GUASTAFERRO, Antonino
Nacque a Santa Caterina Villarmosa (nell'odierna provincia di Caltanissetta) il 2 ag. 1736 da Giuseppe, giudice della corte civile, e Clara Bruno.
Dal 1751 al 1753, il G. risiedette a Palermo ed entrò in contatto con un pittore al servizio dei Cottone, principi di Castelnuovo (Federico [1939, p. 98] cita erroneamente al riguardo G. Platania, morto nel 1720), signori feudali di Santa Caterina, residenti per lo più nella capitale. Il rapporto, presumibilmente di alunnato e collaborazione, con il pittore di fiducia della famiglia Cottone fece scaturire l'interesse del principe Filippo Carlo per il G., del quale divenne sostenitore e mecenate. Per lui, secondo padre Fedele da San Biagio, eseguì a Palermo vari quadri (pp. 259 s.) che allo stato attuale degli studi rimangono irrintracciabili. Contestualmente a Palermo dipinse per altri committenti, com'è attestato dall'opera Rinaldo e Armida, tratta dalla Gerusalemme liberata di T. Tasso, ai tempi di A. Gallo in casa del cavalier Fichera, e da un altro dipinto segnalato dallo stesso autore nella collezione del marchese Magnisi. A questo stesso momento cronologico è forse da riferire il S. Giuseppe già nella chiesa madre di Villafranca Sicula, e oggi non più reperito. Nel 1754 il G., aiutato finanziariamente dal principe di Castelnuovo, si trasferì a Napoli, dove frequentò gli ambienti artistici più vivaci della città e spesso studiò le opere custodite nelle più note "quadrerie" (Gallo, Notizie…, c. 1014). Dal 1756 al 1771 soggiornò a Roma, da cui si allontanerà per brevi viaggi a Napoli. A Roma conobbe il cardinale D. Russo e il principe M. Colonna, ricordati da Gallo come suoi mecenati, e tra il 1760 e il 1762 frequentò la scuola di nudo presso l'Accademia di S. Luca, prendendo parte a due concorsi nell'aprile del 1760 per la prima classe (presidente della commissione il pittore spagnolo Francesco Preziado) e nel marzo del 1762 per la seconda (presidente lo scultore fiorentino Filippo Della Valle). Nelle collezioni dell'Accademia di S. Luca si conservano le prove accademiche dei due concorsi costituite da due figure virili nude, una seduta e l'altra appoggiata a un piedistallo. Le opere realizzate a sanguigna su carta acquerellata con evidenti brani di lumeggiatura a biacca si inseriscono nel solco delle tradizionali esercitazioni accademiche di ambito classicistico con specifici agganci alla cultura marattesca e conchiana. Negli anni 1763-64 mise in opera a Napoli la pala con la Madonna che appare a s. Gaetano da Thiene, influenzata dai modi dell'ultimo S. Conca, successivamente inviata alla chiesa madre di Santa Caterina Villarmosa, dove si trova tuttora.
Per una cappella della chiesa napoletana di S. Maria Donnaregina realizzò nel 1764 su incarico della famiglia Narni Mancinelli l'arredo pittorico completo, segnalato dalla letteratura periegetica partenopea (Sigismondo, Galante) e costituito da due pale d'altare, da due lunette e da una tela dal profilo mistilineo inserita nella volta. Questa serie di dipinti su tela dedicata a storie di s. Antonio da Padova (S. Antonio e il miracolo dell'asina, firmato e datato in basso a sinistra; S. Antonio resuscita un morto; S. Antonio e il miracolo della cieca; La morte di s. Antonio; S. Antonio in gloria), considerata di mediocre fattura (Spinosa, 1971, p. 40) mostra un'utilizzazione stereotipa del repertorio figurativo classicistico-barocco da Conca e da C. Maratta, con qualche aggancio specifico a taluni loro allievi ed epigoni come A. Masucci cui il G. sembra richiamarsi nel S. Antonio resuscita un morto. Nel 1765, il G. risulta soggiornare nuovamente a Roma, come testimonia padre Fedele da San Biagio che si recò in quella città per la seconda volta in occasione della canonizzazione del beato Serafino d'Ascoli.
Nello stesso anno il G. firmò e datò la pala con la Sacra Famiglia e i ss. Elisabetta, Zaccaria e Giovannino. L'opera, che era stata donata dal pittore al connestabile principe Colonna, fu successivamente inviata a Villafrati per essere collocata su uno degli altari della nave della nuova chiesa madre, fortemente voluta dal principe di Mirto e signore di Villafrati Vincenzo Clemente Filangeri e Cottone.
La tela di Villafrati è stata giustamente considerata fra le opere più significative del G. che si mostra orientato verso la ricerca di una politezza formale, riconducibile, più che al neoclassicismo in senso stretto, al linguaggio di P. Batoni, scrutato durante il suo lungo soggiorno romano (Bongiovanni, 2002, p. 136).
