BARATELLA, Antonio
Nacque a Loreggia, nel Padovano, poco prima del 1385, da agiata famiglia. Il padre Zanino gli fece studiare forzatamente il diritto, ed egli esercitò senza troppo zelo il notariato nella vicina Camposampiero, dall'anno 1405 al 1412. Ma si trattenne spesso a Padova, ove, più che le scuole di diritto, frequentò quelle d'umanisti, scienziati e filosofi, quali Vittorino da Feltre, Gasparino Barzizza, Biagio Pelacani e Paolo Veneto. I suoi primi saggi poetici piacquero molto al conte Lodovico Sambonifacio, il quale gli concesse nel 1413 la mano della nipote Lucrezia. "Professor grammaticae" a Padova nel 1415 e nel 1416, dopo una dimora a Venezia tornò in patria nel 1419, per la morte del padre. Divenuto erede, con la madre e un fratello, di casa e podere, si rifiutò di curare gli interessi comuni, "cum ad maiora electus esset per Apollinem", e fu cacciato di casa. Ma presto si riconciliò coi familiari e tornò al borgo natìo, a riposare e a poetare; vi compose tra l'altro la Foscara,in lode di Francesco Foscari, eletto doge nel 1423. Apprezzato quale maestro, ricevette onorevoli inviti da Treviso e da Udine, ma non li accettò. Nel 1426 e nel 1427 insegnò a Pirano, dove compì la raccolta di carmi Baratella e il poemetto Musonea; qui gli morì la moglie. Lasciata l'Istria, ebbe a Venezia l'onorifico incarico d'istruire i figli del doge, ma poi, sospinto dalla sua irrequietezza o dalle necessità della vita, si recò a Padova, ove nel 1429 insegnò retorica e poesia e sposò la padovana Giustina de Strata, che gli diede un figlio e cinque figliole. Nel 1430 fu condotto quale maestro a Belluno, ove rimase fino al 1434; ancora un breve soggiorno a Camposampiero, indi l'ultima condotta a Feltre, dal 1435 al 1448, l'anno della morte.
Sebbene non gli mancasse il plauso dei contemporanei, il fecondo verseggiatore vagheggiò e invocò sempre invano un munifico mecenate che, in cambio della poetica fama, gli desse modo di vivere serenamente, dedito alle Muse, negli ozi campestri della sua mite Loreggia e di conseguire la corona poetica; cosicché dovette trascorrere la vita sempre querulo, tenacemente speranzoso e vanamente infatuato di sé. Instancabile facitore di versi latini (egli stesso si vanta nella Metrologia Priscianica di avere scritto venticinque opere e 72.000 versi), il B. ebbe un limitato repertorio di motivi, che ripeté incessantemènte, variandone di continuo la forma. Principali caratteristiche della sua estesa produzione poetica furono la prolissità, l'imitazione pedissequa dei modelli classici, il continuo ricorso al repertorio mitologico. Eventi tristi o lieti, disagi e calamità lo stimolavano ugualmente a comporre. Se era a corto d'argomenti, scriveva versi agli amici e ne sollecitava le risposte. Amò il parlar figurato e si compiacque di vocaboli e di locuzioni peregrine, riuscendo a volte contorto nella sintassi e poco chiaro. S'illuse d'essere un grande inventore di metri, laddove difettò d'una vera sensibilità metrica e architettò faticosamente i suoi schemi, inserendovi spesso con stento le parole e le frasi, tanto da apparire a volte impacciato ed oscuro anche negli esametri e nei distici elegiaci. Sebbene per alcune opere si compiacesse di foggiare titoli e nomi greci, dovette avere, sì, qualche conoscenza lessicale del greco, ma poche o nessuna della grammatica. Ma ad onta dei suoi difetti, dai carmi si riesce ad evocare una figura d'uomo inconfondibile, che possiede un vivo sentimento della natura, sa essere amico devoto, padre affettuoso e maestro benevolo, adora ingenuamente l'arte e le idealità umanistiche, ma serba vivo il palpito della fede cristiana, con la persuasione della vanità del mondo e l'orrore del peccato e della pena eterna; è strano che nella sua copiosissima opera non si trovino affatto versi d'amore. Insomma non mancano nei suoi volumi pagine di buona letteratura, se non di vera poesia.
