EREDE, Antonio Andrea
Nato a Genova nel 1820 da Pietro e da Maria Vassallo, nel 1844 aveva conseguito la patente di capitano marittimo di lungo corso da una commissione presieduta da Giorgio Mameli, padre di quel Goffredo che l'E. avrebbe assistito cinque anni dopo, a Roma, negli ultimi istanti di vita.
Di idee democratiche e filomazziniane, ebbe parte nell'insurrezione genovese del 1849, durante la quale assunse la direzione dell'artiglieria e si batté sulle barricate a S. Giovanni di Pré ed a S. Tomaso. Soffocato il moto, venne persuaso dal fratello Michele a lasciare Genova e partì, con il generale G. Avezzana e con altri profughi, alla volta di Civitavecchia. Vi giunse alla vigilia dell'intervento francese contro Roma e si pose subito al servizio della Repubblica, distinguendosi il 30 aprile nella difesa di porta S. Pancrazio, tanto da guadagnarsi le spalline da ufficiale: da allora si sarebbe poi sempre firmato, per tutta la vita, "ufficiale della Repubblica Romana 1849".
A Roma, membro dello stato maggiore ed aiutante dell'Avezzana che era divenuto ministro della Guerra, rimase sino alla caduta della città in mano francese, quindi riparò ad Istanbul, dove s'impiegò nella Compagnia armena di navigazione e dove, al pari di altri fuorusciti, visse per qualche tempo tranquillo, senza alcuna di quelle pesanti attenzioni che gli Stati europei riservavano agli esuli. Gliene derivò infatti una certa turcofilia, ancor viva all'epoca della guerra russo-turca del 1877-78, quando l'E. parteggiò per l'Impero ottomano.
Riprese a navigare, e andò negli Stati Uniti, dove ottenne la cittadinanza statunitense. Infine si stabilì a Londra, dove lo troviamo con certezza a partire dal 1857. Nell'ottobre di quell'anno il Mazzini, pur ammettendo di conoscerlo appena ("noi non ci siamo visti che una volta..."), gli si rivolgeva per raccomandargli l'amico Giuseppe Profumo, che aveva partecipato al tentativo insurrezionale di Genova ed era poi fuggito nella capitale inglese (Scritti editi ed inediti, App. VI, pp. 616 s.). L'anno dopo, nel dicembre 1858, i rapporti tra i due uomini s'erano fatti più stretti, e Mazzini riconosceva che l'E. era tra i pochi esuli italiani a Londra di cui egli potesse fidarsi.
Nel 1860, in qualità di segretario del Comitato di provvedimento al Fondo nazionale, l'E. fu mandato in Sicilia per rinnovare le cambiali avallate da Ignazio Florio, che servirono per l'acquisto in Inghilterra di armi necessarie all'insurrezione siciliana, spedite da Mazzini al Comitato d'azione. Nella primavera-estate di quell'anno, da Londra, si adoperò a favore della spedizione garibaldina, convogliando verso l'Italia denaro, armi, attrezzature, proponendo ad Agostino Bertani, a Mauro Macchi, ad Enrico Brusco l'acquisto di fucili, piroscafi, macchine da guerra.
Ammiratore fervente di Garibaldi, ebbe assai presto il sospetto che l'impresa dei Mille potesse venir egemonizzata da altri e deviata dai suoi fini ultimi. "Un certo tanfo qui giunge da costì - scriveva il 13 luglio ad Antonio Mosto, allora in Sicilia con i suoi carabinieri - il quale purtroppo mi fa temere che ... tanti sacrifici e sforzi di mille patrioti siano per essere spreggiati e pochi utilizzati a pro' d'Italia". Contava "su d'una crollata di criniera del nostro generoso leone", Garibaldi, perché ogni influenza nefasta si disperdesse e "per vedere la grande opera nuovamente progredire alla unica meta, vera e degna, del Campidoglio"; e si rammaricava di essere lontano dalla mischia: "Se mi credete utile e potete farmi credere utilizzabile costì od in terraferma scrivetemi, accorro" (L. Balestreri, Un eroe genovese, p. 25).
