BALESTRA, Antonio
Nato a Verona il 12 ag. 1666, da agiata famiglia di mercanti, fu avviato agli studi letterari e si dedicò come dilettante alla pittura, ricevendo, a diciassette anni, i primi insegnamenti da Giovanni Zeffis, un mediocre pittore locale. Interrotti gli studi a causa della morte del padre, e costretto ad occuparsi per qualche tempo, insieme ai fratelli, dei commerci familiari, decise in seguito di dedicarsi esclusivamente alla pittura, e perciò nel 1687 si recò a Venezia alla scuola di Antonio Bellucci, presso il quale rimase tre anni. Intorno al 1690 andò a Roma presso Carlo Maratta, non mancando nel frattempo di studiare Raffaello, Annibale Carracci, Guido Reni, Domenichino e l'arte antica, spingendosi fino a Napoli per vedere Lanfranco, Giordano e Solimena. Frequentò anche i corsi dell'Accademia di San Luca, ottenendo, nel 1694, il primo premio con un disegno raffigurante la Caduta dei giganti. Essendosi ammalato, in quello stesso anno lasciò Roma e, dopo una breve sosta a Bologna, si recò a Verona e poi a Venezia. Nel 1697 si stabilì a Verona. Ma nel 1700 un altro viaggio di studio lo portò a Bologna, Modena, Parma, Piacenza, Milano. Ritornò poi a Venezia e vi soggiornò fino al 1718, anno in cui il suo nome compare nella fraglia pittorica. Nel 1719 si ritirò a Verona, dove nel 1725 lo raggiunse la nomina, a pieni voti, a membro dell'Accademia romana di San Luca. Morì a Verona il 21 apr. 1740.
Ebbe numerosi allievi: a Verona Pietro Rotari, Giambettino Cignaroli, Giovanni Battista Mariotti e Angelo Venturini; a Venezia Rosalba Carriera, Giuseppe Nogari, Pietro Longhi, Mattia Bortoloni e forse anche Giambattista Pittoni.
Una vasta e ben informata letteratura contemporanea, che spesso si avvalse di notizie fornite direttamente dall'artista, e un gruppo di lettere autografe ci permettono di conoscere non solo le vicende esteriori della vita del B., ma anche i principî ai quali egli ispirò tutta la sua attività artistica, che si svolse in un ambito di gusto chiaramente improntato alla tradizione romana, che egli tuttavia interpreta con fluidità formali e scioltezze d'ispirazione correggesca, riflettenti quelle aspirazioni del suo tempo che furono determinanti per il trapasso del gusto dal Seicento al Settecento.
Documenti significativi dello stile dell'artista sono l'Annunciazione nella chiesa di S. Teresa degli Scalzi a Verona (1697), la grande allegoria delle Ricchezze della Terra,prima opera firmata e datata, eseguita nel 1698 per il Palazzo dei mercanti di Bolzano e le due grandi tele con Miracoli dei ss. Cosma e Damiano della chiesa di S. Giustina a Padova, firmate e datate 1718, eseguite a Venezia.
Ritiratosi a Verona, dove lasciò un importante gruppo di opere (il Matrimonio di s. Caterina in Santa Maria in Organo, del 1719, un Miracolo di s. Domenico nella chiesa omonima, del 1721), che furono di importanza capitale per lo stile dei Cignaroli, assunse una posizione polemica, ampiamente documentata dalle sue lettere, contro il "rococò" trionfante sulla laguna. Ciononostante, il colorismo sempre più libero e sciolto delle sue opere dell'ultimo periodo, come il S.Flavio del duomo di Parma (1733), la Madonna e s. Chiara della basilica del Santo a Padova (1737), l'affresco della villa Pompei ad Illasi con il Ratto di Elena (1738), dimostra come non sapesse sottrarsi alla influenza della pittura di S. Ricci e di A. Pellegrini.
Raramente un artista è stato tanto stimato dai contemporanei come il B.: la sua pittura classicizzante infatti coincideva con il gusto accademico dominante. La critica moderna ne ha dato invece un giudizio piuttosto limitativo, riconoscendogli più che una validità poetica un'importanza storica, in quanto contribuì a introdurre nel Veneto, ormai chiuso in forme tradizionali improvincialite, la cultura romana, che non mancò di avere riflessi anche nel Piazzetta e nel Tiepolo giovane.
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