In un momento prossimo alla pala di Villafrati, il G. dipinse sempre a Roma la Pietà e il S. Francesco di Paola, che a detta di Gallo inviò alla chiesa madre di Santa Caterina Villarmosa. La Pietà, che insieme con il quadro di Villafrati costituisce uno dei rari momenti alti della pittura del G., rivela un gusto accademico da riferire al forte ascendente esercitato dal classicismo raffaellesco e maggiormente da quello dei bolognesi attivi a Roma nel Seicento. In particolare alcune soluzioni compositive appaiono desunte dalla Pietà carraccesca della galleria napoletana di Capodimonte, già nella collezione Farnese, diffusa da numerose stampe di traduzione. Tra il 1768 e il 1770 il G. fu impegnato a Napoli insieme con G.B. Rossi, A. Dominici e B. Torre nella messa in opera di alcuni modelli pittorici relativi al Don Chisciotte, che saranno poi tradotti in arazzi nella Real Fabbrica degli arazzi di Napoli. Al G., in particolare, sono ascritti i modelli per Sancio fa chiedere alla duchessa il permesso di vederla (1768-69), Don Chisciotte che si fa calare nella grotta (1770) e Sancio si fustiga per liberare la Dulcinea dall'incantesimo (1770: il cartone attualmente è esposto nel Palazzo reale di Napoli e fu utilizzato per l'arazzo tessuto nel 1772 da Pietro Duranti).
Da un documento custodito presso l'Archivio di Stato di Napoli risulta che il G. partecipò ad alcuni lavori di decorazione nella reggia di Portici (Rotondo, 2002, p. 28). Nello stesso periodo prese parte a un concorso per pittori relativo ad alcuni lavori da eseguirsi nella nuova reggia di Caserta: a detta di Gallo "risultò primo" (c. 1015). Il soggetto della prova di concorso realizzato dal G. era costituito da "due leoni in atto di azzuffarsi".
Ammalatosi il G. tornò a Santa Caterina dove morì nell'agosto 1771 "dopo 26 giorni di dimora" (Gallo, c. 1015).
Probabilmente già conservata nel palazzo Cottone a Santa Caterina Villarmosa e successivamente donata dai Cottone al Municipio dello stesso centro è la grande tela con Lucrezia pugnalata da Tarquinio, probabilmente afferente alla seconda metà degli anni Sessanta del XVIII secolo, un testo pittorico dai toni teatrali e magniloquenti, ispirato a modelli romani contemporanei.
Fonti e Bibl.: Palermo, Biblioteca centrale della Regione siciliana: Mss., XV-H-19: A. Gallo, Notizie di pittori e mosaicisti siciliani o esteri che operano in Sicilia, ms. [sec. XIX], cc. 1013-1015; Fedele da San Biagio, Dialoghi familiari sopra la pittura, Palermo 1788, pp. 259 s.; G. Sigismondo, Descrizione della città di Napoli e suoi sobborghi, I, Napoli 1788, p. 132; A. Gallo, Saggio su' pittori siciliani, Palermo 1842, p. 7; G.A. Galante, Guida sacra della città di Napoli, Napoli 1872, p. 69; C. Minieri Riccio, La Real Fabbrica degli arazzi nella città di Napoli, Napoli 1879, pp. 35, 37; G. Cosenza, in Napoli nobilissima, XI (1902), 8, p. 124; F. Federico, Storia ecclesiastica di Santa Caterina Villarmosa, Caltanissetta 1913, p. 32; Id., Storia particolareggiata del Comune di Santa Caterina Villarmosa, Caltanissetta 1939, pp. 98 s.; P.E. Sgadari di Lo Monaco, Pittori e scultori siciliani, Palermo 1940, p. 59; N. Spinosa, L'arazzeria napoletana, Napoli 1971, p. 40; C. Siracusano, La pittura del Settecento in Sicilia, Roma 1986, pp. 139, 334; N. Spinosa, Pittura napoletana del Settecento, II, Napoli 1987, p. 96; G. Fiandaca, Beni di Santa Caterina, Santa Caterina Villarmosa 1988, p. 12; G. Bongiovanni, Le arti, in G. Bongiovanni - A. Pravatà - D. Ruffino, Omaggio a Villafrati. Studi sulla chiesa madre, Villafrati 1993, pp. 51-54; V. Di Piazza, in L. Sarullo, Diz. degli artisti siciliani, II, Palermo 1993, s.v.; A. Gallo, Notamento alfabetico di pittori, e musaicisti siciliani, ed esteri che hanno lavorato pure per la Sicilia…, trascrizione e note di M.M. Milazzo - G. Sinagra, Palermo 2000, p. 36; E. D'Amico, La cultura pittorica del XVIII secolo nel territorio di Caltanissetta. Puntualizzazioni e scoperte, in La pittura nel Nisseno dal XVI al XVIII secolo, Palermo 2001, pp. 86, 91, 222 s.; G. Bongiovanni, A margine dei "Dialoghi familiari sopra la pittura": la cultura artistica del Settecento fra Sicilia e Roma, in Padre Fedele da San Biagio fra letteratura artistica e pittura, a cura di G. Costantino, Palermo-Caltanissetta 2002, pp. 135 s.; C. Rotondo, A. G. pittore, Roma 2002; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XV, pp. 179 s.