PARENTANI, Antonino
– Nacque a Montichiari, vicino Brescia (Dardanello, 1995, p. 107 n. 55) non oltre l’inizio degli anni Settanta del Cinquecento.
Tale data si evince da un documento notarile che attesta la presenza di Parentani a Torino dal 1596, anno in cui prestò una somma di denaro ai genitori di un certo Filiberto Fauzone (Archivio di Stato di Torino, Insinuazione Torino, 1626, lib. 6, c. 69rv): in quel momento era quindi un artista già affermato e provvisto di una certa disponibilità economica.
Non si hanno notizie sul periodo di formazione di Parentani né sulle modalità del suo arrivo in Piemonte; due ritratti di bambini recanti la sua firma, documentati in Collezione Martinengo a fine Ottocento, fanno tuttavia supporre che egli sia giunto a Torino grazie a Francesco Martinengo Malpaga, generale bresciano al servizio del duca sabaudo Emanuele Filiberto e poi di suo figlio Carlo Emanuele I (Esposizione, 1878; Moccagatta, 1962-1963, p. 38).
I primi pagamenti registrati dalla Tesoreria di corte in suo favore sono quelli per gli apparati allestiti in occasione delle esequie della duchessa Caterina, moglie di Carlo Emanuele I, morta nel 1597.
A partire dal 1602 ricoprì il ruolo di «capo mastro de’ pittori», ovvero primo pittore di corte, succedendo a Giacomo Rossignolo (Schede Vesme, III, 1968, p. 778).
Giovanni Romano ha proposto di individuare la mano di Parentani, forse in collaborazione con il Rossignolo, nell’incisione posta in apertura del De vita Emmanuelis Philiberti, pubblicato nel 1596 (Romano, 1995, pp. 18 s.). È invece sicura la collaborazione con Rossignolo tra la fine del 1597 e i primi mesi del 1598 per i funerali della citata duchessa (Varallo, 1991).
Il dipinto più antico attribuibile a Parentani è la Madonna con il Bambino, santi e un donatore della parrocchiale di Torre Mondovì, realizzato intorno al 1597 (Dardanello, 1985, pp. 133 s.; Romano, 1995, pp. 47 s.). Di poco successiva è la Pala di S. Valerico, commissionata nel 1600 dalla città di Torino per la chiesa della Consolata come ex voto per la peste, e trasferita nel 1765 nella parrocchiale di Grugliasco, dove si trova tuttora (Roggero Bardelli, 1998, pp. 197-199).
Entro il 1603 Parentani iniziò a lavorare agli affreschi della facciata, della prima corte e di alcuni interni dell’attuale palazzo Scaglia di Verrua, all’epoca Solaro.
Le scene rappresentate, scialbate nel Settecento e riscoperte alla fine del XIX secolo, sono ispirate alle Metamorfosi di Ovidio e costituiscono l’unico esempio superstite a Torino di questo tipo di decorazione tardomanierista. Nella fascia superiore una serie divinità classiche, mentre nella fascia mediana sono raffigurati episodi mitologici legati alle figure soprastanti. Gli affreschi sono oggi in cattivo stato di conservazione a causa dello scialbo subito nel XVIII secolo e dei bombardamenti che colpirono il palazzo durante la seconda guerra mondiale.
Nel 1604 Parentani realizzò un’altra pala per la Consolata, destinata all’altare di patronato del tesoriere comunale Marco Antonio Bayro; l’opera, firmata «antonino parentani f[ecit]», e oggi affissa nella controfacciata del Duomo di Torino, testimonia l’aggiornamento dell’artista sulle novità dei cantieri romani (Romano, 1995, p. 47).
Nel primo decennio del Seicento Parentani fu coinvolto nel cantiere di rinnovamento della Grande Galleria di Carlo Emanuele I, avviato dal 1606 con il coordinamento di Federico Zuccari (questo ambiente, che collegava il Palazzo ducale di Torino all’antico castello, fu distrutto una prima volta da un incendio nel 1659 e poi definitivamente abbattuto nel 1801 in epoca napoleonica).
Il progetto di Zuccari, realizzato solo in parte, prevedeva una serie di grandi tele con ritratti equestri di duchi sabaudi, stagliati sullo sfondo di celebri battaglie. Il nome di Parentani compare tre volte in fase progettuale, in tre diverse ipotesi di suddivisione del lavoro, tuttavia non risultano pagamenti per la parte di decorazione che fu effettivamente realizzata (Bava, 1995, pp. 224-236; Dardanello, 1995, pp. 64-112).
