CASTALDO, Antonino
Nacque e visse a Napoli, dove morì intorno al 1590. Rinomato notaio, fu segretario dell'Accademia dei Sereni e cancelliere della città proprio durante i tumulti del 1547 contro il tentativo spagnolo di introdurre nel Regno di Napoli il tribunale dell'Inquisizione. In mancanza di documenti e testimonianze più dirette, si può in qualche modo ricostruire il suo "ritratto" attraverso i tanti interventi metanarrativi (il più delle volte ispirati a un moralismo stantio e convenzionale) della sua Istoria nella quale vengono raccontati sotto forma di cronaca gli avvenimenti più salienti ("rumori") della vita civile e politica napoletana lungo l'arco di tempo compreso tra il 532 e il 1575.
Avverso al "disordinare", esalta la "moderanza", intesa come norma etica alla quale improntare la vita pubblica e privata. Il maggior pericolo da evitare per il C. è "odio de' Superiori". E difatti egli tentò sempre di vivere secondo l'"ordine" costituito, epperò nelle grazie di chi deteneva il potere. Eppure visse sempre nell'incubo della "trasgressione", tanto da rinunciare presto alla carica di cancelliere, convinto com'era - non senza esperienza sofferta - che gli attentati al quieto vivere vengono, anche senza colpa, a chi si espone: non per niente portava nel suo corpo le cicatrici di tre pugnalate, con le quali, tramite dei sicari, un nobilotto lo aveva voluto punire di alcuni versi satirici attribuiti a lui. Il "conformismo" del C., pienamente convinto del ruolo subalterno dell'intellettuale, viene fuori anche dalla presenza di suoi versi iperbolicamente encomiastici in due raccolte di rime di autori vari: Rime de' diversi in morte di Sigismondo Augusto re di Polonia, Firenze 1574 (p. 78), e Rime e versi in lode della illustrissima ed eccellentissima signora donna Giovanna Castriota, Vico Equense 1585 (pp. 15 s.).
Di maggiore interesse è la seconda raccolta, curata da Scipione De Monti: essa è un'antologia-summa delle tendenze poetiche maturate nel Regno alla fine del Cinquecento, organizzata in modo tale che i "maestri" riconosciuti della lirica meridionale (Angelo Di Costanzo, Berardino Rota, Luigi Tansillo, Galeazzo di Tarsia) offrano il loro avallo a una numerosa schiera di rimatori poco noti e comunque di statura mediocre. In questa antologia i singoli componimenti contano solo in quanto partecipano di un asse semico collettivo e omogeneizzante di direzione encomiastica e celebrativa, imposto dal curatore. Siffatto genere d'antologia è un prodotto tipico della situazione letteraria e sociale della Napoli di fine secolo: nel contesto della generale rifeudalizzazione della società, l'intellettuale - sospinto verso funzioni di sottoruolo - è soltanto un tecnico subalterno della scrittura.
Il C. scrisse pure versi religiosi, dei quali è traccia nel cod. Vat. lat. 10286 (ff. 105-07; iio-12, secondo la numerazione stampigliata). Perdute sono andate invece "le molte cose pescarecce", per le quali andava famoso tra i contemporanei. Anche nella predilezione versaiola per la tematica convenzionalmente religiosa e piscatoria, il C. partecipava di una tendenza talmente inflazionata da sconfinare nell'anonimato di una scontata mediocrità. Ma la sua opera più importante è l'Istoria in quattro libri, che circolò manoscritta fino al lontanissimo 1768 - quando venne data alle stampe non senza infedeltà e omissioni dal libraio G. Gravier nella Raccolta di tutti i più rinomati scrittori dell'istoria generale del Regno di Napoli (Napoli 1768, VI, pp. 31-143) - e fu così "popolare" da diventare presto incunabolo di locali tradizioni storiche. aneddotiche e leggendarie.
Al manoscritto secentesco della Bibl. Brancacciana (III, A, 9), rintracciato dal Capasso, va aggiunto quello settecentesco contenuto nel cod. Vat. lat. 11 -735 col titolo di Ristoria delli rumori di Napoli. L'opera si riallaccia alla tradizione storiografica napoletana del Cinquecento, a tendenza drammatica (soprattutto nel calcolato gioco retorico dei dialoghi) e talvolta con scenari fastosi non senza punte quasi fiabesche. La parte centrale e più importante della cronaca (quella per la quale ancora oggi viene tenuta presente dagli storici, per ampiezza di documentazione ed obiettività di ricostruzione) è quella riguardante il ricordato moto del 1547, al quale il C. seppe coraggiosamente guardare come a un movimento civile decisivo per gli ulteriori sviluppi della storia di Napoli.
Fonti e Bibl.:La fonte più antica è la noticina di G. De Rossi nella Tavola degli autori aggiunta in appendice alle Rime e versi in lode della illma ed ecc.ma signora donna Castriota, Vico Equense 1585. Altre notizie di repertorio in N. Toppi, Biblioteca napoletana, Napoli 1678, p. 343;G. B. Tafuri, Istoria degli scrittori nati nel Regno di Napoli, III, 2, Napoli 1752, p. 348;C. Minieri Riccio, Mem. stor. degli scritt. nati nel Regno di Napoli, Napoli 1844, p. 90. Il profilo più ampio si deve a F. Soria, Memorie storico-critiche degli storici napolitani, I, Napoli 1781, pp. 156s. Dell'Istoria si sono occupati tra i primi G. Del Giudice, Un processo di Stato al tempo dei tumulti avvenuti in Napoli nel 1547Peltribunale della Inquisizione, in Arch. stor. per le prov. Napol., II (1877), 2, pp. 205-64;e B. Capasso in Le fonti della storia delle provincie napol. dal 568 al 1500, Napoli 1902 (cfr. pp. 7 e 190). L'unico esame critico dell'opera è quello di R. Colapietra, La storiografia napol. del secondo Cinquecento, in Belfagor, XV (1960), pp. 415-36;cfr. anche R. Villari, La rivolta antispagnola a Napoli, Bari 1967, p. 41; T. Pedio, Napoli contro l'Inquisizione spagnola nel 1547 nella cronaca di A. C., in Scritti in mem. di L. Cassese, I, Napoli 1971, pp. 33-78. Per la produzione in versi: G. Ferroni-A. Quondam, La "locuzione artificiosa", Roma 1973, pp. 371 ss.;e A. Quondam, La parola nel labirinto, Bari 1975, pp. 85-91.