DE STEFANO, Antonino
Nacque a Vita (Trapani) il 4 ag. 1880da Giuseppe e da Giuseppa Perricone. Unico maschio di quattro figli, all'età di nove anni fu inviato nel seminario di Monreale dove compì gli studi ginnasiali per cinque anni. Nel 1895entrò nel seminario Pio romano, allora famoso sia per il rigore della disciplina di stampo gesuitico sia per la severa ortodossia di stretta osservanza tradizionalista e neotomista, per compiervi il corso liceale e quello teologico.
A Roma ebbe come compagni di studio Ernesto Buonaiuti, Giovanni Pioli, Mario Rossi, Pietro Parrella e Nicola Turchi, coi quali contribuì alla fondazione della Rivista delle riviste del clero. Contemporaneamente frequentò anche il gruppo di novatori che si riuniva attorno a padre Giovanni Genocchi e che ebbe fra gli altri aderenti Giuseppe Bonaccorsi, Umberto Fracassini e Alessandro Ghignoni.
La cerchia delle sue frequentazioni lo avvicinava al movimento modernista e, più in particolare, al gruppo radicale romano che nella geografia della crisi religiosa d'inizio secolo si connotò per una presa di posizione di autentico anticlericalismo laico e per un'opera di tenace corrosione al potere papale considerato un residuo della teocrazia medioevale.
Negli stessi anni il D. partecipò attivamente alle ricerche storiche sotto la direzione di mons. Umberto Benigni, docente di storia ecclesiastica presso il seminario Pio romano. È infatti del 1902 il saggio sui Traditores, che già denota i futuri interessi del D. per le tematiche del cristianesimo primitivo e che veniva pubblicato nella Miscellanea di storia ecclesiastica e studi ausiliari, fondata nel 1901 dallo stesso Benigni allo scopo di farvi collaborare i migliori allievi del seminario.
Tornato dopo l'ordinazione sacerdotale, nel 1903, nella nativa diocesi di Trapani il D. si dedicò per qualche tempo all'apostolato finché, nel 1906, non si iscrisse alla università svizzera di Friburgo. Là conobbe Paolo Arcari, docente di letteratura italiana e uno degli esponenti di primo piano del movimento murriano, e seguì i corsi di paleografia del domenicano Pierre Mandonnet. Trasferitosi successivamente in Germania, presso la facoltà teologica cattolica di Friburgo in Brisgovia, studiò sotto la guida del filologo Giulio Bertoni. Soggiornò quindi per qualche tempo a Monaco di Baviera nella cui università studiò sotto la guida di H. Grauert e di M. Grabmann. Si stabilì quindi a Ginevra dove si iscrisse alla facoltà teologica protestante.
Risale agli anni ginevrini, e precisamente al 1910, la fondazione della Revue moderniste internationale che sotto la direzione del D. uscì fino al marzo del 1912 in complessivi ventiquattro fascicoli.
Fondata con l'intento di costituire una sorta di momento di incontro delle varie esperienze moderniste a livello internazionale e di riaggregare le sparse forze del movimento dopo l'enciclica Pascendi (1907), la rivista dovette però ben presto ridimensionare l'originario programma. Sconfessata da gran parte dei vecchi amici del gruppo radicale romano e guardata con sospetto dalle intelligenze del riformismo religioso d'Oltralpe, la rivista del D. cessò ben presto le pubblicazioni senza lasciare una duratura impronta nel movimento modernista.
Rientrato in Italia nella primavera del 1912 e accantonato ogni interesse per il modernismo, non senza avere espresso alcune polemiche nei confronti dei compagni del seminario Pio romano, il D. si dedicò completamente agli studi.
Dopo un breve soggiorno a Trapani si recò a Roma dove, nella primavera del 1913, abbandonava definitivamente l'abito ecclesiastico. Diresse per qualche tempo l'Istituto artistico italiano, che aveva fra gli organizzatori l'ex modernista Luigi Guglielminotti, e collaborò alla rivista Bylichnis. Dal gennaio del 1915, dopo avere nel frattempo aderito al movimento interventista, divenne corrispondente di Figaro. Mobilitato all'entrata in guerra dell'Italia otteneva un congedo per malattia e, nel 1917, entrava come soldato semplice al ministero della Guerra essendo stato dichiarato inabile al servizio attivo. Nel frattempo, ottenuta la conferma della laurea a Roma con una tesi di storia medioevale, il D. si dedicò all'attività giornalistica collaborando a L'Unità, Il Globo, Il Progresso. L'insegnamento medio, intrapreso nel dopoguerra, lo condusse a Benevento, Parma, Como, Mantova, Bologna e, infine, a Palermo.