Intorno al 1607-08 Parentani prese parte – insieme a Giovanni Ambrogio Figino, Cesare Agosti, Carlo Vacca, Ludovico Brandino, Guglielmo Caccia e altri artisti – alla realizzazione della serie di tele con i Ss. Tebei, oggi nel convento della basilica di Superga ma proveniente dal castello di Torino, dove è registrata in un inventario del 1631 (Merlotti - Bava, 2007).
Non è noto di quanti santi fosse originariamente composto questo ciclo: il documento seicentesco ne elenca undici; i quadri conservati a Superga sono dodici, e un tredicesimo è riconoscibile nella parrocchiale di Moncucco Torinese. Tra le tele note si possono attribuire a Parentani quelle ora siglate con i numeri D.C. 302, 303, 306; la presenza dell’aureola, che non compare negli altri dipinti, suggerisce di identificare le figure con i tre martiri tebei protettori di Torino, ovvero Solutore, Avventore e Ottavio.
Risale al 1609 il pagamento a Parentani per una «pittura» ordinata dal duca Carlo Emanuele I per la «chiesa di Santo Lorenzo», cappella fondata da suo padre Emanuele Filiberto come ex-voto per la vittoria di San Quintino del 10 agosto 1557, ora non più esistente (Schede Vesme, III, 1968, p. 779). Da un appunto di Baudi di Vesme confluito nella biografia di un altro artista, Cristoforo Aliberti, sembra che lo studioso avesse reperito dei documenti in cui si specificava che Parentani vi eseguì la pala per l’altare maggiore della cappella (Schede Vesme, I, 1963). Può forse essere riferito a questa impresa decorativa anche un disegno contenuto negli Album Valperga, rappresentante uno schizzo per la decorazione della parete di una chiesa, stilisticamente confrontabile con le opere note dell’artista.
Tra il 1609 e il 1619 l’artista non è documentato a Torino. Si colloca in questo periodo la sua attività alla certosa di Chiusa Pesio, dove realizzò nel presbiterio un grande ciclo decorativo ad affresco con Storie della Vergine e Storie di s. Brunone (Moccagatta, 1962-1963, passim; Dardanello, 1995, pp. 106 s.). Gli studi sulle soppressioni napoleoniche in Piemonte hanno chiarito che l’impegno di Parentani alla Chiusa si estese anche alle tele del presbiterio, realizzando «un’ancona […] rappresentante l’Assunzione di Maria Vergine, con due quadri laterali rappresentati sei santi dell’ordine certosino»; la parte centrale è perduta, mentre le due laterali, con S. Brunone tra i beati Birello e Guglielmo, e S. Ugo tra i beati Ancelino e Stefano, sono oggi custodite nella chiesa della Madonna dell’Olmo di Cuneo.
In epoca napoleonica erano conservati nella Certosa anche «due quadri grandi nel Sancta Sanctorum, laterali, rappresentanti uno il Santissimo Natale, e l’altro l’Epifania del Signore», ricordati dagli inventari come opere dell’artista (D’Italia, 2007). Sempre da Chiusa Pesio proviene la grande Ultima Cena ora nel Seminario arcivescovile di Cuneo, che rispetto ai dipinti ora alla Madonna dell’Olmo, in rapporto con la pittura milanese contemporanea, appare maggiormente influenzata dal lavoro di Giovanni Antonio Molineri, artista che dopo un soggiorno romano durato un quindicennio era rientrato in Piemonte nel 1616, portando notizie di prima mano sulle novità caravaggesche (Romano, 2007).
Presumibilmente tra il 1616 e il 1621 Parentani mise in opera la Pala di S. Bernardino della parrocchiale di Salmour, per l’altare del conte Alessandro Tesauro.
La figura del santo, arcaizzante e con un aspetto da ‘non finito’, vuole forse restituire l’impressione di un affresco antico, mentre il grande arco che incornicia la scena si ispira alle strutture trionfali erette in occasione delle nozze tra Carlo Emanuele I e l’infanta Caterina (1585) in diverse città del Cuneese, tra cui Savigliano e Mondovì (Failla, 2004).
