POZZI, Antonia
POZZI, Antonia. – Nacque a Milano il 13 febbraio 1912 da Roberto, avvocato di fama, e da Carolina Lavagna Sangiuliani di Gualdana, appartenente a una famiglia del patriziato locale che vantava un’illustre tradizione culturale (la nonna materna, Maria, era nipote di Tommaso Grossi). Antonia ricevette un’educazione accurata e completa: studiò le lingue moderne, la musica, il disegno e la scultura, mentre si dedicava a numerose attività sportive, come tennis, nuoto, equitazione e, soprattutto, sci e alpinismo.
L’amore per la montagna, che fu una costante nella vita e nell’immaginario poetico della Pozzi, scaturì dalla frequentazione di Pasturo, un piccolo paese della Valsassina, dove la famiglia aveva acquistato una villa settecentesca e trascorreva le vacanze: Antonia vi riconobbe sempre il rifugio prediletto in cui ritrovare se stessa, le sue radici e il luogo in cui sarebbe ritornata. La residenza di Pasturo, attualmente di proprietà della Congregazione delle suore del Preziosissimo Sangue, ospita oggi l’Archivio Pozzi, curato da suor Onorina Dino, attenta custode delle carte e studiosa della poetessa.
Nel 1927 Antonia si iscrisse nella sua città al liceo classico Alessandro Manzoni e a questo periodo risalgono alcuni incontri destinati a lasciare una traccia indelebile nella sua esistenza: conobbe infatti Lucia Bozzi ed Elvira Gandini (allora già studentesse universitarie), che ella usava chiamare ‘sorelle d’adozione’, e Antonio Maria Cervi, suo professore di latino e greco, di cui si innamorò profondamente.
Sardo di origine (era nato a Sassari nel 1894), uomo di cultura straordinaria e insegnante carismatico, Cervi si sarebbe trasferito l’anno successivo a Roma, dove, nel 1940, avrebbe ottenuto la libera docenza di letteratura greca, storia della filosofia antica e storia comparata delle lingue classiche. La relazione iniziò come una frequentazione in un contesto familiare (durante le vacanze pasquali del 1928 e del 1929 la famiglia Pozzi si recò in viaggio a Roma e Napoli e Cervi fece loro da guida), ma a partire dal 1930, nonostante la distanza, sfociò in un legame sentimentale che condusse a progetti matrimoniali; fortemente osteggiato dalla famiglia Pozzi, il rapporto si protrasse alcuni anni e si concluse definitivamente nel 1933.
La ricostruzione della vicenda, l’unica autentica esperienza amorosa che Antonia visse nel corso della sua breve esistenza, si basa sulle notizie desunte dalle pagine dell’epistolario e del diario della poetessa nonché dalle testimonianze di amici. A questo proposito non sono forse una fonte del tutto attendibile le carte della scrittrice che, sottoposte dopo la sua morte ad ampi tagli e rimaneggiamenti, si presentano ora lacunose (anche se non è possibile stabilire in quale misura). L’opposizione dei coniugi Pozzi a un matrimonio che ai loro occhi non dovette sembrare particolarmente prestigioso, fu dovuta principalmente alla notevole differenza d’età che divideva i due innamorati (soprattutto in relazione al fatto che la figlia era molto giovane). Si può comunque affermare che la biografia e la produzione poetica della scrittrice sintetizzarono le spinte contraddittorie tra un’educazione moderna ed emancipata e un ambiente familiare e sociale ancora legato a un ruolo tradizionale della donna.
Proprio al 1929 risalgono le prime liriche di Antonia, alcune delle quali furono ispirate alla sofferta relazione. Nel medesimo anno maturò in lei anche la passione per la fotografia, destinata ad accompagnarla per tutta la sua esistenza.