Ottenuta nel 1920 la riduzione allo stato laicale, il D. conseguì la libera docenza nel 1932. Dopo un periodo di insegnamento presso l'università di Bologna, si trasferì nell'università di Palermo dove, nel 1939, vinse la cattedra di storia medievale. Nel 1943 fu nominato commissario straordinario della Deputazione siciliana di storia patria di cui sarà vicepresidente dal 1946 al 1948 e presidente dal 18 dic. 1948 al 5 dic. 1964.
Il D. si riconciliava con la Chiesa negli ultimi anni della sua vita e tale riconciliazione coincideva significativamente con l'ascesa al soglio pontificio di Giovanni XXIII, suo compagno di studi al seminario Pio romano, nel cui pontificato la critica storica ha ritenuto di individuare la realizzazione, almeno in parte, di quelle aspirazioni religiose che erano state alla base del movimento modernista all'inizio del Novecento.
Il D. morì il 5 dic. 1964 a Palermo.
La storiografia medievista ritiene che l'opera del D., che abbraccia l'arco di un sessantennio, vada compresa in relazione alla sua giovanile esperienza religiosa e, in particolare, alla sua adesione al movimento modernista. I suoi biografi concordano infatti nel ritenere che il suo mondo di studioso altro non sia stato che l'appariscente manifestarsi di una lunga e angosciosa crisi spirituale la cui gestazione ebbe inizio negli anni del seminario Pio romano. Cosicché la critica storica, pur suddividendo in tre filoni fondamentali gli interessi di studioso del D., ne attribuisce ad una unica valenza l'originaria ispirazione.
Il primo periodo della sua attività è occupato dalle ricerche sui movimenti ereticali e, almeno inizialmente, coincide con le giovanili esperienze moderniste. Appartengono a questo primo periodo il saggio sui Traditores (1902), che segna l'esordio del D., lo studio sull'origine e sullo sviluppo degli umiliati, dei valdesi, dei frati gaudenti, dei gioachimiti e della setta Spiritus Libertatis, per terminare con un saggio su Arnaldo da Brescia (1921), che viene unanimemente considerata una delle opere fondamentali del De Stefano.
Unanime è stato il giudizio della critica nell'indicare, per ciò che attiene lo studio dei movimenti ereticali, un superamento e della teoria filosofico dottrinale di F. Tocco e di quella politico sociale di G. Volpe. La sintesi cui il D. pervenne, privilegiò, pur armonizzandola con altri fattori, la dimensione religiosa giacché l'eresia gli apparve in primo luogo come mossa dalla istanza del rinnovamento religioso. E tale indirizzo appare in tutta evidenza nel lavoro su Arnaldo da Brescia, nel quale il D. giungeva alla conclusione che l'opera riformatrice del grande agitatore bresciano, a sfondo evangelico e pauperista, doveva essere considerata di tipo essenzialmente religiosa.
L'originaria ispirazione religiosa sembra poi aver indirizzato il D. verso la figura di Federico II e la sua età. Èstato in effetti osservato che il Federico II del D. non è il personaggio scettico in materia di fede, così come era stato dipinto da Y.-L. Huillard-Bréholles, ma il credente messo sotto accusa da tutta una tradizione leggendaria per dare contenuto alle accuse di eresia mosse da Gregorio IX e Innocenzo IV.
Gli studi sull'età federiciana, cui il D. attese per circa un quindicennio, dall'inizio degli anni Venti fino alla prima metà del decennio successivo, aprirono allo studioso siciliano gli interessi per l'ultima fase della sua attività: quella legata in particolare alla storia della Sicilia e che, inauguratasi con l'opera su Federico III (1937), sarebbe proseguita per circa un quarto di secolo attraverso numerose indagini dedicate ai rappresentanti più significativi dell'umanesimo siciliano.
Se l'ispirazione religiosa costituisce il movente ideale di tutta l'opera del D., ad essa si sovrappongono due lezioni fondamentali che affinano la sua metodologia di studioso. Determinante fu l'apprendimento di conoscenze della scuola filologica tedesca che, fin dagli esordi, lo condusse alla edizione critica di alcuni importanti testi medioevali. Non immune appare poi il D. dall'influsso del crocianesimo che, svincolando lo studioso dalle remore della pura erudizione, arricchì di motivi nuovi i temi della sua indagine storica. L'armonizzazione che il D. compì di queste due tendenze, tradizionalmente antitetiche, ha fatto ad alcuni critici affermare che l'opera dello storico siciliano risponde ad una forma eclettica che sfugge ad ogni classificazione di scuola.
