FAGNANI, Antonietta
Nacque a Milano, parrocchia di S. Babila, il 19 nov. 1778, ultimogenita di Giacomo, marchese di Gerenzano (nato a Milano il 1° sett. 1740), e di Costanza Brusati dei marchesi di Settala (nata a Milano il 6 dic. 1747).
I genitori furono entrambi ben noti nella società elegante del tempo, alimentando le cronache con le loro stravaganze e i loro scandali. Sposatisi nel 1767 contro la volontà della ricchissima famiglia Fagnani, avevano intrapreso immediatamente il grand tour, quasi d'obbligo allora per le persone del gran mondo: Firenze, Roma, un anno a Napoli, poi nuovamente Roma dove Costanza si fermò (divenendo oggetto di curiosità e lazzi per le sue esageratissime acconciature parigine non ancora viste in quella città), mentre Giacomo si recava in Corsica con H. Herbert conte di Pembroke per seguirvi da vicino le vicende di Pasquale Paoli. Ritrovatisi a Milano nel luglio 1769, essi non mancarono di attirare l'attenzione, lui per la sua dilapidatoria frenesia di giocatore d'azzardo e lei per le sue galanterie. Nel gennaio 1770 ripresero il tour, per Parigi e poi Londra, dove si fermarono. Qui il 25 ag. 1771 Costanza diede alla luce una figlia, Maria Emily detta Mie Mie, che, pur riconosciuta dal Fagnani, era quasi certamente figlia di W. Douglas conte di March (dal 1778 duca di Queensberry), famoso libertino: infatti, al rientro a Milano dei coniugi nel gennaio 1772, ella fu lasciata in Inghilterra, affidata alle cure di G. A. Selwyn. Invano poi, per tutta la vita, con vicende veramente romanzesche, i Fagnani tentarono di riottenere stabilmente questa figlia (vi riuscirono solo dal 1777 al '79 andando a prendersela a Londra), che sposerà a loro insaputa nel maggio 1798 Frances Seymour-Conway conte di Yarmouth, erediterà un'immensa fortuna dal duca di Queensberry, e morirà il 2 marzo 1856 a Parigi, dove aveva condotto vita di grande mondanità. A Milano Giacomo continuerà la sua esistenza di stravizi dilapidando l'ingente patrimonio ereditato da uno zio, il canonico Giacomo; nel gennaio 1776 con altri due gentiluomini assunse la gestione del regio ducal teatro alla Scala (la nota "Impresa dei nobili direttori associati", che godevano anche i proventi del gioco nel ridotto). Consumato dalla lue, orinai cieco e semidemente, egli venne interdetto il 1° giugno 1781, fino alla morte avvenuta il 7 giugno 1785.
Dal 1781 l'amministrazione del patrimonio, al quale nel 1782 si era aggiunto quello ingentissimo del vecchio padre Federico, venne affidata quindi alla moglie, che continuò, sempre vessillifera delle mode più eccessive, una vita di frivolezze e di galanterie che le gazzette e i libelli divulgavano in termini anche oltraggiosi di satira: appare davvero inesplicabile che ella venisse insignita dall'imperatrice dell'Ordine della Croce stellata, tassativamente destinato a dame di specchiata virtù. Nell'ultimo periodo mutò stile di vita, dedicandosi alle opere di carità e alla devozione, e morì a Milano il 24 genn. 1805.
La F., allevata in quella famiglia e cresciuta in quell'ambiente, non poteva non esserne influenzata. Ricevette tuttavia una buona istruzione: conosceva il francese, l'inglese e il tedesco (da quest'ultima lingua farà per il Foscolo una traduzione letterale del Werther, di cui il poeta scrisse a Goethe il 16 genn. 1802), anche se la sua ortografia in italiano lasciava a desiderare; possedeva un uso del gran mondo che aggiungeva fascino alla sua decantata bellezza bruna, accompagnata da un'indole fondamentalmente buona e generosa. Le principali fonti di notizie su di lei sono quasi tutte rappresentate da biografi e amici del Foscolo, i quali concentrano i loro giudizi soltanto sulle tempestose vicende del rapporto di lei col poeta, del quale assumono il punto di vista, per cui ce ne hanno tramandato un'immagine parziale e forse distorta.
G. Pecchio, ad esempio, dichiara che "ella si faceva gioco degli uomini perché li credeva nati come galli per amare, ingelosirsi ed azzuffarsi", mentre G. Mestica la definisce "volubile Aspasia", e lo stesso Foscolo confidò anni dopo che "aveva il cuore fatto di cervello" e scrisse d'aver subito con lei "il supplizio di un amore laido e sleale".