Nel 1930 si iscrisse al corso di filologia moderna della facoltà di lettere e filosofia presso la Regia Università di Milano, dove frequentò le lezioni di estetica di Giuseppe Antonio Borgese fino a quando questi, sgradito al regime, fu costretto a lasciare l’insegnamento. Nell’estate del 1931 intraprese un viaggio studio in Inghilterra, dietro cui i biografi riconoscono in realtà un tentativo dei genitori per allontanarla da ‘Antonello’, come la poetessa soprannominava Cervi; il loro rapporto sentimentale diventava, infatti, fonte di un sempre crescente tormento. Motivo di conforto fu la frequentazione affettuosa di Paolo Treves, cui si aggiunse l’amicizia con il poeta Tullio Gadenz, conosciuto proprio nel 1933 quando Antonia fu costretta alla «scelta terribile» di separarsi dall’amato. Nello stesso periodo con la famiglia viaggiò nell’Italia del Sud e poi a Venezia e Vienna, mentre l’anno seguente effettuò una crociera nel Mediterraneo. Pozzi viveva ancora momenti spensierati in occasione dei soggiorni in montagna, dove effettuava escursioni e scalate al seguito degli alpinisti più famosi dell’epoca, come Guido Rey, autore del libro Il tempo che torna (Torino 1929) che aveva appassionato la scrittrice. A partire dal 1934 frequentò le lezioni universitarie di Antonio Banfi, subentrato nella cattedra di estetica a Borgese, ed entrò in contatto con il folto gruppo di allievi che gravitavano intorno a lui in questi anni e che poi svolsero un ruolo di primo piano nella vita culturale italiana.
Si tratta di filosofi come Remo Cantoni, Enzo Paci, Giulio Preti, Giovanni Maria Bertin, Dino Formaggio; poeti e critici letterari come Vittorio Sereni, Maria Corti e Luciano Anceschi, artisti come Ernesto Treccani, editori come Alberto Mondadori e Livio Garzanti. A partire dal 1938 alcuni di essi si riunirono intorno alla rivista Vita giovanile (poi Corrente), fondata da Treccani.
Ispirato a una prospettiva antidogmatica e aperto alle novità più aggiornate della cultura contemporanea, l’insegnamento di Banfi si caratterizzava per una concezione dell’arte strettamente intrecciata alla vita. Antonia fu profondamente influenzata dal suo magistero e dalle discussioni maturate nel gruppo di allievi: sotto la sua guida condusse una tesi sull’apprendistato letterario di Gustave Flaubert (si laureò nel novembre del 1935), e collaborò con la rivista, in cui comparve nel 1938 un suo saggio su Aldous Huxley. Si legò profondamente soprattutto a Formaggio, Sereni e Cantoni: l’amicizia con quest’ultimo si approfondì fino a che Antonia non immaginò la realizzazione di un secondo amore, ma le sue aspettative furono deluse. Ispirata da questa vicenda, progettò un romanzo, di cui compose solo due capitoli (Abbozzo di un romanzo, poi in Diari e altri scritti, 2008, pp. 57-63). Ulteriore motivo di sconforto le derivò in questo periodo dai giudizi poco lusinghieri circa le sue poesie ricevuti da Enzo Paci e dalla scarsa attenzione che a esse riservò Banfi.
Dopo aver conseguito la laurea, si dedicò ad attività sportive e viaggi: nel 1936 soggiornò a Misurina dove effettuò alcune scalate con l’alpinista Emilio Comici (cui dedicò due liriche) e nel periodo estivo trascorse due mesi in Austria per seguire un corso di lingua e letteratura tedesca, mentre l’anno successivo visitò Berlino e alcune capitali europee.
Nel 1937 la conoscenza e la frequentazione di Formaggio sembrarono imprimere una svolta nella vita della Pozzi e inaugurare una nuova stagione poetica, poiché con lui cominciò a frequentare le periferie e gli ambienti popolari. Nella stessa direzione di un’apertura al reale si può interpretare il progetto di un romanzo storico sulla Lombardia incentrato sulla figura della nonna materna, concepito in questo periodo e mai attuato.
Nel 1938 ottenne un incarico di insegnamento di materie letterarie presso l’istituto Schiaparelli di Milano. In questo periodo dovette separarsi dalla famiglia Treves, costretta a emigrare a causa delle leggi razziali, mentre vide naufragare la speranza che la relazione con Formaggio maturasse in un rapporto sentimentale. Il 3 dicembre 1938 fu trovata agonizzante presso Chiaravalle, luogo prediletto in cui aveva scelto di morire dopo aver assunto una forte dose di barbiturici.
