DE LUCA, Antonino (in religione Antonio Saverio)
Nacque a Bronte, in provincia di Catania, il 28 ott. 1805 da Vincenzo e da Francesca Saitta. Ultimo di dieci figli, compiuti i primi studi nel collegio "Capizzi" di Bronte, passò al seminario di Monreale ove, affidato a due dotti canonici, si distinse, oltre che nelle materie teologiche, per una spiccata predisposizione all'apprendimento delle lingue straniere e allo studio delle scienze. Non si sentiva, tuttavia, ancora pronto per il sacerdozio e, dopo che nel 1826 ebbe vinto il premio Di Giovanni che assegnava un legato di 1.000 scudi al giovane siciliano che sapesse meglio di latino, greco, italiano, storia sacra e storia regionale, restò a Palermo per completare la propria formazione culturale, trovando anche saltuario impiego come istitutore privato. Nel 1827 il D. si spostò a Napoli pensando di farne una tappa nel viaggio di avvicinamento a Roma, ma, non avendo trovato gli appoggi giusti, tornò a Palermo.
Di Roma lo attirava la possibilità che essa sola offriva a chi., come lui, aspirava ad intraprendere una carriera nella diplomazia pontificia e vi si preparava restando in provincia, senza poter contare sulle, tradizioni di famiglia e per di più senza aver frequentato i corsi della romana Accademia dei nobili ecclesiastici. A tali carenze il D. suppliva con l'ambizione e la volontà e, nel dicembre del 1829, provveduto di lettere di presentazione per mons. G. Grassellini e per i cardinali E. De Gregorio e T. Arezzo, si risolse finalmente a partire. L'esordio romano non fu per lui facile: l'ambiente, non particolarmente evoluto, respingeva gli estranei o ne diffidava, e per esservi ammesso il D. prese a muoversi nella dimensione che gli era congeniale, quella culturale, cominciando a scrivere articoli su temi di attualità e cercando di accreditarsi come difensore della religione dagli attacchi cui la esponevano le moderne teorie filosofiche o estetiche.
Nel 1830 apparve a Roma ("primo frutto delle mie tenui fatiche", lo definiva il D. stesso nella dedica a mons. P. Di Giovanni) un lungo saggio di riflessioni critiche Sulla pretesa attitudine del politeismo a preferenza del culto ebreo e cristiano ad incivilire i popoli e a render le bell'arti fiorenti... in risposta ad un nuovo saggi . o .critico di un anonimo sul Genio del Cristianesimo, inserito nella Rivista enciclopedica di Parigi, tom. XXXIX, luglio 1828: come chiariva il lungo titolo, si trattava di una puntigliosa confutazione della tesi che aveva attribuito alla mitologia greca capacità di evocazione fantastica e poetica; polemizzando con tale tesi il D. rivendicava alle religioni monoteistiche una inconfutabile "attitudine a spargere e far tra' popoli germogliare i semi della civiltà e della vera socievol cultura" (p. 17).
Le doti dialettiche palesate in questo primo lavoro unitamente a una personalità già matura se non compiuta fornirono al D. un buon lasciapassare per il mondo della pubblicistica cattolica, in quegli anni impegnata, al di là delle occasionali dispute teoriche, soprattutto nella difesa dell'assolutismo e nella riaffermazione del valore irrinunciabile del principio d'autorità. Ammesso nell'Arcadia e chiamato a collaborare ad alcuni periodici (il Giornale arcadico di Roma o il NuovoGiornale dei letterati di Pisa) con articoli stesi prevalentemente in forma di recensione, il D. venne via via dando un carattere più marcatamente politico ai propri interventi, anche se in famiglia c'era chi, come il fratello Placido, più tardi professore di economia politica a Napoli e dopo l'unificazione deputato al Parlamento italiano, gli consigliava di non scoprirsi eccessivamente per difendere ideali che ripugnavano alla maggioranza dell'opinione pubblica colta. Ascoltandolo almeno in parte, il D. fece uscire anonimo un altro corposo saggio Sulla eccessiva diffusione e lettura delle gazzette francesi in Italia, che, ospitato nel primo fascicolo della Voce della ragione di M. Leopardi (1832), al modello francese propagandato dalla stampa d'Oltralpe di una società caotica. turbolenta, anarcoide, pervasa di principi deleteri quali quello della sovranità nazionale, contrapponeva il vagheggiamento di un ideale legittimistico dove il monarca fosse assoluto, la Chiesa rispettata, ogni progresso frutto non di uno strappo rivoluzionario ma di una lenta evoluzione.