Il 20 febbr. 1798 la F. aveva sposato (parrocchia di S. Maria della Porta) Marco Arese Lucini conte di Barlassina, uomo dal temperamento controllato ed austero, giureconsulto collegiato (v. Diz. biogr. degli Italiani, IV, pp. 88 s.), che dimostrò sempre tolleranza e distacco per i comportamenti della moglie (parecchio si ironizzò su questo), la quale lo tradì con molti, forse anche col di lui fratello Francesco Teodoro (l'odiato Cecco del Foscolo), tentando però in qualche modo di salvare le apparenze, tanto che anche lei, come sua madre, verrà insignita nel 1818 dell'Ordine della Croce stellata e sarà ammessa fra le austere nobili componenti della Pia Unione. Certamente ella fu una delle figure di maggior spicco della brillante società milanese del Consolato e dell'Impero (come tale la ricorda anche Stendhal, Vie de Napoléon, Paris 1826, p. 138), figurando fra le prime alla corte del viceré Eugenio e legandosi alla regina d'Olanda Ortensia Beauharnais.
Il tempestoso rapporto amoroso col Foscolo, per il quale soltanto ella è oggi ancora ricordata quale ispiratrice dell'ode All'amica risanata, non fu che un breve episodio, che si snodò sullo sfondo del palco della F. alla Scala, il n. 14 dell'ordine, divenuto quasi metafora dei loro incontri e degli accordi clandestini, cui prestarono i loro uffici Teresina, cameriera della contessa, il domestico Ambrogio e l'amico giudice L. Bolognini. La vicenda ci è giunta nei più minuti particolari grazie alle lettere del Foscolo (ma purtroppo unilateralmente, perché quelle della F. mancano, salvo alcuni brevi biglietti), la prima delle quali, priva di data come molte altre, è però certamente del luglio 1801, mentre l'ultima, con la quale egli respinge alla F. un suo biglietto senza averlo aperto, è di poco posteriore al 4 marzo 1803: questo fu l'arco temporale del loro rapporto, che deve essere stato assai stimolante per il poeta se in quel periodo, oltre all'ode ricordata, egli compose la maggior parte dei sonetti, l'Orazione a Bonaparte per i Comizi di Lione, e diede alle stampe la prima edizione definitiva dell'Ortis, nella quale utilizzò molte delle sue lettere alla F. (scrisse di Marco Arese: "Mi pare ch'egli abbia dell'Odoardo dell'Ortis").
Il destino di quell'epistolario è interessante. Avvenuta la reciproca restituzione fra gli amanti, il Foscolo affidò le proprie lettere a S. Pellico, dopo l'arresto del quale furono rilevate da G. Del Taia per conto di Quirina Mocenni Magiotti, che le consegnerà a Giulio Foscolo fratello di Ugo. Da questo esse furono affidate all'avvocato lodigiano G. Visconti che le passò al noto letterato italo-greco E. De Tipaldo, in vista di una sperata nuova biografia del Foscolo. Il De Tipaldo, tradendo la "prudenza e discrezione" che gli erano state raccomandate, fece fare due apografi dell'epistolario, uno di 123 lettere, assai accurato, e l'altro di sole 63 manipolato, con iniziali al posto dei nomi, forse in vista di una pubblicazione; tali apografi saranno in seguito fortunatamente rinvenuti negli archivi della casa editrice Barbera. Gli originali infatti (salvo alcuni pezzi che uscirono in vari modi dalle mani del De Tipaldo e furono qua e là pubblicati), venuti in possesso del genero di questo A. Valaoritis, finirono in Grecia, nella villa di Santa Maura e sono finora sfuggiti alle ricerche fatte per decenni dagli studiosi.
Nel 1802 la F., per allentare il legame che, dopo un momento dì passione probabilmente sincero le pesava, si recò in vacanza a Venezia (raccomandata dal poeta alla sua antica amante Isabella Teotochi Albrizzi) e per lo stesso motivo volle andare a Torino, incontro al marito reduce dalla Consulta di Lione. Con quest'ultimo fece in seguito altri viaggi: nel 1805 e nel 1811 lo accompagnò a Parigi, dove egli ebbe incarichi presso Napoleone da parte della Municipalità milanese; nel gennaio 1806 a Monaco per il matrimonio del viceré Eugenio con Augusta Amalia di Baviera; e infine, dopo la Restaurazione, a Vienna presso l'imperatore Francesco.
