo del 1546. Da, un atto notarile risulta che nel 1548 sia il B. sia il nipote Lodovico erano assenti da Modena: non è impossibile che questa assenza sia da porre in rapporto con il viaggio nel Napoletano di cui si è fatto cenno. Di un altro probabile viaggio compiuto dal B. qualche anno più tardi si trova testimonianza indiretta in una lettera (Campori, 1866, pp. 50 S.) di Girolamo Falletti - uomo di corte del duca di Ferrara - che in data 12 sett. 1554 riferisce della visita di Filippo II a Londra e degli apparati allestiti in suo onore:' tra questi aveva colpito l'attenzione del Falletti un "arco trionfale nella cima del quale era a cavallo il re, di statura molto grande, riccamente e ben fatto di mano del Modena". Se si pensa che nel Cinquecento il B. era noto appunto con questo appellativo, ripetuto anche dal Vasari, è possibile si debba identificare il plasticatore impegnato a Londra in occasione delle nozze di Filippo II e di Maria, la Cattolica, con il B. stesso. A una fortuna europea dell'opera dell'artista modenese accenna del resto il Vedriani, che sottolinea come le sue terracotte fossero ricercate e conservate quali "cose rarissime" per tutta l'Europa. Il 22 marzo 1559 il B. si impegna a eseguire trentuno statue destinate a ornare la chiesa abbaziale di San Benedetto di Polirone (od. San Benedetto Po, Mantova), per il compenso di 10 scudi mantovani per ogni statua. Già nel 1553 si era stipulato il contrattofra il monastero benedettino di Modena e il B. per l'esecuzione del grande altare di S. Pietro, che avrebbe dovuto essere compiuto nello spazio di due anni. L'imponente opera fu portata avanti con molta lentezza e, dopo aver occupato gli anni estremi 'dell'attività dell'artista, non era ancora finita quando il B. morì il 28 dic. 1565 (Forciroli), ricevendo sepoltura nella stessa chiesa benedettina; i lavori furono continuati da Lodovico Begarelli. Alcune note di pagamenti accennano a nuove opere ora perdute eseguite dal B. per la chiesa di S. Giovanni a Parma nel 1558 enel 1561. Per contro nessun documento permette una sicura datazione del maestoso gruppo di Cristo in casa di Marta e Maria della chiesa di S. Domenico a Modena, già ricordato dal Vasari, una delle opere piùimpressionanti del B. per potenza di modellato ed icasticità espressiva. Da aggiungere a queste opere il busto in terracotta di Carlo Sigonio, conservato nel coretto a sinistra dell'altar maggiore in S. Agostino. Il complesso di San Benedetto Po - una vera folla di santi, di martiri e di profeti che orna il portico, la facciata e l'intemo della chiesa di Giulio Romano - mostra notevoli disuguaglianze qualitative dovute all'intervento di collaboratori, tra i quali è assai probabile fosse il nipote Lodovico. Anche per il grande altare di S. Pietro si affacciano, come si è detto, problemi di collaborazione: ma il solenne gruppo dei quattro Santi sembra spettare al B. in un momento di vigorosa eloquenza prebarocca. Il B. conclude qui la sua. laboriosa vicenda di plasticatore, che per dovizia di cultura e schiettezza di sentimento possiamo considerare tra le testimonianze più autentiche della scultura italiana del Cinquecento.
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