Pur senza riconoscersi in una confessione determinata, Pozzi prende avvio da una visione panteistica e deistica che infonde alla lirica una profonda religiosità. La poesia assume allora un valore sacrale e non solo rappresenta una sublimazione del dolore, ma vive in una dimensione di apertura e incontro con l’altro, come attestato dalla presenza di un ‘tu’ cui il discorso si rivolge. Le liriche sono connotate da una cifra diaristica (recano di solito la data e, talvolta, il luogo di composizione) e da una chiara dimensione autobiografica. La natura è spesso ritratta nei paesaggi montani (fondamentale il motivo dell’ascesa) e colta in modo soggettivo come riflesso dell’io lirico; molti testi sono ispirati all’amore per Cervi, proiettato in una dimensione di purezza e gioia e identificato con la ‘fiaba’ e la Vita sognata, ma dominato anche in modo ossessivo dall’idea di un figlio non nato. La morte costituisce una presenza incombente che, se esercita un’attrazione irresistibile, è sentita anche come il raggiungimento della pace. A livello formale le prime liriche si valgono ancora di metri tradizionali (soprattutto endecasillabi e settenari) e di una semplicità retorica che rende il dettato discorsivo, mentre gli ultimi versi virano in direzione di una maggiore e più complessa valenza simbolica: vi si riconoscono echi della produzione del primo Novecento (Rainer Maria Rilke, Giovanni Pascoli, Gabriele D’Annunzio, i crepuscolari, ma anche Annunzio Cervi, fratello di Antonio e autore di poesie).
La conoscenza della figura di Antonia Pozzi e la sua fortuna critica sono state fortemente condizionate dalla tragica fine e dalle vicende editoriali delle opere. Il corpus poetico ottenne un importante riconoscimento da Eugenio Montale, che firmò la prefazione all’edizione del 1948, poi tradotta in diverse lingue. La sua lirica, fiorita negli anni più cupi del regime fascista, si sviluppa in una direzione eccentrica rispetto al contemporaneo ermetismo e per la referenzialità del linguaggio appare invece più vicina a quella tendenza ‘lombarda’ che secondo Luciano Anceschi «confida nelle possibilità poetiche della presenza degli oggetti» (cfr. L. Anceschi, Linea lombarda, Varese 1952, p. 10).
Opere. Tranne il saggio su Huxley, Eyeless in Gaza (in Vita giovanile, I (1938), 9, poi, da ultimo, in Diari e altri scritti, 2008, pp. 65-73), tutti gli scritti di Pozzi sono stati pubblicati postumi. L’opera più importante è la raccolta delle liriche, Parole, che comprende circa trecento poesie composte tra il 1929 e il 1938. Il corpus attraversò una peculiare vicenda editoriale: primo curatore ne fu nel 1939 il padre Roberto che, spinto probabilmente dal desiderio di proteggere la memoria della figlia soprattutto in relazione al rapporto con Cervi, intervenne pesantemente sui testi con tagli e interpolazioni: questo primo volume, edito in forma privata presso Mondadori in complessivi 300 esemplari, conteneva solo 91 poesie ed ebbe circolazione ridottissima; seguirono altre edizioni progressivamente ampliate nel 1943 (2ª ed., Milano, 157 poesie), nel 1948 (3ª ed., con prefaz. di E. Montale, Milano, 159 poesie) e nel 1964 (4ª ed., sempre con prefaz. di E. Montale, Milano, 176 poesie). Successivamente, Onorina Dino e Alessandra Cenni hanno dato alle stampe tutte le opere dell’autrice, ripristinando laddove possibile le lezioni originarie dei manoscritti, ma hanno proceduto anch’esse distillando gli inediti: l’edizione di Parole uscita per Garzanti (Milano 1989) comprendeva 248 liriche, mentre la successiva del 1998 (Milano) ne racchiudeva 289; gli ultimi 32 testi sono comparsi nel volume A. Pozzi, Poesia, mi confesso con te (Milano 2004), curato solo dalla Dino, che nel frattempo aveva preso le distanze dalla biografia romanzata pubblicata per Rizzoli da A. Cenni, In riva alla vita: storia di A. P. poetessa (Milano 2002). Sempre per interessamento del padre della scrittrice fu pubblicata anche la tesi di laurea, Flaubert. La formazione letteraria (1830-1856) (Milano 1940), con premessa di A. Banfi. Prezioso valore documentario rivestono le lettere (L’età delle parole è finita: lettere 1923-1938, a cura di A. Cenni - O. Dino, Milano 2002) nonché i diari (Diari e altri scritti, a cura di O. Dino, Milano 2008). A Pasturo si conserva anche un prezioso archivio di 2800 foto, connotate da una profonda consonanza con le liriche (per cui si rimanda ad A. Pozzi, Nelle immagini l’anima: antologia fotografica, a cura di L. Pellegatta - O. Dino, Milano 2007).
