PLUTINO, Antonino
– Nacque a Reggio Calabria il 10 dicembre 1811 da Fabrizio e da Caterina dei baroni Nesci.
La famiglia era stata rivoluzionaria filofrancese e poi murattiana. Il nonno Carlo era stato confinato a Favignana per aver preso parte al complotto che nel settembre 1797 portò all’uccisione del governatore di Reggio Giovanni Pinelli, mentre lo zio Filippo Nesci fu ufficiale della cavalleria murattiana in Russia.
Antonino compì gli studi secondari presso il seminario di Bova e successivamente si iscrisse a giurisprudenza presso l’Università di Napoli, dove si laureò il 1° marzo 1837. Nell’ambiente napoletano venne in contatto sia con esponenti liberali come Carlo Poerio, sia con militanti della Giovine Italia, aderendo inizialmente all’idea repubblicana di Giuseppe Mazzini.
Al ritorno a Reggio, dopo la laurea, si accinse a esercitare la professione di avvocato, prestando giuramento davanti all’intendente Roberto Betti, figura illuminata che, pur cautamente, svolse un ruolo molto favorevole alle nuove idee liberali nel suo periodo di permanenza a Reggio Calabria. In quegli anni, in Calabria, una minoranza molto attiva, costituita prevalentemente da giovani, cominciò a divulgare le idee liberali, stabilendo anche contatti con esponenti sia delle province calabresi sia delle altre, ed in particolare di Napoli, dove Plutino fu inviato in segreto dai correligionari politici per verificare la dimensione della diffusione delle nuove idee.
Nel 1838, sotto gli auspici dell’intendente Betti, iniziò le pubblicazioni il periodico letterario Fata Morgana, diretto dallo storico reggino Domenico Spanò-Bolani, dimessosi poco tempo dopo e sostituito da Plutino, che tuttavia non riuscì a evitare la soppressione del periodico da parte delle autorità.
Egli prese parte al fallito tentativo insurrezionale organizzato a Cosenza nel 1844, e fu arrestato, detenuto dapprima presso il castello di Reggio, poi nel carcere di Cosenza e successivamente in quello di S. Maria Apparente a Napoli. Fu scarcerato dopo quasi due anni per intervento del fratello Agostino che inviò una supplica al ministro di Polizia, Francesco Saverio Del Carretto, e svolse inoltre azioni di convincimento presso i commissari militari. Tuttavia, i sospetti delle autorità di polizia nei riguardi delle sue attività insurrezionali le indussero a un nuovo ordine di arresto, al quale Plutino si sottrasse trovando rifugio per circa otto mesi (dall’ottobre 1846 al giugno 1847) a S. Stefano d’Aspromonte, sotto la protezione della famiglia Romeo. La scarcerazione di Plutino avvenne dopo l’incontro del fratello Agostino con Ferdinando II, in visita a Reggio, a completamento di quanto da lui già fatto nei mesi precedenti presso il ministro di Polizia e le autorità militari.
La frequentazione della famiglia Romeo, che stava preparando da tempo un moto rivoluzionario per ottenere da Ferdinando II la costituzione, sollecitò Plutino ad affiancare Giannandrea Romeo, capo militare e principale ideatore del moto, e suo fratello Domenico, che ne fu il protagonista politico.
La ‘rivoluzione liberale’ sarebbe dovuta scoppiare simultaneamente in tutte le province del Regno delle Due Sicilie. Si sarebbe trattato di un movimento di minoranze, ma, da un lato, si immaginava di poter aggregare anche numerosi soggetti inizialmente poco decisi, dall’altro, probabilmente si sperava, secondo un’interpretazione ottimistica dell’atteggiamento del sovrano, che Ferdinando II avrebbe accolto la richiesta di costituzione. Era infatti diffusa l’opinione che il re non concedesse una carta fondamentale di sua iniziativa per rispetto nei riguardi dell’Austria, ma che lo avrebbe fatto se fosse stato costretto da un moto popolare.
Malgrado le tante promesse dei patrioti delle altre province, gli unici che si dichiararono pronti ad aderire al moto furono quelli di Messina, concordando con i calabresi la data del 2 settembre 1847 per l’inizio della rivolta.
