GIANNOTTI, Antonia
Figlia di Francesco d'Antonio, nacque a Firenze intorno al 1452. Erronea appare l'ipotesi della sua appartenenza al casato dei Tanini sostenuta da alcuni studiosi (Inghirami, p. 150, D'Ancona, p. 268, e Colomb de Batines, p. 15), forse per via della familiarità che il marito della G., Bernardo Pulci, ebbe con suor Anna Lena de' Tanini del monastero delle murate, a cui questi volle dedicare l'operetta in ottave La passione di Cristo. La G. aveva sposato il più giovane dei fratelli Pulci, Bernardo, nel 1470, quando aveva circa diciotto anni e con lui condivise gli interessi culturali e la devozione ai Medici. I coniugi, sebbene sempre alle prese con preoccupazioni di carattere economico, sopperirono all'assenza di prole prendendosi cura dei nipoti che Luca Pulci, morendo (1470), aveva lasciato orfani.
Dopo pochi anni di matrimonio, nel 1473, la G. incominciò a soffrire di un male che l'avrebbe angustiata a lungo (almeno fino al 1480). Dopo la morte del marito (1488), la G. entrò nel convento agostiniano dell'Assunta fuor di porta di S. Gallo a Firenze, dove morì in data non precisata.
Alla G. compete un posto non trascurabile nella letteratura popolare e religiosa fiorentina tra il Quattrocento e il Cinquecento come poetessa in volgare e autrice di opere di carattere devoto in ottava rima: sacre rappresentazioni e laude spirituali. Ella appartiene, insieme con Lucrezia Tornabuoni, a quel limitato numero di donne letterate del XV secolo che seppero conquistarsi un loro spazio e assurgere a una certa notorietà, coltivando una passione vissuta al tempo stesso come nobile divertimento e occasione di affrancamento intellettuale.
Non sappiamo fino a che punto il fatto di appartenere alla famiglia Pulci abbia influito sulla sua carriera di scrittrice, ossia in quale misura ella sia stata ispirata, aiutata e consigliata dai letterati di casa. Senza dubbio trasse beneficio dal contatto con un ambiente culturalmente stimolante; d'altra parte è altrettanto vero che ella, dovendo costantemente tenere testa a un confronto assai impegnativo con i suoi familiari, fu forse per questo relegata in una posizione di secondo piano.
Come molti altri letterati dell'epoca (Feo Belcari, Tommaso Benci, Antonio Araldo, Castellano Castellani e lo stesso Lorenzo il Magnifico), la G. legò il suo nome al genere della sacra rappresentazione. Destinato a un pubblico laico e borghese, questo genere teatrale conobbe un'abbondante fioritura fino ai primi decenni del Cinquecento, per poi scomparire sia per il trionfo della cultura umanistica, che riportava alla ribalta forme teatrali di stampo classico, sia per il naturale esaurimento di un repertorio ormai sfruttato pienamente. I suoi contenuti si ricollegavano per lo più a vite di santi, ma anche a episodi della vita di Cristo, a storie dell'Antico Testamento e a leggende popolari. La produzione di sacre rappresentazioni è in gran parte anonima e priva di veri e propri capolavori. Si tratta, infatti, di testi non finalizzati al conseguimento della gloria letteraria bensì all'edificazione morale e religiosa. La vena poetica della G. rivela un indiscutibile talento nella creazione di vivaci quadretti e scene di vita quotidiana, nella tecnica argomentativa, nella capacità di conferire umanità e spessore ai personaggi. Ella, rifiutando la dimensione eroica, celebrò una condotta ispirata alla misura; contribuì così considerevolmente all'evoluzione del teatro religioso in una direzione realistica e romanzesca. Preferendo al dramma del soprannaturale una rappresentazione concreta dei modelli del retto vivere, dimostrava anche di saper bene assecondare i gusti della società borghese contemporanea, saldamente ancorata agli interessi mondani.
La G. è autrice di alcune sacre rappresentazioni stampate più volte sino al XVI sec.: La rappresentazione di s. Guglielma, Firenze, Bartolomeo de' Libri, s.d. (Indice generale degli incunaboli [IGI], n. 8206); La rappresentazione di s. Francesco, ibid., id., s.d. (IGI, n. 8205); La rappresentazione di s. Domitilla, ibid., id., s.d. (IGI, n. 8204), presenti nella raccolta di sacre rappresentazioni pubblicata a Firenze da Antonio Miscomini tra il 1490 e il 1495 (IGI, n. 8283), e Il figliuol prodigo (Firenze 1550). La protagonista della prima e più nota sacra rappresentazione della G., S. Guglielma, è un'eroina pura e innocente, animata da fede incrollabile in ogni difficile frangente della sua pia vita. Figlia del re d'Inghilterra e sposa del re di Ungheria, in assenza del consorte, recatosi in Terrasanta, Guglielma viene ingiustamente accusata dal malvagio cognato desideroso di vendicarsi del suo rifiuto. Costretta a fuggire per sottrarsi alla pena capitale inflittale, dopo varie peripezie, si rifugia in convento dove, per la fama dei suoi miracoli, accorrono innumerevoli infermi nella speranza di trovare la guarigione. Tra questi giungono anche il re e suo fratello, affetto da lebbra. Quest'opera, tuttavia, pur nelle manifestazioni del divino, mantiene una dimensione umana: Guglielma, proprio perché lontana dagli stereotipi più abusati delle sante martiri, risulta efficace in ogni sua condizione (fanciulla, donna, madre, sposa, cristiana) in virtù della sua grande carica interiore. In epoca moderna la S. Guglielma è stata edita in: Sacre rappresentazioni dei secoli XIV, XV e XVI, a cura di A. D'Ancona, III, Firenze 1872, pp. 199-234; Sacre rappresentazioni del Quattrocento, a cura di L. Banfi, Torino 1974, pp. 537-581; Sacre rappresentazioni fiorentine del Quattrocento, a cura di G. Ponte, Milano 1974, pp. 69-98.
