BARBARO, Antonio
Nato a Venezia nel 1627, terzo dei cinque figli di Carlo e Marietta di Francesco Diedo, svolse durante la sua non lunga vita un ruolo notevole, in particolar modo nel carso della guerra di Candia. Dapprima gavernatore di nave e capitano da Mar (cfr. Arch. di Stato di Venezia, Provveditori da Terra e da Mar, 1401), partecipò, nel 1653, ad una operazione guidata dal capitano generale Leonardo Foscolo contro il forte turco di Malvasia nella Morea. Eletto capitano del Golfo nel 1654 (cfr. Provveditori da Terra e da Mar, 1280), catturò, fra l'altro, una galeotta e incendiò dodici brigantini nel golfo di Lepanto. Il 21 giugno 1655 ebbe il comando dell'ala destra dello schieramento veneto, guidato da Lazzaro Mocenigo, che quel giorno stroncò il tentativo turco di rompere il blocco dei Dardanelli.
Un anno dopo, il 26 giugno 1656, partecipò ad una ancora più cruenta battaglia, sempre all'imboccatura dei Dardanelli: Venezia vi perse il capitano generale Lorenzo Marcello e tre navi, mentre i Turchi, gravemente battuti, ripararono con sole quattordici navi, avendone perdute ottantaquattro, e cedettero l'isola di Tenedo. Il B. anche questa volta guidò l'ala destra, la più bersagliata dai colpi dell'artiglieria costiera turca. Dopo la battaglia, l'indole superba, la facilità ad abbandonarsi a sfoghi e risentimenti, il non sapere né volere adattarsi ai comandi altrui posero il B. in serio contrasto con il provveditore d'armata Barbaro Giacomo Badoer, con il quale era in disaccordo sulla condotta delle operazioni future. L'incidente fu provocato da frasi ingiuriose pronunciate dal B. nei riguardi dei Maltesi, a causa soprattutto d'una galera sottratta al Turco, di cui essi rivendicavano il possesso; il Badoer redarguì aspramente il B. e gli ordinò di rimanere a disposizione nella propria galera. Il B. attribuì comunque al malanimo del provveditore d'armata, dettato da ragioni soltanto private, il provvedimento adottato nei suoi confronti.
Il 3 maggio 1657 il B. fu ferito alle spalle nelle acque di Scio; riuscì tuttavia a catturare una galera algerina; in seguito prese parte allo scontro - durato tre giorni, dal 17 al 19 luglio 1657 col quale i Turchi riuscirono a rompere il blocco veneziano ai, Dardanelli ed a recare notevoli rinforzi alle proprie truppe a Candia. Il B. comunque riuscì ad impedire il congiungimento della flotta turca con la squadra proveniente da Rodi. Nell'agosto dello stesso anno soccorse Tenedo e, decisone l'abbandono, protesse lo sgombero.
Nominato nel 1658 provveditore d'arm ata (cfr. Provv. da Terra e da Mar, 1230), nel 1659 catturò, insieme al capitano del Golfo Gerolamo Pesaro, due galere nemiche con il carico quasi completo e l'anno successivo partecipò a vari scontri.
Ma una gravissima accusa venne ad interrompere questa sua attività bellica: il 13 febbraio 1661 il capitano generale Francesco Morosini gli ordinò di presentarsi entro tre giorni per difendersi da quanto era risultato nella "construttione del processo formato col rito di secretezza sopra il fatto che segui li 17 settembre [1660] contro il campo e sotto la fortezza de' Turchi di riscontro a Candia, come pur anco anteriormente nell'acquisto di Castel Ruzo". Il B. era accusato di non aver saputo guidare le truppe, anzi di aver permesso, nonostante le disposizioni impartitegli, che procedessero intempestivamente e disordinatamente, apportando, di conseguenza, un imperdonabile scompiglio a tutto il complesso delle operazioni. Orgogliosa fu la replica del B. al Morosini, dello stesso giorno: "assicurato dalla propria conscienza et innocenza", rifiutò il giudizio del Morosini, lo pregò di trasmetterlo a Venezia, ove egli si sarebbe recato per respingere l'infamia delle "machinate imposture" che gli "vengono indebitamente adossate" (cfr. la citazione a giudizio e la risposta al Civ. Museo Correr di Venezia, cod. Cicogna 305418). E a Venezia, ove godeva di appoggi e conoscenze, la Quarantia criminale lo assolse.