Il B. tenne carteggio poetico con almeno duecentoquarantaquattro personaggi per quanto risulta dai libri che si sono conservati; i più appartengono alle Venezie e sono patrizi veneziani, signori e nobili, prelati e sacerdoti, uomini d'arme e di toga, medici, maestri ed umanisti, come G. Barzizza, L. Bruni, Vittorino da Feltre, Guarino Veronese e Francesco Filelfo. Del B., ci sono giunte, manoscritte, tredici opere: 1) Ecatometrologia, ovvero, come egli spiega, "cento metri di carmi", in 3 libri (1420 circa). 2) Elegiae, 5 libri di componimenti raccolti nel 1422 o 1423 e dedicati al conte di Sambonifacio. 3) Policleomenareis (probabilmente, secondo gli intendimenti defl'autore: "Grande gloria è la virtù"), poemetto mitologico-encomiastico scritto nel 1422. 4) Foscara, un poemetto in 5 brevi libri, che esalta con una fantasia mitologica e simbolica il nuovo doge F. Foscari. 5) Musonea, poema in 3 libri: in riva al Musone convengono Apollo, Minerva, le Muse e varie divinità agresti; si narrano le origini troiane di Loreggia; il poema si chiude con l'apoteosi del poeta (1426). 6) Baratella, una raccolta di carmi vari, in 2 libri (1426-27). 7) Antonia, raccolta in 3 libri di componimenti sparsi (1427-29). 8) Laureia (il nome latino di Loreggia), poema in 3 libri. Il troiano Daulo ricorda al poeta la fondazione di Loreggia da parte d'Antenore e l'esorta a scrivere un libro, da dedicare a Paolo Dotti, suo nobile discendente (1430-31). 9) Asella Camela, poemetto in 3 libri, che narra il viaggio compiuto dal mercante Sofo col figlio Filo, per distrarlo dai piaceri e ricondurlo alla virtù. Il titolo deriva da un contrasto, inserito nel racconto, fra le due bestie da soma di Sofo, l'asino cocciuto e irascibile e il saggio cammello. 10) Polydoreis, in 3 libri. Il B. fu indotto dall'esempio dell'Astyanax del Vegio a cantare l'altro infelice principe troiano (1439). 11) Ecatometrologia, seconda redazione dell'opera, in 2 libri; di essi è completamente nuovo il primo, in cui canta le bellezze del suo paese e vari argomenti religiosi. Il secondo libro riproduce quasi immutata la prima raccolta (1440). 12) Epigrammata seu Protesilais (così intitolata dal nome del nipote Protesilao). È un libro unico di carmi vari. 13) Metrologia Priscianica, lunga novella in 2 libri dedicata a L. Bruni. Riunisce il motivo della pietra o bocca della verità a Roma, con quello del marito geloso, che rimane scornato per un'astuzia suggerita agli amanti da Venere.
Da notizie del B. stesso e da un elenco contenuto in un codice trevisano, ora perduto, risulta che egli scrisse altre quattordici opere che non sono giunte fino a noi. Nessuna di esse è stata stampata; brani di varia lunghezza (estratti da numerosi codici, citati tutti dal Segarizzi) sono riportati dal Marchesan e dal Segarizzi e quarantasei epistole poetiche ad amici istriani sono state pubblicate dallo Ziliotto.
Bibl.: A. Marchesan, Dell'umanista A. B. di Loreggia, Treviso 1891; A. Segarizzi, A. B. e i suoi corrispondenti, in Miscell. di storia veneta, s.3, X (1916), con un'appendice di R. Sabbadini su La metrica di A. B., pp. 140-144; B. Ziliotto, Le epistole latine di A. B…,in Atti e Mem. d. Soc. istriana d'archeologia e storia patria,L (1938), pp. 1-74.