È probabile che per far fronte a queste impegnative commissioni l’artista si sia servito di un certo numero di aiuti, su cui però non abbiamo notizie. Sulla base di confronti stilistici si può ipotizzare che siano opera di suoi collaboratori la Madonna col Bambino e santi della parrocchiale di Envie nel Cuneese (Galante Garrone, 2008, pp. 267-273) e la Crocefissione, ora nella chiesa parrocchiale di S. Secondo di Pinerolo (San Secondo…, 2002, pp. 151 s.).
Dal 1619 il nome di Parentani ricompare nei registri della Tesoreria sabauda, in alcuni pagamenti per lavori eseguiti a Torino e a Chambéry; il ritorno a corte dell’artista si inserì nei preparativi per le feste in occasione delle nozze del duca Vittorio Amedeo I con Cristina di Francia (1620). Negli anni 1621 e 1622 si dedicò soprattutto alla Vigna di Madama Reale, residenza collinare acquistata dalla duchessa Cristina (Schede Vesme, III, 1968, p. 779).
I pagamenti registrati dalla Tesoreria ducale si fermano al 1622 (ibid.).
All’ultima fase della produzione di Parentani, nella seconda metà degli anni Venti, si può ricondurre con certezza soltanto la Pentecoste, firmata, della Confraternita dello Spirito Santo di Gassino Torinese (Di Macco, 1979, p. 82). Non è nota la data di realizzazione di questa pala, del tutto simile per impianto iconografico alla Discesa dello Spirito Santo affrescata una decina di anni prima a Chiusa Pesio, al centro della volta del presbiterio; nella tela di Gassino tuttavia le figure sono più monumentali, le tinte più cupe, le ombre accentuate; anche qui si impone un confronto con Molineri, in particolare con la sua Pentecoste in S. Andrea a Savigliano, databile al 1629-30.
Tra le opere perdute ma documentate di Parentani vanno ricordati anche il «S[an]t[o] Antonio Abbate figura intiera, alto p[almi] 1 on[ce] 7» con «cornice nera rabescata profillata d’oro» e il «quadretto a oglio con la Sant[issi]ma Vergine tenente in grembo il Bambino Giesù nudo, accompagnata da un S. Gioseppe et d’un S. Pietro alt[ezza] on[ce] 10 larg[hezza] on[ce] 8», entrambi «di mano Antonino Parentani», citati nel 1684 nell’inventario della collezione del medico di corte Giacomo Francesco Arpino (Inventario delle medaglie... [post 1664], cc. 19r-20v).
Oltre che come pittore Parentani lavorò forse anche come miniatore: la critica ha proposto di attribuirgli il dipinto su pergamena rappresentante il Trasporto angelico della Sindone da Chambéry a Torino, oggi conservato al Castello di Racconigi (Romano, 1995, pp. 40 s.; Ciliento - Macera, 1998, pp. 71 s. cat. 17).
Nonostante gran parte delle opere di Parentani sia andata perduta – soprattutto ciò che riguarda la decorazione delle residenze ducali e la realizzazione di apparati effimeri –, se ne può ancora intuirne l’importanza soprattutto nella prima fase della sua attività, quando contribuì all’aggiornamento della cultura figurativa della corte sabauda sui modelli del grande manierismo internazionale.
Ignota è la data di morte di Parentani, circoscrivibile entro un lasso di tempo compreso tra il 1628, anno in cui è registrato ancora vivente in un documento notarile riguardante la menzionata questione dei prestiti (Archivio di Stato di Torino, Insinuazione Torino, 1628, lib. 7, cc. 140r-142v) e il 1631, quando Angelica Parentani, «figlia del fu signor Antonino», riscosse la sua dote per poter sposare l’archivista Gaspare Gallant (1631, lib. 12, c. 256rv).
Fu probabilmente la bottega dell’artista a portare a termine la pala con la Madonna della neve con s. Rocco e s. Sebastiano, realizzata per la parrocchiale di Andezeno come ex voto durante la peste del 1631 (Schede Vesme, III, 1968, p. 777; Andezeno, 1997, pp. 8 s.).
Ebbe un figlio, Agostino, noto principalmente come topografo e ingegnere militare (Schede Vesme, III, 1968, pp. 776 s.). Non si hanno notizie di dipinti da lui realizzati; tuttavia alla sua mano si deve il disegno preparatorio per l’acquaforte con l’Assedio di Torino del 1640, incisa da Giovanni Paolo Bianchi (Peyrot, 1965).