Di notevole c'era in questo scritto che, pur di esorcizzare lo spettro di un'Italia esposta al corruttore influsso della stampa transalpina e quindi devastata da una rivoluzione che, a suo dire, avrebbe fatto solo il gioco della Francia, il D. non esitava a fare l'apologia del riformismo settecentesco da una parte esaltando personaggi come B. Tanucci per la sua lotta contro il feudalesimo meridionale o come Vittorio Amedeo III di Savoia per i limiti imposti alla "eccessiva potenza de' nobili" (p.34), dall'altra rievocando con accenti nostalgici il grande rigoglio culturale dell'Italia del '700 e la funzione trainante esercitata in Lombardia ed a Parma dal pensiero dei philosophes.
Questo ed altri elementi del saggio del D. dimostravano che egli non era in tutto e per tutto assimilabile agli scrittori di tendenza reazionaria operanti prevalentemente in città come Modena e Pesaro. Proprio su un fascicolo successivo della Voce della ragione (I [1832], pp. 257 ss.) apparve una lettera anonima Aisignori redattori che polemizzava con gli spunti antiaristocratici presenti nello scritto dei D. dicendoli convergenti con quelle tesi rivoluzionarie che pure si pretendeva di combattere. E in effetti non è difficile rintracciare nel giovane abate siciliano i segni d'una irrequietezza intellettuale che in quegli stessi anni, cioè all'indomani della rivoluzione del 1830, lo spingeva a coltivare un altro tipo di ricerca, di natura più teologica, intrattenendo una breve relazione epistolare con F. de Lamennais, da lui conosciuto di persona a Roma nel 1832, nel periodo in cui questi, superato l'ultramontanismo degli anni della giovinezza, gettava le basi teoriche del cattolicesimo liberale e dalle colonne dell'Avenir predicava l'urgenza di un rinnovamento della Chiesa in senso antiatitoritario. Dimentico di avere appena tuonato contro gli effetti delle pubblicazioni francesi, nel marzo del 1833 il D. si felicitava col Lamennais della diffusione dei suoi scritti in Italia e si augurava che la sua meditazione filosofica non lo portasse fuori della Chiesa: quando, nel 1834, ciò avvenne, i rapporti tra i due si interruppero e il D. non dette seguito all'intenzione, preannunziata in un'altra lettera dell'ottobre del 1832, di recarsi in Francia a studiare teologia col Lamennais.
La rinunzia a tale proposito lo ricondusse alla pubblicistica: forse anche dietro l'influsso di F. Ozanam, il suo sforzo appariva ora volto a tracciare il quadro di uno sviluppo storico universale in cui la Chiesa, il Papato, il cattolicesimo erano presentati come fattori di progresso, di difesa degli umili, di liberazione degli oppressi; applicato all'Italia tale criterio interpretativo indurrà il D. a sostenere, in una conferenza tenuta il 23 luglio 1835 presso l'Accademia di religione cattolica, che il Papato non aveva in passato diviso la penisola ma l'avgva salvata dai pericoli esterni, aveva costituito prima un "principio di assimilazione morale", quindi, dopo Carlo Magno, un "principio di equilibrio politico", infine un "principio di unione" (De' vantaggi che i romani pontefici hanno arrecato alla condizione politica de' popoli italiani, Roma 1835). L'area che al D. sembrava meglio testimoniare la funzione positiva esercitata dal cattolicesimo sul piano storico era però quella anglosassone, dove la voce di Roma da secoli arrivava flebile e viveva tra mille contrasti: una Storia del cattolicesimo in Irlanda, a cui lavorò per parecchi anni, non vide mai la luce, ma il bisogno di documentarsi lo mise in contatto con il card. Th. Weld, cui il D. fece da segretario trg il 1833 e il 1836, e con i settori più aperti di tutta la cultura cattolica, spingendolo a riflettere sull'arretratezza dell'ambiente romano, povero di iniziative adeguate nel campo della ricerca e della divulgazione e spesso addirittura ostile, e sulla necessità di metterlo al passo con le più progredite città europee. Nacquero così gli Annali delle scienze religiose, bimestrale che il D. fondò, compilò e diresse dal 1835 al 1845 con l'intenzione di aprire la cultura cattolica a "quanto di più notabile e pregevole si va ogni di pubblicando nella nostra penisola e fuori intorno alla Religione, sia per riguardo alla ecclesiastica disciplina, sia per riguardo ad alcuna altra cristiana istituzione che a lei si appartenga" (I, pp. V-VI).