Fonti e Bibl.: Lecco: rivista di cultura e turismo, V (1941), 5-6; E. Montale, Prefazione, in A. Pozzi, Parole: diario di poesia, Milano 1948, pp. 7-14; L. Amelotti, A. P. nella sua poesia, Genova 1953; C. Annoni, “Parole” di A. P: lettura tematica, in Studi sulla cultura lombarda in memoria di Mario Apollonio, II, Milano 1972, pp. 242-259; G. De Marco, I «sogni sepolti» e l’«oppressa nostalgia della luce»: A. P., in Esperienze letterarie, XIV (1989), 4, pp. 91-113; G. Strazzeri, Il ciclo fecondazione-produzione-morte nella poesia di A. P., in Acme. Annali della facoltà di lettere, Università degli studi di Milano, LXVII (1994), 2, pp. 15-27; G. Sandrini, «E di cantare non può più finire». L’idillio negato di A. P., in Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti, CLIV (1995-96), pp. 899-929; E. Borsa, Per una interpretazione antropologica della poesia di A. P., in Cenobio, XLIV (1997), 3, pp. 249-262; G. De Marco, A. P.: dal portico della morte al destino delle “Parole” come vita, in Testo. Studi di teoria e storia della letteratura e della critica, XXI (2000), 39, pp. 89-111; G. Scaramuzza, La ‘vita irrimediabile’ di A. P., in Crisi come rinnovamento: scritti sull’estetica della scuola di Milano, Milano 2000, pp. 79-101; O. Dino, ‘Il volto nuovo’ ovvero il tradimento di A. P., in Otto/Novecento, XXVI (2002), 3, pp. 71-108; L. Scorrano, Memorietta su A. P., in Carte inquiete: Maria Corti, Biagia Marniti, A. P., Ravenna 2002, pp. 87-126; G. Bernabò, Per troppa vita che ho nel sangue: A. P. e la sua poesia, Milano 2004; E. Borgna, L’attesa e la speranza, Milano 2005, pp. 155-173; G. Soriga, L’opera di A. P. nella lirica italiana del primo Novecento, Cagliari 2005; Per A. P., in Resine. Quaderni liguri di cultura, XXVII (2005), 104, pp. 23-44; S. Lorenzetti - C. Cretella, Tradizione e innovazione nella poesia femminile del Novecento. A. P. e Giulia Niccolai, in Le forme della poesia. Atti dell’VIII Congresso ADI (Associazione degli Italianisti Italiani)… 2004, a cura di R. Castellana - A. Baldini, Siena 2006, pp. 247-260; C. Dobner, All’altra riva, ai prati del sole: l’immaginario di Dio in A. P., Milano 2008; M. Dalla Torre, A. P. e la montagna, Milano 2009; A. Mormina, A. P.: dalla filosofia alla poesia, in Otto/Novecento, XXXIII (2009), 1, pp. 197-213; … e di cantare non può più finire…: A. P. (1912-1938), Atti del Convegno… 2008, a cura di G. Bernabò et al., Milano 2009; T. Altea, A. P.: polifonia del silenzio, Milano 2010; M.M. Vecchio, A. P. Tre studi, in Otto/Novecento, XXXIV (2010), 2, pp. 227-240; S. Chemotti, Le parole per dirlo: la poesia di A. P. come graphia del sé, in Ead., A piè di pagina: saggi di letteratura italiana, Padova 2012, pp. 503-555; C. Glori, Le Madri-Montagne: il materno e la singolarità di A. P. nel panorama letterario femminile del Ventennio, in Otto/Novecento, XXXVII (2013), 3, pp. 133-140. Per una rassegna completa e aggiornata degli studi sull’autrice si rinvia al sito www.antoniapozzi.it.