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Torino, Insinuazione Torino, 1626, lib. 6, c. 69rv, 1628, lib. 7, cc. 140r-142v, 1631, lib. 12, c. 256rv; Torino, Biblioteca reale, Mss., Storia Patria 810: Inventario delle medaglie e monete antiche quali si conservano nel Gabinetto di me Giacomo Francesco Arpino dottor fisico collegiato, cittadino di Torino, conseglier e medico di camera di S. A. R., insieme con altri ornamenti di detto Gabinetto (post 1664), cc. 19r-20v.
Esposizione della pittura bresciana (catal.), Brescia 1878, pp. 30 cat. 88, 32 cat. 100; V. Moccagatta, La decorazione di primo Seicento della Certosa di Chiusa Pesio, in Bollettino della società piemontese di archeologia e belle arti, n.s., XVI-XVII (1962-1963), pp. 35-46; Schede Vesme. L’arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, I, Torino 1963, p. 18; A. Peyrot, Torino nei secoli. Vedute e piante, feste e cerimonie nell’incisione dal Cinquecento all’Ottocento: bibliografia, iconografia, repertorio degli artisti. 1538-1825, I, Torino 1965, p. 24 n. 31; Schede Vesme. L’arte in Piemonte dal XVI al XVIII secolo, III, Torino 1968, pp. 776-779; M. Di Macco, Torino, in Guida breve al patrimonio artistico delle province piemontesi, Torino 1979, pp. 75-92; G. Dardanello, Spazio religioso e paesaggio devozionale. I casi di Villanova e Torre, in Valli monregalesi. Arte, società, devozioni (catal., Vicoforte), a cura di G. Galante Garrone - S. Lombardini - A. Torre, Mondovì 1985, pp. 107-147; F. Varallo, Il Duca e la corte. I. Cerimonie al tempo di Carlo Emanuele I di Savoia, Ginevra 1991, pp. 32-38, 75-95; A.M. Bava, La collezione di pittura e i grandi progetti decorativi, in Le collezioni di Carlo Emanuele I di Savoia, a cura di G. Romano, Torino 1995, pp. 211-264; G. Dardanello, Memoria professionale nei disegni dagli Album Valperga. Allestimenti decorativi e collezionismo di mestiere, ibid., pp. 63-134; G. Romano, Artisti alla corte di Carlo Emanuele I. La costruzione di una nuova tradizione figurativa, ibid., pp. 13-62; Andezeno. Mille anni di storia... Atti del convegno (1992), II, Andezeno 1997, pp. 8 s.; Il Castello di Racconigi. La collezione sindonica e la Cappella reale (catal., Racconigi), a cura di B. Ciliento - M. Macera, Torino 1998, pp. 71 s. cat. 17; C. Roggero Bardelli, La Consolata, un Santuario oltre il tempo, in Torino: i percorsi della religiosità, a cura di A. Griseri - R. Roccia, Torino 1998, pp. 159-242; San Secondo di Pinerolo: immagini e storie di un paese del Piemonte, a cura di P. Cozzo, San Secondo di Pinerolo 2002, pp. 151 s.; M.B. Failla, in Una gloriosa sfida. Opere d’arte a Fossano, Saluzzo, Savigliano, 1550-1750 (catal., Fossano - Saluzzo - Savigliano), a cura di G. Romano - G. Spione, Caraglio 2004, pp. 292 s.; La Carità svelata. Il patrimonio storico artistico della Confraternita e dell’Ospedale di Santa Croce in Cuneo (catal.), a cura di G. Galante Garrone - G. Romano - G. Spione, Cuneo 2007 (in partic. S. D’Italia, pp. 196-199, 202 s., schede 12, 14; G. Romano, pp. 200 s. scheda 13); A. Merlotti - A.M. Bava, in La Reggia di Venaria e i Savoia. Arte, magnificenza e storia di una corte europea (catal. 2007-2008), a cura di E. Castelnuovo, II, Torino 2007, pp. 54-58, nn. 3.1-3.12; G. Galante Garrone, Manierismi. Dalla dominazione francese al controllo sabaudo del territorio (1548-1620), in Arte nel territorio della diocesi di Saluzzo, a cura di R. Allemano - S. Damiano - G. Galante Garrone, Savigliano 2008, pp. 251-275; S. D’Italia, Il tramonto del Manierismo a Torino: A. P. e la decorazione di Palazzo Scaglia di Verrua, in Palazzo Madama. Studi e notizie, in corso di pubblicazione.