Ella ebbe cinque figli, di cui tre sopravvissuti alla prima infanzia: Margherita (1798-1828), sposata a C.E. Cotti conte di Ceres, Costanza Maria (1803-1822) e Francesco (1805-1881), che diverrà profugo politico, amico di Napoleone III, senatore del Regno di Sardegna dal 26 nov. 1854 e poi di quello d'Italia, e cavaliere della Ss. Annunziata. Proprio le vicende di questo figlio scandiranno la seconda parte della vita della F.: nel 1826 i due si misero in viaggio per l'Italia, fermandosi poi a Roma, dove Francesco, grazie al vecchio legame di sua madre con la regina Ortensia, contrasse una forte amicizia con Luigi Napoleone Bonaparte, amicizia che lo coinvolse nelle cospirazioni del 1831. Si sottrasse alla cattura e alla successiva condanna all'esilio fuggendo all'estero. In quest'occasione la F. ottenne per lui dalla regina Ortensia ospitalità nel castello di Arenenberg in Turgovia, da dove egli seguirà Luigi Napoleone a Londra, come la stessa regina le scrive il 18 marzo 1832 da Mannheim (R. Bonfadini, Vita di Francesco Arese, p. 34). In seguito il rapporto fra madre e figlio s'incrinò, per i rifiuti di lui alle reiterate vantaggiose proposte matrimoniali che ella gli procurava; la F. riuscì, tuttavia, a costringerlo a rinunciare ad un legame "inadeguato" cui egli molto teneva. Ma Francesco Arese s'indignò quando seppe che ella gli aveva ottenuto dal governo austriaco una speciale amnistia, a patto che egli ne facesse personalmente domanda all'imperatore. Al suo rifiuto la F. "abituata a diriger tutto e imperiosa" gli ridusse gli aiuti economici allo stretto necessario, provocando una furiosa reazione che culminò nel 1834 con l'arruolamento dell'Arese nella Legione straniera per due anni. Gli interventi della regina Ortensia (con una lunga lettera alla F. del novembre 1835) e di altri amici riuscirono a farla venire a più miti consigli, facendole rinunciare alla pretesa di avere il figlio sposato a suo modo a Milano, anche se quello, rientrato in patria dagli Stati Uniti dopo l'amnistia concessa il 6 sett. 1838 per l'incoronazione a re del Lombardo-Veneto dell'imperatore Ferdinando, finì con l'accontentarla, sposando alla fine del 1839 Carolina Fontanelli, figlia del generale Achille marchese dì Fubino, già ministro di Guerra e Marina del Regno d'Italia.
Nel 1840, alla morte del fratello Federico, la F. ebbe una grave lite successoria con la sorella inglese Maria Emily (vertenza che si risolverà del tutto solo nel 1884), in seguito alla quale, per la legge di albinaggio, i beni immobili toccheranno a lei, mentre quelli mobili saranno divisi in parti uguali.
Gravemente ammalata, nell'ottobre 1847 fu portata a Genova nella speranza che quel clima potesse giovarle, ma vi si spense l'11 dicembre successivo.
La salma, riportata a Milano, ebbe esequie a S. Babila il 21. Il 28 febbr. 1846 aveva testato, nominando erede il nipote ex filio Antonio Arese Lucini per la parte disponibile (1/2), e legittimando il figlio (1/4) ed i nipoti Cotti Ceres (1/4).
Il fratello della F. Federico Fagnani, nato a Milano l'8 nov. 1775, studiò nel collegio dei nobili a Siena, dove si laureò in giurisprudenza nel 1794 e si formò sotto la guida di A. M. Pannocchieschi d'Elci, al quale dovette la sua inclinazione di bibliofilo. Partecipò attivamente alla vita politica durante il Regno Italico, fino al 1813, e fu ricoperto dì onori da Napoleone: nel 1805 ciambellano, poi consigliere di Stato, nel 1807 cavaliere della Corona ferrea e conte dell'Impero, nel 1810 uditore del Consiglio di Stato. Fra il 1810 ed il 1811 fu a Pietroburgo, pubblicando un resoconto di quel viaggio (Lettere scritte in Pietroburgo correndo gli anni, Voll. 2, Milano 1812 e 1815), che ebbe un momento di celebrità perché vi si prevedeva il fallimento dell'impresa napoleonica in Russia. Nel 1814 egli intrigò contro il principe Eugenio, e nelle giornate milanesi dell'aprile 1815 fu uno dei capi dei gruppo degli "italici puri".