Concepiti anche come strumento di lotta contro il protestantesimo, gli Annali, oltre a pubblicare documenti ufficiali del Vaticano, pareri delle congregazioni, sunti di conferenze tenute nelle istituzioni culturali romane, traduzioni di articoli ripresi da riviste straniere e un notiziario bibliografico su quanto si stampava all'estero, chiamava a raccolta alcuni tra i più validi teologi e studiosi romani (p. E. Visconti, C. Antici, G. Perrone, G. B. Pianciani, G. Mazio tra gli altri) per testimoniare lo sforzo di aggiornamento di cui era capace la cultura cattolica anche su temi notoriamente poco praticati quali quelli scientifici, anzi con l'ambizione abbastanza scoperta di conciliare la religione e la scienza, la Bibbia e la moderna ricerca storica. Sempre attenti ad affermare i valori del cattolicesimo e a difenderli dalle insidie del razionalismo e delle altre dottrine di matrice protestante (o presunta tale), il D. e i suoi collaboratori, pur all'interno di confutazioni critiche quali erano spesso i loro articoli, facevano comunque conoscere, e quasi sempre con spirito che, compatibilmente con la loro posizione, risulta abbastanza equilibrato, nomi ed opere di autori come Ranke, Sismondi, Strauss, Bianchi Giovini, Gabriele Rossetti.
Promosso dalla sua laboriosità al rango di luminare della cultura romana, il D., cui peraltro non si può attribuire alcuna originalità di pensiero, ricevette i primi riconoscimenti ufficiali in Italia e fuori: e infatti, mentre a Roma gli era conferito l'incarico di coadiutore della cattedra di fisica sacra alla Sapienza (1837) nello stesso torno di tempo in cui era nominato consultore delle congregazioni dell'Indice (1836) e di Propaganda Fide (1838), censore dell'Accademia di religione cattolica (1840), e rettore del collegio irlandese di Roma (1840), da Lovanio gli giungeva la laurea honoris causa in sacra teologia (1839) e da Parigi V. Cousin gli comunicava di averlo nominato corrispondente del ministero della Pubblica Istruzione "pour les travaux historiques" (6 maggio 1840). Ma, proprio mentre sembrava precisarsi questa vocazione per gli studi, il D. rientrava nell'alveo della tradizionale carriera ecclesiastica: ordinato sacerdote il 10 febbr. 1839, cameriere segreto dei papa nel 1843, l'8 dic. 1845 fu consacrato vescovo e inviato a reggere la diocesi di Aversa previa approvazione di Ferdinando II, anch'egli lusingato dal prestigio che il D. si era guadagnato come uomo di profonda dottrina.
Ultimo parto di un certo rilievo della sua attività pubblicistica era stata una dissertazione, letta all'Accademia di religione cattolica il 28 luglio 1842, sul Cattolicesimo e i sistemi socialisti considerati ne' loro rapporti colla condizione economica de' popoli (Roma 1843), dove il desiderio di confrontare la posizione della Chiesa con il socialismo umanitario portava l'autore a condannare, ancora una volta in sintonia con le tesi dei conservatori, non solo pensatori come Saint-Simon, Fourier, Owen e le loro utopie più o meno collettivistiche ma la stessa idea di rivoluzione industriale, i nuovi rapporti di produzione, l'ordinamento sociale che ne conseguiva e, insomma, tutto il pensiero economico classico cui il D. contrapponeva il magistero morale della Chiesa, l'avversione per "l'egoismo mercantile" (p.31), un modello di società fondata sul solidarismo e sulla carità e attenta a sviluppare le risorse agricole più che la produzione industriale.
L'episcopato distolse completamente il D. dalla saggistica e lo costrinse a lasciare gli Annali (che, diretti da G. Arrighi, si pubblicarono fino al 1854). Ad Aversa tuttavia portò un certo fervore innovativo teso a vivificare il tono della diocesi con cicli di conferenze morali, l'apertura di un seminario per i giovani e il completamento di un refettorio diocesano. Queste ed altre iniziative pastorali lo resero popolare e, soprattutto, gli conferirono l'autorità necessaria per portare a Ferdinando II alcune richieste dell'episcopato campano (1849) e, successivamente, per guidare a Napoli una missione incaricata di trattare la limitazione dell'autonomia del Tribunale della monarchia sicula dall'autorità di Roma (1852-53). La missione fallì, ma il D. rivelò qualità di negoziatore tali da indurre Pio IX a promuoverlo arcivescovo di Tarso (22 dic. 1853) e contemporaneamente ad inviarlo come nunzio pontificio in Baviera (24 dicembre).