Consigliere nel 1662, nel 1666 si recò come "venturiero" alla difesa di Candia, ma ben presto, subentrando ad Antonio Priuli, fu nominato provveditore generale dell'arme nel regno di Candia (cfr. Provv. da Terra e da Mar, 821). Ampi i poteri - lo attesta la commissione inviatagli dal doge Domenico Contarini (Museo Correr, Rip. Commissioni, n. 20) - connessi alla carica: doveva, fra l'altro, soprintendere al vitto, all'alloggio, alla disciplina delle milizie, alle fortificazioni.
Vastità d'attribuzioni che, per l'autoritarismo del B., non poteva non creare attriti e conflitti di competenza specie col capitano generale Francesco Morosini, già suo accusatore, e col marchese Francesco Villa Ghiron, uno dei più abili tattici dell'epoca, che il duca di Savoia, Carlo Emanuele II, aveva inviato a Candia con due reggimenti. Col primo la rivalità sfiorava l'inimicizia (e, non certo a caso, sarà proprio un amico dei B., Antonio Correr, colui che, caduta Candia, incolperà il Morosini d'aver stipulata "una pace mostruosa"); quanto al Villa, si opponeva alla pretesa del B. di sovrintendere a tutti i soldati che si trovavano nell'isola, e quindi anche al contingente piemontese.
Questi dissensi, però, non diminuirono il contributo del B. alla difesa: e dirà più tardi nella sua relazione di Dalmazia del 4 genn. 1672 (Bibl. Naz. Marciana di Venezia, cod. misc. 8248 [MMXXVIII, cl. VII, cc. 193 r-217 v; altro es. al Correr, cod. Cicogna 2525, n. 47) di aver "opposto il petto a, più robusti sforzi dell'inimico con favore così proprio del cielo" che sino "al partir suo di Candia non havevano li Turchi un palmo di terra guadagnato". Il Senato, tuttavia, preoccupato del riflettersi nei gradi minori di tali rivalità al vertice, fu indotto dalle lagnanze del Morosini e dalla richiesta dello stesso B. ad accordargli, nell'ottobre del 1667, licenza di tornare a Venezia. Di nuovo consigliere nel 1668, alla fine del 1669 il B. era provveditore generale, governatore civile e militare cioè, di Dalmazia ed Albania, con in più l'assai scabroso compito di comporre le controversie di confine, ché la pace coi Turchi del settembre di quell'anno era stata poco chiara su questo punto (cfr. Provv. da Terra e da Mar, 384, 506, 507).
In tale pace infatti erano state riconosciute le conquiste venete in Dalmazia e Bosnia, ma solo Clissa era stata esplicitamente nominata. Pertanto, mentre da una parte - specie dai Morlacchi, ferocemente antiturchi - si pretendeva che alla Serenissima spettassero i territori ove sino alla pace aveva fatto scorrerie, dall'altra i Turchi le volevano riconoscere solo quei luoghi che fossero stati presidiati, mantenuti e difesi per tutto il corso della guerra; e questa differenza d'interpretazione provocava frequenti scontri tra le popolazioni ostili. Il B., il quale affermò nella citata relazione di non aver trovato, "fermati appena i primi passi nella carica, ...di pace altro che il nome e la speranza", esplicò tutta la sua energia nella difesa degli interessi veneti; la forza d'altronde era necessaria poiché, morto Ibrahim, pascià di Bosnia, che col B. era in amichevoli rapporti, il pascià successogli, Mehemed, si mostrava troppo sensibile alle pressioni antiveneziane dei Bosniacì e troppo intollerante e rigido sostenitore delle loro esigenze.
Affidata la delimitazione dei confini a Battista Nani e al bassà di Buda, i quali si accordarono col trattato del 30 apr. 1671, il B. fu richiamato a Venezia, ove gli venne conferita la podesteria di Padova, che tenne tra il 1672-73 (cfr. Arch. di Stato di Venezia, Capi del Consiglio dei X. Lettere di Rettori e di altre cariche, 95, 96). Fu nominato poi ambasciatore a Roma, ove risiedette dall'ottobre del 1675 al marzo del 1678; burrascoso periodo per il B., il quale pretendeva per le persone del suo seguito una larghissima immunità, alla quale si opponeva il pontefice Innocenzo XI per ragioni di prestigio e fiscali ad un tempo.
Richiamato in patria, anche per non inasprire ulteriormente i rapporti con la Curia, morì nel 1679; lasciò, tra l'altro, un legato di 30.000 ducati per l'erezione del prospetto marmoreo della chiesa di S. Maria del Giglio, ove, nel mezzo dell'ordine superiore, tra quelle dell'Onore e della Virtù,s'ammira la sua statua dovuta a Giusto Le Court.