La seconda composizione, S. Francesco (edita da P. Toschi, L'antico dramma sacro italiano, Firenze 1926, pp. 655-696), illustra la vita del santo attraverso gli episodi che meglio mettono in evidenza la sua vita esemplare (giovinezza, conversione, segregazione, incontri con il papa e con il Soldano, stigmatizzazione, miracoli). La G., pur propugnando il disprezzo dei beni terreni come mezzo per il raggiungimento della salvezza eterna, si mostra portavoce dell'ambiente borghese a cui appartiene (Francesco viene inizialmente presentato come un banchiere del tempo): ella sembra infatti condividere l'ottica mercantesca intimamente diffidente nei confronti della misticità francescana che, in nome del volontario rifiuto dei beni, giungeva a sconvolgere i valori patrimoniali.
Della S. Domitilla è protagonista la martire cristiana nipote dell'imperatore Domiziano: l'opera si fonda sulla contrapposizione tra i valori del matrimonio e della verginità, privilegiando quest'ultimo come strumento di santità.
Il figliuol prodigo è una delle migliori rappresentazioni del teatro religioso fiorentino, anche se la sua versione più celebre è quella di Castellano Castellani. Essa trae spunto dal noto brano evangelico (Luca 15, 11-32) che narra del ritorno alla dimora paterna del figlio pentito per aver sperperato tutti i suoi beni. L'autrice dà molto spazio ai dialoghi tra i personaggi, pur senza eccedere nei discorsi moralistici o nelle massime sentenziose. La G. descrive inoltre minuziosamente gli episodi della vita quotidiana ottenendo effetti di autentico realismo, stemperati tuttavia dal gusto per il romanzesco e dalla cospicua presenza nella narrazione di elementi allegorici, quali la rappresentazione, nei compagni del figliol prodigo, dei sette peccati capitali.
Alla G. sono state attribuite anche altre sacre rappresentazioni: S. Giuliano, S. Antonio Abate e Barlaam e Josafat; di quest'ultima sarebbe invece autore Bernardo Pulci. Alla G. viene anche assegnato un poemetto in quattro canti in ottava rima, La regina di Oriente, opera in realtà di Antonio Pucci.
Le sacre rappresentazioni della G. sono state recentemente tradotte in inglese: Florentine dramafor convent and festival. Seven sacred plays, by A. Pulci, a cura di J.W. Cook - B. Collier Cook, Chicago 1996.
Fonti e Bibl.: F. Inghirami, Storia della Toscana, XIV, Firenze 1843-44, p. 150; F. Brocchi, Collezione alfabetica di uomini e donne illustri della Toscana, Firenze 1852, p. 160; P. Colomb de Batines, Bibliografia delle antiche rappresentazioni italiane sacre e profane stampate nei secc. XV e XVI, Firenze 1852 (rist. anast. Milano 1958), pp. 5, 15-19; F. Flamini, La vita e le liriche di Bernardo Pulci, in Il Propugnatore, XXI (1888), pp. 224 s.; A. D'Ancona, Origini del teatro italiano, I, Torino 1891, pp. 268 s.; I. Del Lungo, La donna fiorentina, Firenze 1905, pp. 186, 229; F. Neri, Studi sul teatro italiano antico, in Giorn. stor. della letteratura italiana, LXV (1915), pp. 9-16; M. Ferrigni, S. Francesco e il teatro, in Nuova Antologia, LXIII (1928), pp. 207 s., 216, 219; N. Zingarelli, Pulci, A., in Enc. Italiana, XXVIII, Roma 1949, pp. 526 s.; A. Cioni, Bibliografia delle sacre rappresentazioni, Firenze 1961, pp. 19, 23, 86, 138, 142 s., 210; G. Ponte, Attorno al Savonarola. Castellano Castellani e la sacra rappresentazione in Firenze tra '400 e '500, Genova 1969, pp. 5, 123-125, 136; F. Cardini, La figura di Francesco d'Assisi nella "Rappresentazione di Sancto Francesco" di A. Pulci, in Il francescanesimo e il teatro medievale. Atti del Convegno nazionale di studi, San Miniato… 1982, Castelfiorentino 1984, pp. 195-208; A.M. Testaverde - A.M. Evangelista, Inventario delle sacre rappresentazioni manoscritte e a stampa, Firenze 1988, pp. 41 s., 53 s., 60, 66, 101-103, 105, 107-109, 119, 121 s., 132, 144 s., 149 s., 154, 195 s., 205-207, 211 s., 217 s., 264, 268, 270-272; S. Carrai, Pulci,A., in Letteratura Italiana (Einaudi), Gli autori. Dizionario bio-bibliografico, II, Torino 1991, p. 1458; V. Rossi, Il Quattrocento, in Storia letteraria d'Italia, a cura di A. Balduino, Padova 1992, pp. 455, 522, 612; B. Toscani, A. Pulci, in Italian women writers. A bibliographical sourcebook, a cura di R. Russell, Westport, CT, 1994, pp. 344-352; G. Ulysse, Un couple d'écrivains: les "Sacre Rappresentazioni" de Bernardo et A. Pulci, in Les femmes écrivains en Italie au Moyen Âge et à la Renaissance. Actes du Colloque international, Aix-en-Provence… 1992, Aix-en-Provence 1994, pp. 177-196.