Al di là comunque di sempre opinabili collocazioni ed etichettature rimane il fatto che l'opera del D. ha costituito un punto fermo per coloro i quali, da padre Ilarino da Milano, da R. Morghen, da H. Grundmann ed A. Frugoni, si sono successivamente occupati della ricerca sui movimenti ereticali.
Tra le opere del D. vanno ricordate: I "Traditores", Roma 1902; Una nuova grammatica latino-italiana del secolo XIII, in Revue des langues romanes, XLVIII (1905), n. 6; Un nuovo testo della "Nobla Leyçon", in Studi medievali, II (1906), I, pp. 80-92; Villes deaux antiques, in Revue des villes de saison, 17 nov. 1909, pp. 1-3; L'hospitalité, ibid., 1º dic. 1909, pp. 6 s.; La Nobla Leyçon des Vaudois du Piémont, testo critico, introduzione e glossario, Paris 1909; Itedeschi e l'eresia medioevale in Italia, Roma 1916; Un curioso frammento agiografico da un manoscritto beneventano, Benevento 1916 (estr. da Rivista storica del Sannio, II [1916], n. 2); Valdo fondatore della comunità valdese, Firenze 1918; L'escatologia politica di Ranieri arcivescovo di Firenze, Pavia 1918 (estr. da Athenaeum, VI [1918], n. 4); Arnaldo da Brescia e i suoi tempi, Roma 1921; Federico II e le correnti spirituali del suo tempo, ibid. 1922, L'idea imperiale di Federico II, Firenze 1937; 2 ed. Bologna 1952; 3 ed. Parma 1978; Federico III d'Aragona re di Sicilia (1296-1337), Palermo 1937; 2 ed. Bologna 1954; La cultura in Sicilia nel periodo normanno, Palermo 1937; 2 ed. Bologna 1956; La cultura alla corte di Federico II imperatore, Palermo 1938; 2 ed. Bologna 1950; Civiltà medievale, Palermo 1938; 2 ed. Bologna 1955; Riformatori ed eretici del Medioevo, Palermo 1938; Civiltà mediterranea, 3 voll., Palermo 1941-1942; La formazione degli Stati moderni d'Europa, Catania 1942; Il registro notarile di Giovanni Maiorana (1297-1300), Palermo 1943, Appunti di storia economica della Sicilia nel Medioevo, ibid. 1946; Civiltà in cammino, 3 voll., ibid. 1948-1950; Storia economica dell'Europa nei secoli XV e XVI. Appunti di lezioni universitarie, ibid. 1948; Correnti politiche al tramonto del Medio Evo, 2 voll., ibid. 1948-1949; Affreschi bizantini ad Erice, in La Giara, III (1954), n. 2; Rivoluzione e religione nelle prime esperienze costituzionali italiane (1796-1797), Milano 1954; Lettere di Nicola Fabrizi a Rosolino Pilo, a cura di A. De Stefano, Palermo 1956.
Fonti e Bibl.: Urbino, Centro studi per la storia del modernismo, Carte Sabatier; Parigi, Bibl. nat., Papiers Houtin;Cambridge, Mass., Harvard Divinity School, Papers La Piana; Helius Romanus, Modernisten. Zeitroman, Berlin-Leipzig 1908; Studi medievali in onore di A. D., Palermo 1956;E. Buonaiuti, Pellegrino di Roma. La generazione dell'esodo, Bari 1956, pp. 104 ss.; Onoranze ad A. D. nel giubileo del suo insegnamento universitario, Palermo 1956; C. Falconi, Gli spretati, Firenze 1958, pp. 203-207; C. Giardina-V. Titone, D. ricordato alla storia patria, in Cronache parlam. siciliane, febbraio 1965, pp. 179-187; F. Giunta, Commemor. di A. D., in Arch. stor. siciliano, s. 3, XVI (1967), pp. 31-50;R. Morghen, La storia della Sicilia nella storiografia ital. dell'ultimo cinquantennio, ibid., s. 3, III (1970), pp. 565-584;F. Giunta, Medioevo e medievisti. Note di storiogr., Caltanissetta 1971, pp. 310-334;L. Bedeschi, Un episodio di spionaggio antimodernista, in Nuova Riv. stor., LVI (1972), pp. 389-423; F. Brancato, Il Museodel Risorg. di Palermo, in Nuovi Quaderni del Meridione, XI (1973), pp. 454-468; L. Bedeschi-S. Pivato, Modernismo bohémien: A. D., in Civitas, XXVII (1976), 10, pp. 39-68.