La partecipazione di Messina, peraltro, anziché migliorare le prospettive di successo, le pregiudicò, perché i liberali messinesi vollero anticipare il moto al 1° settembre, nella speranza di poter catturare i capi militari che quella sera si sarebbero riuniti per una cena. L’operazione però fallì e le autorità messinesi informarono subito, attraverso il telegrafo, il governo, mentre i patrioti calabresi, sentendo il rombo dei cannoni da Messina, compresero che il tentativo non aveva avuto esito positivo.
Malgrado ciò, fedeli all’impegno preso, il 2 settembre i calabresi diedero inizio al moto e Plutino partecipò attivamente, affiancando Domenico Romeo, assieme al quale scrisse da S. Stefano un proclama, in cui si inneggiava al re costituzionale, dopo aver richiamato anche Pio IX, e s’invitava il popolo a mantenere toni moderati, rispettando l'ordine e la legalità.
Il piccolo esercito, composto da un migliaio di uomini non solo di S. Stefano, ma anche delle contrade vicine, si mosse verso Reggio Calabria, dove trovò altri patrioti e in breve tempo s’impossessò del castello, in cui erano acquartierate le autorità militari e anche civili. I militari, di numero esiguo, non opposero resistenza, e lasciarono il castello, come da accordi con i rivoltosi, con l’onore delle armi.
Peraltro, la rivolta, dopo due giorni, invece di produrre i risultati positivi che gli organizzatori del moto si attendevano per l’immaginata benevola accoglienza da parte del governo, fu soffocata duramente da Ferdinando II, che inviò due navi da guerra che cominciarono a cannoneggiare la città, seminando il panico fra i cittadini.
In questa situazione, per evitare alla città – sprovvista di difese – danni e lutti, i patrioti si ritirarono sulle montagne dell’Aspromonte, dove Domenico Romeo fu ucciso in un conflitto a fuoco con le guardie urbane. Quanto agli altri rivoltosi, essi furono quasi tutti arrestati, con la immediata fucilazione di alcuni personaggi minori e la condanna a morte dei protagonisti, tramutata subito dopo in ergastolo.
Plutino e il fratello furono gli unici a sfuggire alle intense ricerche di polizia ed esercito grazie all’appoggio di parenti molto influenti che, dopo aver procurato loro diversi nascondigli, organizzarono la fuga a Malta, divenuta uno dei principali rifugi dei patrioti napoletani.
Quando, nel gennaio del 1848, Ferdinando II concesse la costituzione che appena pochi mesi prima aveva rifiutato di elargire malgrado le richieste dei patrioti calabresi, Plutino, assieme a molti altri rivoltosi, fu graziato e poté tornare in Calabria. Nel mese di aprile fu eletto deputato e si recò a Napoli, partecipando alle riunioni preparatorie in cui i neoeletti volevano accordarsi sui temi principali da discutere. Tuttavia, ancor prima dell’inaugurazione della Camera stabilita per il 15 maggio, i dissensi fra il re e i parlamentari su alcuni temi cruciali (tra cui la formula del giuramento) fecero sì che Ferdinando II rompesse i rapporti con i deputati e sciogliesse il Parlamento, mentre la città di Napoli diveniva teatro di una vera e propria battaglia tra i sostenitori dei deputati e l’esercito, rafforzato dalle soldatesche svizzere, con conseguenze tragiche per la popolazione.
In questa situazione, dopo aver firmato la Protesta redatta da Pasquale Stanislao Mancini, Plutino tornò in Calabria e tentò invano di organizzare una nuova rivolta, costituendo a S. Eufemia assieme ad altri patrioti un governo provvisorio che non trovò tuttavia il sostegno della popolazione. Egli prese, quindi, la via dell’esilio, recandosi, assieme ad Agostino, dapprima a Malta e poi a Roma e proseguendo quindi per Livorno, che dovette lasciare dopo l’arrivo delle truppe austriache nel maggio 1849.