In seguito si ritirò a vita privata dedicandosi agli studi e alla bibliofilia. Era un grande proprietario terriero, e si occupò di agricoltura anche a livello teorico, pubblicando alcuni lavori sull'argomento, fra cui Buon governo dei filugelli e delle bigattaje e Osservazioni di economia campestre fatte nello Stato di Milano (Milano 1820). Appassionato e competente di libri, stampe e disegni, raccolse oltre 30.000 volumi (tra cui molte edizioni aldine e cominiane), 4.230 disegni e circa 16.000 incisioni, che lasciò in eredità alla Biblioteca Ambrosiana. Celibe, fu cavaliere di Malta dal 1824, e membro onorario dell'I.R. Istituto di scienze, lettere ed arti. Nel 1822 aveva pubblicato a Milano Riflessioni morali e politiche intorno ad alcune opinioni e teorie dei nostri tempi, e nel 1827 Epigrammi di Marziale volgarizzati in rima ed in altrettanti versi da Federico Fagnani....
Con testamento del 7 febbr. 1838 legò a vari enti religiosi, ma principalmente alla Compagnia di Gesù, beni terrieri per quasi 5 milioni del tempo, provocando uno stupito commento da parte di V. Gioberti nel Gesuita moderno per tale scelta compiuta da parte di uno come "... il marchese Fagnani, vecchio avaro, ambizioso, astuto, pizzicante dell'incredulo e dell'ateista, epicureo in morale e non stoico in politica", scelta che defraudò le eredi naturali, le due sorelle, cui toccò una cifra inferiore, poco più di 3 milioni. Egli morì a Milano l'8 ott. 1840.
Fonti e Bibl.: Osnago (Como), Archivio Arese Lucini, Carte Antonia Fagnani; G. Pecchio, Vita di Ugo Foscolo, Lugano 1841, pp. 103-106; G. Rovani, Cento anni, Milano 1869, 1. XV, capp. IV-V, passim; P. Amat di San Filippo, Biografia dei viaggiatori italiani..., Roma 1882, p. 544; G. Mestica, Lettere amorose ad A. F., Firenze 1887; N. Niceforo (pseud. dì G. Del Cerro), Amori milanesi, III, in Conversazioni della domenica, 4 dic. 1887, pp. 388 s.; G. Chiarini, Gli amori di Ugo Foscolo nelle sue lettere, I, Bologna 1892, passim; R. Bonfadini, Vita di Francesco Arese con documenti inediti, Torino-Roma 1894, pp. 13 ss., 34 e passim; A. Bassi, Armi ed amori nella giovinezza di Ugo Foscolo, Genova 1927, passim; P. Schinetti, IlFoscolo innamorato, Milano 1927, pp. 35-39; E. Casanova, Nobiltà lombarda, a cura di G. Bascapé, Milano 1930, ad vocem; Il libro della nobiltà lombarda, s.n.t., pp. 167 s. (Arese), 302 s., (Brusati), 467 s. (Fagnani); A. Giulini, Curiosità di storia milanese, Milano 1933, p. 154; P. Carli, Le lettere amorose di Ugo Foscolo ad A.F. Arese, in Nuova Antologia, febbraio 1949, pp. 138-46; Ediz. naz. d. opere di U. Foscolo, Epistolario, I, a cura di P. Carli, pp. 207-414 e ad Ind.; L. Caretti, Sulle lettere di Ugo Foscolo alla Arese, in Studi e ricerche di letter. ital., Firenze 1951; U. Foscolo, Lettere d'amore, a cura di F. Carlesi, Roma 1958, pp. 9-151; Storia di Milano, XII, Milano 1959, pp. 890 (Giacomo Fagnani), 929 (Costanza Fagnani), 633 n. 6 (Federico Fagnani); XIII, ibid. 1959, pp. 329, 331, 363 n. 4 (Federico Fagnani), pp. 660 s. (A. F., con ritratto), XVI, p. 664 n. 1 (Giacomo Fagnani); S. Romagnoli, Le lettere dell'Arese e il giornale bergamasco di U. Foscolo, Padova 1961; U. Foscolo, Lettere d'amore, con introduz. e note di G. Bezzola, Milano 1983, pp. 6, 115, 118 s., 21 ss., 26, 28, 47, 48, 51-236, 254, 411, 439; G.P. Tintori-G. Bezzola, I protagonisti e l'ambiente della Scala nell'età neoclassica, Milano 1984, pp. 123, 145 s.; La piccola Mie Mie. Carteggio inedito tra Milano e Londra alla fine del secolo XVIII con un album di famiglia a cura di F. Arese Lucini, a cura di G. Bezzola, Milano-Bari 1985, pp. 205 s., 209 s. e passim (con due ritratti della F.); La letteratura italiana. I maggiori, II, Milano 1956, pp. 761 s., 776, 795, 916; G. Moroni, Diz. di erudiz. st.-eccl., LVII, p. 86 (sui lasciti dì beneficenza di Federico Fagnani; cfr. anche Diario Roma, 1847, n. 7).