Il modo in cui si conclusero le vicende del 1860-61 lo lasciò profondamente amareggiato ed accentuò la sua fedeltà nei confronti di Mazzini. Nel gennaio 1861 si sciolse il Comitato italiano, formatosi a Londra per la raccolta dei fondi destinati all'impresa di Sicilia, e Mazzini commentò che dagli uomini del Comitato non c'era più nulla da aspettarsi ("I componenti son cavouriani"); egli restava abbastanza isolato nell'impegno di sensibilizzare l'opinione pubblica inglese sul problema dell'allontanamento delle truppe francesi da Roma, e l'E. era tra i pochi che collaborassero con lui in questa attività (Scritti editi ed ined., LXX, p. 268). Mazzini ricambiava tanta fedeltà con un'alta considerazione dei suoi meriti. Il 2 apr. 1861 scriveva ad Adriano Lemmi, al quale il governo aveva da poco confermato la concessione delle ferrovie meridionali: "Mi fo mallevadore dell'onestà e della capacità dell'Erede ad ogni impiego direttivo d'un ufficio. Accettatelo, vi prego". E poco dopo, il 29 agosto, lo raccomandava in termini ancor più lusinghieri ai livornesi fratelli Botta e Cesare Tubino: "L'uomo che mi chiedete per l'agenzia è un amico mio, Erede, impiegato qui a Londra nella casa Bocca, ex capitano marittimo: conosce marina, commercio, contabilità, inglese, e ha veramente, oltre onestà, ... tutte le facoltà richieste" (Scritti ed. ed ined., LXXI, pp. 76 e 365).
Dopo il 1861 ne perdiamo le tracce, ma era certamente a Genova nel gennaio 1866, tra i sottoscrittori per le spese di propaganda elettorale a favore di Mazzini, poi sconfitto nel ballottaggio col candidato governativo Vincenzo Ricci. Ed a Genova lo troviamo ancora nel 1876, all'epoca della donazione a favore del porto disposta dal duca di Galliera, R. L. De Ferrari, quando l'E. prese parte al dibattito accesosi intorno al miglior modo di ampliare lo scalo genovese.
Negli anni a cavallo del 1900 l'E. era a Genova una figura caratteristica e notissima: frequentatore assiduo del circolo Mazzini in vico del Fieno, gran dispensatore di aneddoti e filippiche il cui incipit era sempre un "Voi altri porci Italiani...", espressione macchiettistica della delusione per il modo in cui l'Italia aveva preso forma. Incrollabile la sua fedeltà al "Cristo antico", Mazzini, come risulta da una sua lettera del 1901 a Felice Dagnino, nella quale l'E. si mostrava preoccupatissimo per la sorte di documenti e scritti dell'apostolo, che a suo parere rischiavano di andare perduti per un "atto incosciente" di Ernesto Nathan (Istit. Mazziniano, n. 6665).
Morì a Genova il 25 marzo 1909.
Fonti e Bibl.: Genova, Bibl. del Civico Istituto Mazziniano, Autografi, nn. 6665, 19942, 26853; Milano, Museo del Risorgimento, Carte di A. Bertani, cart. 13, plico XVI, n. 86; cart. 16, plico XXV, nn. 5 e 5/a, plico XXVII, nn. 10, 12, 24; cart. 19, plico XL, n. 66; cart. 31, plico LXX, n. 40; cart. 35, plico CXLVI, n. 202; cart. 38, plico CLVI, n. 1; cart. 67, plico XXVI, n. 137 (e cfr. l'inventario a stampa Le carte di Agostino Bertani, a cura di L. Marchetti, Milano 1962, ad Indicem); Ed. naz. degli scritti di G. Mazzini, Scritti editi ed inediti, LXI, p. 316; LXIII, p. 70; LXV, p. 370, LXX, p. 268; LXXI, pp. 76, 83, 158 s., 356, 365 s.; LXXII, p. 353; App. VI, pp. 185, 616 s.; C. Cavour, Epistolario, IX, a cura di C. Pischedda - R. Roccia, Firenze 1984, p. 417; necrol., in La Vita, 28 marzo 1909; F. Levasco, Un antico segretario di Mazzini, in IlSecolo, 6 febbr. 1906; B. Pareto Magliano, Figure mazziniane, in Gazzetta di Genova, 31 ag. 1921; A. Codignola, Dagli albori della libertà al proclama di Moncalieri, Torino 1931, pp. 561, 644, 648; F. E. Morando, Aneddoti genovesi, Roma 1932, pp. 206-212; L. Balestreri, Un eroe genovese del Risorgimento, in Genova, luglio-agosto 1960, pp. 23 ss.; B. Montale, Antonio Mosto. Battaglie e cospirazioni mazziniane, Pisa 1966, p. 132; Diz. del Risorg. naz., ad vocem.