Subito dopo, sempre assieme al fratello e con l’aiuto del console francese a Livorno, Plutino si trasferì a Marsiglia, dove Agostino poté dare inizio a una importante attività commerciale inerente la seta, estesa anche a Lione. Tuttavia nel settembre 1852 ambedue i fratelli furono arrestati, probabilmente su richiesta del governo borbonico, ed espulsi dalla Francia. Pertanto, con il fratello, Plutino si recò a Genova, dove presiedette un comitato di soccorso per patrioti in difficoltà grazie alle risorse messe a disposizione da Agostino, e quindi a Torino. Egli ebbe così modo di vedere quanto i governi costituzionali del Regno di Sardegna operassero per l’indipendenza d’Italia e si decise ad abbandonare definitivamente il progetto repubblicano di Mazzini, sempre più convinto che soltanto sotto l’egida dei Savoia fosse realizzabile l’unità italiana.
Con questa nuova visione, Plutino aderì alla Società nazionale e al programma di Giuseppe Garibaldi di liberazione dell’Italia meridionale, svolgendo un ruolo importante nella preparazione della spedizione dei Mille, alla quale partecipò seguendo il generale in Sicilia e in Calabria, dove fu ferito nella battaglia che ebbe luogo nella piazza del Duomo di Reggio il 21 agosto 1860.
Date le condizioni di salute precarie di Plutino, che da tempo soffriva di una malattia polmonare, e che dovette a quel punto curarsi anche la ferita, il giorno dopo la battaglia, con decreto del 22 agosto, Garibaldi lo promosse ‘governatore generale della provincia di Reggio con poteri illimitati’, mentre Agostino, nominato con lo stesso decreto ‘comandante della seconda e terza categoria della provincia di Reggio’, svolse anche il ruolo di vicegovernatore, a seguito degli impedimenti del fratello.
A causa del completo disordine in cui la città versava per i repentini cambiamenti, l’esercizio della carica di governatore affidatagli da Garibaldi si rivelò molto arduo. Secondo i dettami garibaldini, i principi che lo ispirarono furono molto rigorosi: epurò l’amministrazione locale dagli elementi più fedeli ai Borbone, che espulse da Reggio e cacciò anche l'arcivescovo Mariano Ricciardi, suscitando la generale disapprovazione della popolazione. Il suo modo di operare fu – secondo una definizione che lui stesso dava del fratello – «liberale moderato nelle questioni di principii, e radicale nelle questioni di amministrazione interna delle province napoletane» (Cingari, 1988, p. 26).
Oltre degli ambienti filoborbonici, Plutino dovette anche occuparsi delle rivolte reazionarie scoppiate in diverse zone della Calabria (Cinquefrondi, Pellaro e altri comuni), nonché delle lotte tra gli stessi liberali, molto divisi sia per i contrasti fra gli emigrati e coloro che erano rimasti (e accusavano i primi di opportunismo), sia per gelosie e rivalità personali. Inoltre, i pessimi rapporti del governo torinese con Garibaldi e il Partito d’azione non aiutarono Plutino – divenuto prefetto nel nuovo ordinamento italiano – nella gestione dei complessi problemi della provincia, in particolare di quelli giuridici, per i quali egli, pur laureato in legge, non aveva un’adeguata preparazione.
Le tante difficoltà non gli consentirono di operare con successo, tanto che dopo pochi mesi dalla nomina, nel febbraio 1861, fu trasferito a Cosenza, da dove nel mese di giugno dello stesso anno fu inviato a Cremona e dopo circa sei mesi a Cuneo, sede che lasciò nel marzo 1862 per la prefettura di Catanzaro, che abbandonò dimettendosi nell’agosto 1862 perché non condivideva la politica governativa nei riguardi della spedizione di Garibaldi per la conquista di Roma. Il telegramma da lui inviato al presidente del Consiglio Urbano Rattazzi esprimeva molto bene la sua coerenza nel sostenere comunque i disegni garibaldini e, quindi, nel non voler dar seguito all’ordine di bloccarne l’azione: «Miei precedenti mi vietano dare esecuzione ordini Lamarmora che credo fuori Statuto. Pertanto rassegno mia dimissione, prego Ministero di accettarla. Plutino» (Epistolario di Urbano Rattazzi, a cura di R. Roccia, II, Roma 2013, ad indicem).
Rattazzi accolse subito le dimissioni, ufficializzate dal successivo, immediato decreto di Vittorio Emanuele, che lo esentò da ogni ulteriore compito.
