CAMEROTA, Antonino
Nacque a Camerota, piccolo paese al confine tra la Campania e la Calabria, molto presumibilmente nella prima metà del secolo XVI.
Fece parte dell'Ordine dei domenicani e fu uno dei più famosi e stimati teologi del suo tempo. Svolse la sua attività prevalentemente a Napoli, dapprima nel convento di S. Pietro Martire, poi in quello di S. Domenico Maggiore. Il 3 maggio 1556 fu invitato a presentarsi davanti ad un tribunale composto dal provinciale dell'Ordine e dai priori degli altri monasteri napoletani; la riunione si tenne in S. Domenico e ciò ci fa supporre che il C. si trovasse già da allora presso quella fondazione. Non sappiamo quali fossero i capi d'accusa rivolti contro di lui, ma in ogni caso le sue colpe non dovettero esser giudicate gravi, poiché nel 1561, durante il capitolo generale di Avignone, gli venne conferito il baccelierato e tre anni dopo il magistero in teologia. Sempre nel 1564 ottenne la carica di reggente dello Studio di teologia di S. Domenico, per la durata di tre anni. Il primo maggio 1567 fu eletto priore in quel convento stesso. In quegli anni fu anche maestro dei novizi ed ebbe tra i suoi allievi Giordano Bruno, che era entrato nell'Ordine domenicano nel 1561-62. Il C. non si lamentò mai, per quanto ci risulta, del suo dotatissimo allievo, ma il Bruno non serbò un buon ricordo del maestro, visto che nella Cabala scrisse di lui irriguardosamente: "E quel ch'è degno di compassione e riso è che su questi editi libelli vedi dovenir... impallidito Cammaroto" (Opere italiane, II, p. 262).
Nel 1568 il C. fu sottoposto ad un nuovo processo, di cui però non ci è rimasta alcuna notizia precisa: tuttavia questa volta egli dovette allontanarsi dal convento nel 1569, quando il suo mandato di reggente volse al termine. La sua fama non diminuì per questo ed il generale dell'Ordine nel 1572, "guardando all'utilità e al decoro del convento", fu costretto a richiamarlo. Nel 1574 fu rieletto rettore dello Studio di S. Domenico dal capitolo generale di Barcellona, per la durata di un altro triennio: sotto la sua reggenza Giordano Bruno ottenne la licenza (1575). Quello stesso anno il C. ed il Bruno approvarono il trasferimento in S. Domenico del frate Bartolomeo de Angelo.
La sua fama di teologo era grandissima: venivano ad ascoltarne le lezioni, oltre ai suoi confratelli, anche i benedettini di Monte Oliveto e S. Severino di Napoli, i frati dell'Ordine di s. Francesco di Paola e numerosissimi laici. Addirittura era invalsa l'usanza a Napoli, da parte dei dottori in teologia, di terminare le risoluzioni dei problemi più difficili con la clausola che "ci si rimetteva al sano giudizio e parere del padre Antonino" (Spampanato, 1921, p. 251). Nella sua veste di teologo di primo piano, il C. fu eletto anche decano del Collegio dei dottori dello Studio generale di Napoli. Contribuì inoltre considerevolmente all'arricchimento delle biblioteche monastiche di questa città, in particolar modo quella di S. Domenico e quella della Sanità, devolvendovi il denaro delle elemosine.
Nonostante i due processi cui era stato sottoposto, il suo Ordine gli affidò numerosi compiti di responsabilità: oltre alle cariche rivestite nello Studio e nel convento di S. Domenico, il C. fu visitatore dell'Ordine e preposto alla fondazione di parecchi monasteri. Nel 1574 infatti il capitolo generale di Barcellona lo incaricò di sovraintendere all'erezione di un nuovo convento a Napoli, insieme con il nipote, il frate Tommaso da Camerota: la fondazione sarebbe stata intitolata alla Vergine del Rosario e la sua costruzione sarebbe stata finanziata grazie alla donazione di Michele de Lauro. Il C. intervenne in altre occasioni con analoghe funzioni: a Conza, a Napoli (S. Maria della Sanità) e a Mariglianella (S. Maria della Sanità); istituì anche il convento di S. Maria della Stella. Fu inoltre tra i fondatori del conservatorio della Carità di Napoli, dedicato alla cura dei fanciulli e ne scrisse la regola, insieme con il vescovo di Vasto, con il frate Ambrogio Pascha, con il frate Marco Martenisius, con Egidio Giordano e con Raimo de Tramontibus.
Secondo il Quétif il C. sarebbe stato anche insignito del titolo di vescovo e coadiutore del cardinal Gesualdo, arcivescovo di Conza, col diritto di succedere a quest'ultimo nella sua carica: tuttavia avrebbe rifiutato per amore dello studio. Sempre secondo il Quétif il C. fu rettore per nove anni dello Studio di Bologna, ma non viene precisato in quale periodo, né d'altra parte la notizia trova conferma nelle fonti.
Morì nel 1589 nel cenobio di S. Domenico a Napoli. È andato perduto il manoscritto intitolato Tractatus plures, che conteneva alcune delle sue opere.
Fonti e Bibl.: G. Bruno, La Cabala del cavallo Pegaseo, in Opere italiane, a cura di G. Gentile, II, Bari 1908, p. 262; V. Spampanato, Documenti della vita di G. Bruno, Firenze 1933, pp. 16, 24; Id., Postille storico-letterarie alle opere italiane di G. Bruno, in La Critica, IX (1911), p. 465; Id., Vita di G. Bruno, I, Messina 1921, pp. 119, 144, 178, 179, 204, 207, 251; A. de Altamura, Bibliothecae Dominicanae, Romae 1677, p. 397; N. Toppi, Bibl. napoletana, Napoli 1678, p. 22; J. Quétif-J. Echard, Scriptores Ordinis Praedicatorum recensiti, II, Lutetiae Parisiorum 1721, p. 293; Acta capit. gen., a cura di B. M. Reichert, in Mon. Ordinis fratrum praedicatorum historica, X (1901), pp. 45, 75, 177, 183.