BAJAMONTI, Antonio
Nacque a Spalato, in Dalmazia, il 18 settembre 1822, da Giuseppe, magistrato, e da Elena Candido di Sebenico; vi morì il 13 gennaio 1891. La famiglia era di origine nobile, ma egli non fece uso del suo stemma e del suo titolo. Rimasto orfano a 7 anni, frequentò il liceo della sua città natale; poi si iscrisse alla facoltà medico-chirurgica di Padova (1841-1849), ove si laureò. Nel 1848 fu tra i primi a schierarsi nella guardia nazionale di Spalato. Sposò nel 1849 Luigia Crussevich di Spalato; fu quindi, per due anni circa, medico condotto a Signi; ma, siccome questa vita faticosa non si confaceva al suo fisico gracile, rinunziò all'arte medica e si dedicò con fervore alla politica. Educato alle idee mazziniane, venne in conflitto col governo e con gli ufficiali austriaci, per cui subì un breve arresto (1853). Ideò molte e grandi opere pubbliche e, per dare l'esempio, costruì (1858) un proprio palazzo per l'abbellimento della marina e (1859) un sontuoso teatro, progettato in gran parte da lui, come un'esaltazione della storia, latina e italiana, della Dalmazia. Il teatro, costruito in soli 150 giorni, fu distrutto da un incendio doloso nel 1881. Attorno al 1860 anche l'Austria incominciò a subire una trasformazione costituzionale. Il B. divenne il sostenitore delle nuove idee democratiche; attrasse quindi, ma solo per breve tempo, nella sua "Unione liberale" anche gli Slavi nazionali (croati), ma venne in conflitto tanto col governo, quanto con gl'Italiani conservatori. Il 9 gennaio 1860 fu eletto podestà e conservò questa carica, salvo una breve interruzione (1864-1865), fino al 1880-1882. Istituì subito (1861) un Gabinetto di lettura (che esiste ancora e riunisce tutti gl'Italiani di Spalato) e fondò (1863) quell'Associazione Dalmatica che avrebbe dovuto raccogliere, anche in Croazia, i mezzi finanziarî per il progresso economico e per la rigenerazione morale della Dalmazia. Il B., che non odiava gli Slavi, avrebbe voluto educare l'incipiente nazionalità slava per mezzo della vetusta civiltà italiana, che, naturalmente, avrebbe dovuto essere conservata al primo posto. Ma dopo il 1867 l'Austria, divenuta la monarchia costituzionale austro-ungarica, assunse un orientamento balcanico-slavofilo. I Dalmati, italiani e slavi, che fino al 1859 erano convissuti sempre pacificamente e che nel breve periodo dal 1859 al 1866 avevano oscillato tra il rispetto per la cultura italiana e l'equità di ammettere alle funzioni democratiche e costituzionali anche l'elemento rurale slavo, si divisero in due campi, sempre più avversi: conservatori (dalmati, autonomi, italiani) e progressisti (slavi, croati, fautori dell'annessione della Dalmazia al cessato triregno di Croazia-Slavonia-Dalmazia, quindi "annessionisti"). Il B. fu il capo degli autonomi e combatté, per conseguenza, i Croati. La bandiera dell'autonomia, agitata anche dal Tommaseo in Italia, doveva sostituire quella italiana tanto di fronte a Vienna, quanto di fronte a Zagabria; era un pretesto per guadagnar tempo. Con questo programma il B. fu eletto, nel 1867, deputato alla dieta provinciale dalmata e al Reichsrath di Vienna. Gli anni 1867-1875 segnano il periodo culminante dell'irrequieta attività del B. Ottenne per la sua città l'illuminazione a gas, l'ospedale, una piazza circondata da gallerie, la diga del porto, le scuole tecniche, la Banca dalmata, la Società operaia, una fontana monumentale, di cui la figura dominante (la Dalmazia) tiene nella destra il Fascio Littorio e protende la sinistra verso il Danubio. Vagheggiò perfino di far rivivere l'idea imperiale romana dell'antica e vicina Salona, trasportando a Spalato la capitale della Dalmazia. Invece, nell'estate 1875 l'imperatore Francesco Giuseppe scese a Spalato per preparare gli animi all'occupazione della Bosnia-Erzegovina. Pur sapendo le tendenze slave dell'imperatore, il B. gli preparò accoglienze ostentatamente italiane; e poiché conosceva poco lo slavo e poco il tedesco, parlò sempre italiano, anche con l'imperatore. La politica austriaca divenne sempre più oppressiva per gl'Italiani. Il B. vi reagì, tenendo in italiano, il 9 dicembre 1876, alla camera di Vienna, una memorabile filippica contro il governatore militare della Dalmazia, il generale croato Rodić. I.'Austria decise di sbarazzarsi del B. a qualunque costo. Lo tentò dapprima con le lusinghe e gli fece offrire, a mezzo del governatore Rodić, una rappresentanza consolare lautamente retribuita, in qualunque città d'Italia. Il B. rispose che non si vendeva. Allora si ricorse alla violenza. Col pretesto di un tafferuglio, suscitato dalla polizia, tra alcuni sottufficiali croati e Arturo Colautti, dírettore dell'Avvenire, il 7 novembre 1880 fu sciolto il consiglio municipale e nominato un commissario regio. Questi manipolò due anni le liste elettorali e nelle elezioni del novembre 1882, fatte coll'appoggio delle baionette e dei cannoni di una nave da guerra, Spalato dovette soffrire il primo podestà croato. In conseguenza di questi soprusi il B. non fu più eletto deputato a Spalato; continuò tuttavia a comparire alla dieta provinciale, perché il collegio della Camera di commercio di Zara lo nominò sempre suo rappresentante fino alla morte. Il B. non si diede per vinto. I resoconti della dieta provinciale dal 1884 sono pieni del duello che egli sostenne col più spietato ed implacabile deì suoi avversarî, coll'avv. Filomeno Gaetano Bulat, divenuto, col favore del governo, capo del partito nazionale croato, podesta e deputato di Spalato. Il B. ottenne ancora vantaggi per la sua terra: nel 1885, quando a Trento fu creata l'associazione Pro Patria, volle che la Dalmazia vi fosse compresa come la quinta provincia italiana dell'Austria; nel 1886 istituì la Società politica dalmata; nel 1888 la Società economica Spalato. Il B. nel suo fervore era andato con le imprese finanziarie al di là della sua capacità economica; avendo consumato tutto il patrimonio, suo e della moglie, s'erà indebitato presso usurai. L'avv. Bulat organizzò tutti i nemici del B., nazionali e personali, i creditori e gli usurai e glieli scagliò addosso armati della calunnia. Il B. si difese, ma si accasciò ormai esausto. Abbandonato dai pusillanimi, perseguitato dai creditori, impoverito, morì nell'avvilimento, lasciando in eredità ai posteri questa massima amara: "A noi, Italiani della Dalmazia, non rimane altro diritto che quello di soffrire".
Bibl.: S. Pierotich, Ritratto politico del grande dalmata, Dr. Antonio Bajamonti, Udine 1913; M. Russo, L'Epopea dalmatica e il suo eroe, Milano 1925; O. Randi, Antonio Bajamonti, in Archivio Storico per la Dalmazia, III, Roma 1928, iv, fasc. 24.