Si aprì così una lunga parentesi nella vita del D. che rimase in diplomazia per dieci anni. Più che l'esperienza a Monaco, che comunque gli servì per prendere confidenza col mondo cattolico germanico, è però importante la successiva nunziatura a Vienna (nomina del 9 sett. 1856), dove il D. rimase fino al 1863, un settennio in cui, pur muovendo da una situazione iniziale molto positiva quale quella aperta dal concordato del 1855, i rapporti tra Austria e Stato pontificio si trovarono presto a subire i contraccolpi dell'alterazione degli equilibri europei derivata dal mutato assetto della penisola negli anni 1859-61. Da Vienna il D. si sforzò di far capire al segretario di Stato G. Antonelli che l'Austria, per quanto desiderosa di sostenere le ragioni del Papato, doveva fare i conti con una difficile situazione interna che era il prodotto del declino inarrestabile dell'idea imperiale e sovranazionale, da essa impersonata, di fronte al prevalere di forti tendenze centrifughe quali, da un lato, l'ostilità delle popolazioni ungheresi e, dall'altro, la fine della dominazione sulla Lombardia. Questo pessimismo di fondo e un certo naturale distacco gli impedirono inizialmente di riversare nella difesa degli interessi temporali della Chiesa il fanatismo proprio di altri ecclesiastici, al punto che uno storico cattolico, il Pirri, ha scritto di lui che "si dimostrò assolutamente impari all'altezza del suo compito" e che l'Antonelli dovette "servirsi di frasi anche dure e pungenti per spronare la sua innata indolenza" (p. 179). Le sollecitazioni dell'Antonelli a dispiegare maggiore energia furono in realtà giustificate fino al dicembre del 1859, quando apparve l'opuscolo del visconte L-E, de La Guéronnière su Le pape et le congrés:dopo di allora il D. si fece molto più battagliero, e qualche diplomatico straniero si sorprese a vederlo ora "très ému", ora "presque violent, j'allais dire presque menaçant" (La questione italiana, pp. 287 s.) nella difesa dei diritti della S. Sede. In effetti il D., oltre a sollecitare da tutti i vescovi dell'Europa cattolica indirizzi di solidarietà al papa, non esitò a consigliare a Roma di accettare animosamente la lotta puntando sul sostegno delle potenze conservatrici e cercò anche di portare al servizio del Papato le truppe dei deposto duca di Modena, in una anticipazione di quella che sarebbe stata la linea, ostile all'Antonelli, del cardinale de Mérode. Al di là di tutto c'era però nel D. la convinzione che la Chiesa fosse solo uno degli elementi di un quadro che coinvolgeva tutta l'Europa in una fase di cambiamenti storici: sullo sfondo egli scorgeva infatti la crisi dell'assolutismo, e la stessa avversione da lui manifestata contro l'orientamento nazionalistico del clero ungherese, i cui problemi aveva conosciuto da vicino in un lungo viaggio nell'autunno del 1858, denunziava il timore che ogni indebolimento della posizione austriaca si traducesse automaticamente in un indebolimento della Chiesa.
La nunziatura a Vienna precedeva usualmente la promozione al cardinalato: forse con qualche ritardo dovuto all'insoddisfazione della segreteria di Stato, il D. l'ottenne comunque il 16 marzo 1863, con il titolo dei Ss. Quattro Coronati (1º ottobre). Il ritorno a Roma lo riportò ad occupazioni meno affannose: aveva conservato fama di uomo di scienza, fama che fu consolidata dal conferimento della prefettura della congregazione dell'Indice (28 dic. 1864). In tal veste il D., che già a Vienna aveva conosciuto i più bei nomi dell'aristocrazia europea, e non solo di quella intellettuale, era un interlocutore naturale di quanti, soprattutto stranieri, visitavano Roma, sempre traendo dagli incontri con lui impressioni molto favorevoli per il suo moderatismo. Presto si parlò di lui come di uno degli esponenti di punta della corrente liberale in seno al Sacro Collegio - "sans cependant qu'il ait donné des epreuves de la consistence des sentiments qu'on lui prête", notava un consulente dell'ambasciata francese a Roma all'inizio del 1863 (Weber, Kardinäle..., II, p. 656) - ma probabilmente si equivocava su di un atteggiamento come il suo che metteva in subordine le vicende politiche rispetto al più vasto campo degli interessi culturali e spirituali. Ma, anche da questo lato, il D., si era come adagiato in un placido ozio, che qualcuno diceva provocato da un ottundimento delle capacità mentali, e non produceva più nulla, lasciando invece molto spazio alla vita di società.
