ALDINI, Antonio
Avvocato, professore, uomo politico bolognese, nato il 27 dicembre 1755. Compì a Bologna gli studî giuridici e si laureò nel 1778. Fu due anni dopo chiamato ad insegnare il diritto naturale e delle genti nella patria università, e passò nel 1781 alla cattedra di diritto pubblico. Nello stesso tempo si dedicò all'esercizio professionale, acquistando fama di valente giureconsulto. Fatto coadiutore del celebre Magnani nell'ufficio di difensore di rei, si acquistò un'immensa popolarità nella difesa, che sostenne nel 1796, dell'infelice De Rolandis e degli altri presunti complici di Luigi Zamboni. Venuti in quello stesso anno i Francesi, l'A., insieme coi senatori Caprara e Marescalchi, ebbe presto nelle mani la somma delle cose pubbliche: grandissima fu l'influenza da lui avuta nella sua città, affinché anche quivi trionfasse la rivoluzione. Fu infatti ambasciatore a Parigi per trattare col direttorio in nome del senato, al quale fu aggregato come senatore aggiunto, e poco appresso delegato a Modena al congresso dei rappresentanti degli Stati estensi e delle Legazioni, dove furono gettate le basi dell'unione; del primo congresso Cispadano, tenuto pure a Modena nell'ottobre, ebbe la presidenza, e vi fece prevalere, con la sua fermezza, il principio unitario federativo; presedette ai comizî di S. Petronio nel dicembre, e vi fu eletto deputato al congresso cispadano di Reggio, in cui sostenne una parte principale. Fu inviato più volte a Parigi per difendere gl'interessi della repubblica. Nel 1801 assistette alla consulta tenutasi a Lione, e in qualità di presidente vi diresse i lavori di una sezione. Tornato in Italia al costituirsi della Repubblica italiana, fu nominato presidente della Consulta di stato, dalla quale essendo poi stato escluso per dissapori insorti fra lui e il vice-presidente Melzi, che non gli era amico, l'A. si tenne per qualche tempo in disparte dalla vita pubblica, finché nel 1805, creato il regno d'Italia e divenuto Napoleone imperatore, fu chiamato all'altissimo ufficio di segretario di stato, che occupò per tutto il decennio che durò il Regno italico. In questo tempo l'A., fedele interprete degl'intendimenti del monarca, fu promotore principale di tutte le riforme giuridiche ed amministrative, sopra le quali, si può dire, si fondano in gran parte gli ordinamenti odierni. Fu nominato grand'ufficiale della Legion d'onore e della Corona ferrea, e fatto tesoriere di quest'ordine. Particolari benemerenze si acquistò l'A. in questo medesimo periodo per la spinta data al concetto, per lui fondamentale, dell'unità italiana. Egli, che aveva già nel 1797, insieme con i deputati Fava e Gavazzi, promosso l'unione della Repubblica Cispadana alla Cisalpina, si fece poi, nel 1808, iniziatore presso il sovrano dell'aggregazione delle Marche al Regno italico; e più tardi tentò anche di riunire agli altri paesi italiani l'Umbria e Roma. Dopo la caduta di Napoleone, nel 1814, l'A., con Berti degli Antoni, si recò, oratore per Bologna, al congresso di Vienna, ma nulla poté ottenere di quello che chiedeva a vantaggio della sua città. Si trattenne qualche tempo a Milano, poi si ridusse a Bologna, dove visse in continuo sospetto delle polizie austriaca e pontificia. Dal restaurato governo non accettò né uffici, né onori, salvo il grado, conferitogli nel 1824, di dottore aggregato al collegio legale universitario, e l'incarico di far parte della commissione dei lavori del Reno.
L'A. ebbe in moglie Rosa Facci, bolognese, dalla quale, negli ultimi anni, si separò. Morì a Pavia, il 30 settembre 1826. Aveva ricevuto l'ultimo saluto di Napoleone, che l'imperatore gli aveva mandato da Sant'Elena per mezzo del dottor Antonmarchi.
Bibl.: A. Zanolini, A. A. ed i suoi tempi, Firenze 1864-68; T. Casini, I deputati al Congresso Cispadano, in Rass. Stor. d. Risorgimento, 1916.