BECCADELLI, Antonio
Figlio del cavalier Arrigo, nacque a Palermo nel 1394; morì a Napoli il 19 gennaio 1471. La famiglia, originaria di Bologna, si era poi trasferita a Palermo, donde Antonio si denominò Panormita. Lasciò nel 1419 Palermo e, toccando Firenze, si recò allo studio di Siena, dove erano altri siciliani studenti e maestro il celebre canonista catanese Nicola Tudisco, a frequentarvi i corsi di legge. Da Siena intorno alla metà del 1425 si trasferì allo studio di Bologna, che doveva forse essere la sua meta primitiva quando uscì di Sicilia, e vi rimase fino al 1° agosto 1427; poi abitò Firenze quasi cinque mesi; nel dicembre ripartì per Roma, trascorrendovi tutto l'anno seguente (1428). Nella primavera del 1429, lasciata Roma e fatta a Genova una visita al governatore, che era allora l'arcivescovo milanese Bartolomeo della Capra, andò a stabilirsi a Pavia con una doppia mira: di terminare gli studî giuridici e di ottenere un collocamento presso il Visconti. Difatti il 1° dicembre 1429 fu nominato dal Visconti poeta aulico, e nel maggio del 1432 coronato d'alloro a Parma dall'imperatore Sigismondo. Ebbe anche una condotta nello studio pavese per gli anni 1430-31; ma nel 1432-33 lo stipendio dalla somma signorile di quattrocento fiorini d'oro discese all'elemosina di trenta fiorini: e questo egli s'era meritato. Fuggì da Pavia al principio del 1434, e raggiunse a Palermo il re Alfonso, col quale passò nel continente; e da allora visse sempre alla corte aragonese, lasciando a Napoli un imperituro monumento nell'Accademia Antoniana, indi Pontaniana. Intraprese per conto d'Alfonso tre ambascerie: una a Firenze nel marzo 1436, un'altra nel gennaio 1451 a Roma, Firenze, Ferrara, Bologna, Venezia in compagnia del giovinetto Gioviano Pontano; una terza a Genova nell'ottobre del 1453. Si ammogliò due volte: con una Filippa in Lombardia, morta di parto nel 1443; con Laura Arcelli a Napoli nel 1445, dalla quale ebbe più figli. Resta così definitivamente stabilita la cronologia beccadelliana, che tanto affaticò gli studiosi.
Il nome del Panormita divenne d'un tratto celebre con la pubblicazione dell'Hermaphroditus, una collezione di epigrammi amorosi, encomiastici, satirici, in due libri. La forma e lo schema trasse dai Priapea e da Marziale, la materia la colse dai costumi e dai personaggi studiati nelle due università di Siena e di Bologna, dove le consuetudini rumorose e licenziose degli scolari s'intrecciavano in avventure ora salaci, ora patetiche con le figlie dei cittadini. E tutta quella materia era espressa in distici fluidi e sonori.
L'Hermaphroditus uscì a Bologna nel settembre del 1425, accolto dagli applausi della maggioranza, che soverchiarono le recriminazioni degli scandalizzati. E il Panormita se ne avvantaggiò, avendo compreso che il suo mestiere non era di far l'avvocato, ma di trascorrere una vita comoda poetando al servizio di un personaggio illustre o di un principe. Tentò dapprima nel 1426 a Firenze con Cosimo de' Medici e con Giacomino Tebalducci, poi a Mantova col Gonzaga, indi nel 1427 a Ferrara con l'Estense, da ultimo nel 1429 a Milano col Visconti: e questa volta riuscì. Il Visconti voleva il poema epico. Egli lo capì; e capì che con gli epigrammi non poteva più continuare, onde egli stesso a poco a poco fece dimenticare e quasi ripudiò l'Hermaphroditus. Ma il poema epico non venne. Il Panormita si piccò anche di critica e provò a legger Plauto, ma senza successo. Meglio riuscì nell'aneddoto, come apparisce nei quattro libri De dictis et factis Alphonsi regis Aragonum. Tenne frequentissima corrispondenza con gli amici; una parte giace disseminata in centinaia di manoscritti, perché le sue lettere, anche se non hanno un grande valore storico, sono piacevoli e venivano volentieri esemplate. Due sillogi autografe sono nei codici vatic. lat. 3371, 3372.
Bibl.: L. Barozzi e R. Sabbadini, Studi sul Panormita e sul Valla, Firenze 1891, pp. 1-47; R. Sabbadini, Ottanta lettere inedite del Panormita, Catania 1910, pp. 3-167; e ivi M. Catalano, Nuovi documenti sul Panormita, pp. 169-209; R. Sabbadini, Come il Panormita diventò poeta aulico, in Archivio storico lombardo, XLIII (1916), pp. 5-28; id., L'orazione (apocrifa) del Panormita al re Alfonso, in Giorn. stor. della letteratura ital., XXXI (1898), pp. 246-50; id., Un biennio umanistico, in Giornale storico d. letteratura italiana, suppl. 6, 1903, pp. 85-87, 106-19; id., La più antica lettera del Panormita, in Il libro e la stampa, IV (1910), pp. 113-17; id., Storia e critica di testi latini, Catania 1914, pp. 339-50, 398; M. Natale, Antonio Beccadelli, Caltanissetta 1902; R. Valentini, Sul Panormita, in Rendic. R. Accademia dei Lincei, XVI (1907), pp. 456-90; A. Cinquini e R. Valentini, Poesie latine inedite di A. Beccadelli, Aosta 1907; V. Laurenza, Il Panormita a Napoli, Napoli 1912; R. Garzia, Consensi e dissensi, Bologna 1924, pp. 7-82.