Tornò in primo piano quando, durante il concilio Vaticano I, tra i cinque cardinali incaricati di presiedere a turno le sedute, si palesò come il più aperto alle istanze della minoranza antinfallibilista e si impegnò a sostenerne in qualche misura le posizioni; si disse anche che il papa, infastidito per il suo anticonformismo a volte eccessivamente ostentato, meditasse di sostituirlo, cosa che poi non avvenne, ma che rafforzò l'opinione che negli ambienti liberali lo faceva ritenere uno dei candidati da preferire per la successione a Pio IX. Allo stesso modo si fece il suo nome nel 1876 quando, scorhparso l'Antonelli, si attese la scelta di un nuovo segretario di Stato. Nel 1878, dopo la morte di Pio IX, il D. non diede gran prova della duttilità che gli veniva da più parti riconosciuta e insistette perché, in segno di sfiducia verso lo Stato liberale e la legge delle guarentigie, il conclave si tenesse all'estero. Non fu difficile fargli cambiare parere, e nelle due votazioni che precedettero l'elezione del cardinale Gioacchino Pecci il D. raccolse qualche suffragio di stima.
Leone XIII mostrò subito di tenerlo in grande considerazione nominandolo, nel concistoro del 15 luglio 1878, vicecancelliere di S. Romana Chiesa, preconizzandolo vescovo suburbicario di Palestrina, creandolo commendatario di S. Lorenzo in Damaso e ponendolo alla testa della congregazione degli Studi (13 ag. 1878). In omaggio all'autorità derivatagli da tale incarico il D., che sul finire del 1879 era stato consultato per la fondazione della Accademia tomistica, fu chiamato, con motu proprio del 18 genn. 1880, a far parte della commissione di tre cardinali incaricata di curare l'edizione completa delle opere di s. Tommaso: nonostante che all'origine del progetto si potesse vedere l'esigenza, dal D. molto avvertita negli anni della giovinezza, di mettere d'accordo scienza e religione, l'incarico fu accolto con scarso entusiasmo e il risultato che se ne ebbe fu tardivo e qualitativamente assai mediocre. Il 18 ag. 1883 il papa gli comunicava con una lettera l'apertura agli studiosi dell'Archivio e della Biblioteca apostolica Vaticana: da tempo malato, il D. non fu neanche in grado di valutare l'importanza della novità con cui si mirava a rilanciare una seria cultura storica di matrice cattolica anche in risposta alla scienza laica e ai suoi veleni.
Il D. si spense il 29 dic. 1883 a Roma, dove fu sepolto al Verano; sembra che lasciasse un patrimonio ingentissimo. Più tardi gli fu eretto un monumento funebre a S. Lorenzo in Damaso.