Poco dopo, Plutino si presentò alle elezioni suppletive del 12 aprile 1863 (dovute alle dimissioni, nel marzo precedente, del deputato Francesco Muratori) nel collegio di Cittanova, ottenendo il seggio contro la candidatura di Cesare Cantù. Fu confermato nella carica, sempre per il collegio di Cittanova, mai per quello di Reggio, per la IX, X e XI legislatura.
Morì celibe a Roma il 25 aprile 1872.
Mantenne sempre un profondo distacco rispetto alla politica governativa, non solo per il modo in cui era stata messa a tacere la ‘questione romana’, ma anche per la politica fiscale che impoveriva la popolazione, soprattutto meridionale. Pertanto, malgrado la sua partecipazione alle sedute parlamentari fosse assidua, non vi tenne interventi di rilievo.
Fonti e Bibl.: Arch. di Stato di Reggio Calabria, Fondo Plutino. Inoltre: G. Pepe, L’Italia negli anni 1847, 48 e 49. Continuazione delle Memorie, Torino 1850, passim; F. Plutino, Memoria delle vicende politiche dei fratelli Agostino e Antonino Plutino, Napoli 1861; T. Sarti, I rappresentanti del Piemonte e d’Italia nelle tredici legislature del Regno, Roma 1880, ad nomen; P. Pellicano, Memorie della mia vita, Napoli, 1887, passim; S. Vollaro, 2 settembre 1847-21 agosto 1860, Reggio Calabria 1891, passim; V. Visalli, I Calabresi nel Risorgimento italiano. Storia documentata delle rivoluzioni calabresi dal 1799 al 1862, I-II, Torino 1891-93, passim; L. Manzi, I prodromi della rivoluzione del ’48 in Aquila e Reggio Calabria, Reggio Calabria 1893, passim; F. Sprovieri, Ricordi politici e militari, Roma 1894, passim; R. De Cesare, La fine di un Regno, Città di Castello, 1900, ad indicem; G. Garibaldi, Memorie autobiografiche, Firenze 1902, ad indicem; G. Olivieri, I Plutino nel Risorgimento nazionale. Cenni biografici corredati di documenti inediti, Campobasso 1907; G. Paladino, La rivoluzione napoletana nel 1848, Milano 1914, ad indicem; V. Visalli, Lotta e martirio del popolo calabrese (1847-1848), Catanzaro 1928, ad indicem; N. Tripodi, I fratelli Plutino nel Risorgimento italiano, con particolari cenni alle rivoluzioni locali del 1847, '48 ,'60, Messina 1932; N. Rosselli, Recensione a I fratelli Plutino nel Risorgimento italiano. Con particolari cenni alle rivoluzioni locali del 1847-48-60, di Nino Tripodi, in Archivio storico per la Calabria e la Lucania, III (1933), 1, pp. 133-137; G. De Ruggiero, Il Parlamento napoletano nel 1848-49, in Il centenario del Parlamento italiano, Roma 1948, ad indicem; D. da Empoli, La protesta del 1848 dei deputati napoletani, in Klearchos, I (1959), 1-2, pp. 46-56; G. Cingari, Reggio Calabria, Roma-Bari 1988, ad indicem; M.P. Mazzitelli, L'archivio di Antonino e Agostino Plutino, in Calabria sconosciuta, XV (1992), 54, pp. 81-92; L. Candela, Il ruolo svolto dai fratelli Plutino per l’unità d’Italia, Milano 1994; A. Gallo Carrabba, Il gran rifiuto di Nino Plutino prefetto in camicia rossa, in Camicia rossa, XXXII (2012), 1-2, pp. 12 s.; G. La Motta, Rivoluzione calabrese. Ricordanze inedite di un patriota fuorilegge (Reggio Calabria 1819-Corfù 1881), testo e note a cura di P. Casile, Reggio Calabria 2014; G. Jetti, Il Re, il Parlamento e le barricate di Napoli (1848-1849), Avezzano 2014, ad indicem; Camera dei Deputati, Portale storico, http://storia.camera.it/deputato/antonino-plutino-1811#nav (20 novembre 2016).