Fonti e Bibl.: Venezia, Bibl. Naz. Marciana, Cod. Ital., cl. VII, 8304 (XV), G. A. Capellari Vivaro, Il Campidoglio veneto, I, c. 101 v; Id., ms. non numerato, Cod. Ital., cl. VII, 7621 (MDCCCXVIII); Le macchie nelle stelle; Ragguaglio della vittoria navale conseguita a. Dardanelli dall'Armata della Ser. Rep. veneta sotto il comando del già ill. et ecc. sig. L. Marcello capitan gener. da Mar, contro l'armata turchesca il 26 giugno 1656, Venetia 1656 [riprod. nel 1918], pp. 3, 6; A. Moro, Oratio super insigni Venetorum victoria die 26 Iumi Anno 1656 de Turcis reportata, Amstelodami 1658, pp. 14, 38; F. Sansovino, Venezia città nobilissima, et singolare, Venezia 1663, pp. 730, 732, 737, 740; J. du Cros, Histoire des voyages de monsieur le marquis Ville en Levant et du siège de Candie, Lyon 1669, pp. 82 s., 85, 87, 94, 98, 111, 133, 152, 190, 193, 205, 249, 250, 283; G. Fiorelli, Detti e fatti memorabili del Senato e Patritii veneti, Venezia 1672, pp. 245 s.; G. Brusoni, Historia dell'ultima guerra tra Veneziani e Turchi, I-II, Bologna 1674, passim; B. Nani, Historia della repubblica veneta, Venetia 1676, pp. 120, 136, 231; A. M. Vianoli, Historia veneta, II, Venezia 1684, pp. 618, 625, 632, 637, 658, 664, 684, 688; G. Graziani, Francisci Mauroceni gesta, Patavii 1698, pp. 73, 126, 127; M. Foscarini, Historia della repubblica veneta, Venetia 1699, pp. 14, 15, 16; G. Graziani, Historiarum. venetarum libri XXXII, Patavii 1728, 1, V. 808; II, passim; A. Arrighi, De vita et rebus gestis Francisci Mauroceni, Padova 1749, pp. 54, 79 s.; G. Diedo, Storia della repubblica di Venezia dalla sua fondazione sino l'anno 1747, III, Venezia 1751, pp. 187, 232, 246, 248, 251, 264, 287, 288, 289, 291; M. A. Laugier, Histoire de la république de Venise, XII, Paris 1768, pp. 13, 50, 115-117; A. Valiero, Storia della guerra di Candia, II, Trieste 1859, pp. 15, 42, 67, 136, 268, 271, 280; E. Celani, Di una carta a penna raffigurante la battaglia navale dei Dardanelli (26 giugno 1656), in Nuovo arch. veneto, IX (1895), pp. 460, 463, 464; F. de Boiani, Innocent XI. Sa correspondance avec ses nonces, Rome 1910, 1, pp. 267, 637, 640, 643, 646, 65I, 653, 654; 11, pp. 132, 138, 424, 478, 489, 522; G. Ferrari, La battaglia dei Dardanelli (1656-1657), in Memorie stor. militari, IX (1913), pp. 35, 38, 40, 50, 51 s., 55, 74, 76, 99, 107, 172, 181, 185, 187, 223; G. Damerini, Morosini, Milano 1924, pp. 93 s., ISO; M. Nani Mocenigo, Barbaro Iacopo Badoer, Roma 1931, pp. 8, 9, 10 s., is; Id., Guglielmo degli Azzoni Avogadro (1599-1661), Pisa 1931, pp. 19 n. 1, 23, 25, 26; Id., Storia dalla marina veneziana da Lepanto alla caduta della repubblica, Roma 1935, passim; Id., Glorie mediterranee italiane, Venezia 1937, pp. 168, 173, 178; L. v. Pastor, Storia dei papi, XIV, 2, Roma 1933, pp. 142, 252; H. Kretschmayr, Geschichte von Venedig, III, Stuttgart 1934, pp. 329, 333, 335, 336, 340; A. de Benvenuti, Il castello di Zemonico e la torre di Vercevo, in La rivista dalmatica, XIX (1938), p. 30; Id., Storia di Zara dal 1409 al 1797, Milano 1944, pp. 155, 156; Id., Il diversivo in Dalmazia della guerra di Candia, in La rivista dalmatica, XXV (1954), pp. 33 S.; Dispacci degli ambasciatori veneti al Senato. Indice, Roma 1959, p. 240.