Fonti e Bibl.: Il materiale documentario relativo alle nunziature del D. in Baviera e in Austria è conservato in Arch. segr. Vaticano, rispettivamente nell'Archivio della nunziatura di Monaco, buste 85-91, e in quello della nunziatura di Vienna, voll. 373-431a. In Vaticano sono anche conservate, nel fondo Spogli dei cardinali, 3 buste intestate al D. contenenti documentazione varia (corrispondenza privata, carte delle nunziature, relazioni manoscritte, registri e inventari, lettere d'ufficio) di un certo interesse. Due lettere del D. al Lamennais sono custodite nella Bibl. dell'Ist. per la storia del Risorg. di Roma, b. 171/32; altre, a vari destinatari, in Bibl. ap. Vaticana, Racc. Ferrajoli-Visconti, nn. 2434-40. I principali dispacci da Vienna sono editi in molteplici raccolte di fonti: in partic. si vedano P. Pirri, Pio IX e Vittorio Emanuele dal loro carteggio privato, II, La questione romana 1856-64, Roma 1951, ad Indicem;L. Lukics, The Vatican and Hungary 1846-1878. Reports and correspondence on Hungary of the apostolic nuncios in Vienna, Budapest 1981, ad Indicem;I. Dumitriu Snagov, Le Saint-Siège et la Roumanie moderne 1850-1866, Roma 1982, ad Indicem; Il carteggio Antonelli-De Luca 1859-1861, a cura di C. Meneguzzi Rostagni, Roma 1983. Numerose le biografie del D.: la più completa, in parte condotta su documentazione originale, è quella di B. Radice, Due glorie siciliane. I fratelli De Luca, Bronte 1925; cfr. inoltre: G. M. Mira, Bibliografia siciliana, Palermo 1875, pp. 532 ss.; G. De Luca, Storia della città di Bronte, Milano 1883, pp. 270-276, 356 s.; L. Boglino, La Sicilia e i suoi cardinali. Note stor., Palermo 1884, pp. 94-98. Dati sulla carriera ecclesiastica del D. in R. Ritzler-P. Sefrin, Hierarchia catholica medii et recentioris aevi, VII-VIII, Patavii 1968-78, ad Indices. Testimonianze sparse sull'attività del D. si leggono in G. Moroni, Diz. d'erudiz. st.-ecclesiast. (per la consultazione si rinvia all'Indice generale, II, ad nomen);F.Procaccini di Montescaglioso, La Pontificia Accademia dei nobili ecclesiastici, Roma 1889, p. 51; W. Ward, The life of John Henry card. Newman..., London 1912, II, pp. 163, 175, 547; J. Tracy Ellis, The life of James cardinal Gibbonsarchbishop of Baltimore 1834-1923, Milwaukee 1952, I, p. 174; R. Carmignani, Simpatie lamennesiane nella cittadella cattolica, in Il Risorgimento, XII (1960), pp. 91 s.; O. Majolo Molinari, La stampa periodica romana dell'Ottocento, Roma 1963, ad Indicem;F. Gregorovius, Diari romani, a cura di A. M. Arpino, Roma 1967, ad Indicem; La questione ital. dalle annessioni al Regno d'Italia nei rapporti fra la Francia e l'Europa, s. 3, 1848-1860, I, a cura di A. Saitta, Roma 1968, ad Indicem;G. Manfroni, Sulla soglia del Vaticano 1870-1901, Milano 1971, ad Indicem;N. Roncalli, Diario romano, a cura di M. L. Trebiliani, I, Roma 1972, ad Indicem;Ch. Weber, Quellen und Studien zur Kirche und zur vatikanischen Politik unter Leo XIII..., Tübingen 1973, ad Indicem; Docc. dipl. it., s. 2, Il (1º genn.-30 giugno 1871), e VI (1ºgenn. 1875-24 marzo 1876), Roma 1966 e 1978, ad Indices. Singoli momenti della vita del D. sono inquadrati storicamente in H. Reusch, Der Index der verbotenen Bücher, Bonn 1885, II, pp. 1120, 1143 s., 1150, 1174, 1216; R. De Cesare, Il conclave di Leone XIII, Città di Castello 1887, pp. 162, 186, 194, 196, 202, 273 s., 289, 305, 307, 382; A. Battandier, Le cardinal J.-B. Pitra évêque de Porto..., Paris 1893, pp. 397 ss.; E. Soderini, Ilpontificato di Leone XIII, Milano 1932, ad Indicem;E. Di Carlo, La fortuna di Lamennais in Sicilia, in Arch. st. per la Sicilia orientale, XLVII (1951), pp. 182 ss.; Aspetti della cultura cattolica nell'età di Leone XIII, Roma 1961, pp. 197, 488; R. Mori, La questione romana 1861-1865, Firenze 1963, ad Indicem;R. Aubert, Il pontificato di Pio IX 1846-1878, Torino 1964, pp. 480, 492; M. Maccarrone, Il concilio Vaticano I e il "Giornale" di mons. Arrigoni, Padova 1966, ad Indicem;G. Capasso, Cultura e religiosità ad Aversa nei secc. XVIII-XX, Napoli 1968, p. 38; D. Cantimori, Storici e storie, Torino 1971, ad Indicem;A. Piolanti, L'Accademia di religione cattolica. Profilo della sua storia e del suo tomismo..., Città dei Vaticano 1977, ad Indicem;M. Caravale-A. Caracciolo, Lo Stato pontificio da Martino V a Pio IX, Torino 1978, p. 638; Ch. Weber, Kardinäle und Prälaten in den letzten Jahrzehnten des Kirchenstaates..., Stuttgart 1978, ad Indicem;G. Martina, Pio IX, II, 1851-1866, Roma 1986, ad Indicem.