ANTONELLO da Messina
Della vita di Antonello conosciamo i dati essenziali. Egli nacque a Messina dallo scultore Giovanni di Michele degli Antonii. Sua madre si chiamava Garita, Margherita. La prima notizia relativa all'attività del pittore è del 1457; e per varie induzioni si suol fissare circa al 1430 l'anno della nascita. Nel 1457 ha l'incarico di dipingere un gonfalone per Reggio Calabria, simile ad un altro che egli stesso aveva eseguito per la chiesa di S. Michele a Messina. Nel medesimo anno assume nella sua bottega come allievo Paolo di Caco. Nel 1460, insieme con la famiglia, compresi i figliuoli, dimora ad Amantea in Calabria, donde sta per ritornare a Messina. Dal 1460 al 1465 egli abita a Messina senza interruzione. E del 1465 è datata la sua più antica opera giunta sino a noi, il Cristo benedicente della National Gallery di Londra. Dopo il 1465 e sino al 1472 non appare più alcuna notizia su A., salvo nella firma apposta a opere del 1467 e del 1470. Nel 1473 è compensato per un'opera eseguita a Caltagirone, e s'impegna a preparare un gonfalone per Randazzo. Nel 1474 si obbliga a dipingere per Palazzolo Acreide il quadro rappresentante l'Annunziazione, che oggi è conservato nel Museo di Siracusa. Nel 1475 A. è a Venezia e lavora alla pala di S. Cassiano, commessagli da certo Pietro Bono. Il 16 marzo del 1476 il committente è così contento dell'opera non ancora finita, che già la proclama una "de le più eczellenti opere di penelo che habia Ittalia e fuor d'Ittalia". Nel frattempo Galeazzo Maria Sforza chiede e ottiene che A. vada alla sua corte a Milano per dipingere ritratti. Sembra tuttavia che alla fine del 1476 A. sia di nuovo a Messina. Certo egli vi si trova nel 1478, quando s'impegna di dipingere un gonfalone per S. Maria di Randazzo. Poco dopo muore: tra il 14 febbraio 1479, giorno in cui fece il suo testamento, e il 25 del medesimo mese, quando è ricordato come già morto.
Eccettuate le notizie relative alla pala di S. Cassiano e allo Sforza, tutti gli altri documenti, trovati nell'archivio di Messina, sembrano rappresentarci un pittore che abbia lavorato qualche tempo in Calabria e quasi sempre a Messina per varie città siciliane. Il viaggio a Venezia e a Milano sembrerebbe ridursi al 1475 e a parte del 1476. Ma le notizie non sono continue. E prima del 1457, e tra il 1465 e il 1472, e forse tra il 1476 e il 1478, è probabile ch'egli abbia compiuto altri e lunghi viaggi. Diversamente non si può spiegare la fama non solo molto alta, ma anche molto diffusa ch'egli raggiunse. A Napoli, a Urbino, a Venezia il suo nome è esaltato. A Venezia il suo gusto modifica lo stile di tutti i pittori, persino di quelli di genio, e daVenezia si diffonde sin dentro alla Lombardia e all'Emilia. Anzi, mentre i documenti d'archivio tendono a presentarci un Antonello provinciale, ristretto quasi sempre a Messina, l'arte di A. si presenta a noi non solo come d'avanguardia di fronte ai centri maggiori, ma anzi come arte internazionale, padrona delle esperienze di Bruges e di Firenze. E poiché i documenti sono sporadici, e quasi di una sola origine, mentre ciascuna opera d'arte racchiude in sé tutta la vita spirituale del suo autore, anche in questo caso l'arte è la fonte più attendibile. D'altra parte nulla ci dice che A. abbia ricevuto la sua educazione a Messina. Il Summonte, che è fonte preziosa, parla di Napoli come della patria pittorica di A.; e poiché Napoli possedeva alla metà del '400 quadri fiamminghi e pittori locali di tradizione fiamminga, la notizia del Summonte spiega a sufficienza gli elementi fiamminghi dell'arte di A., senza bisogno di ricorrere al viaggio in Fiandra, che è un'illazione arbitraria del Vasari. Un'altra leggenda connette A. col metodo della pittura ad olio, ch'egli avrebbe introdotto in Italia, secondo il Vasari, o addirittura inventato, secondo il Sansovino. Oggi è noto che la tecnica ad olio era conosciuta in Italia ben prima di A., e il merito di lui fu quello di aver diffuso e interpretato con spirito italiano quella particolare tecnica ad olio, che fu sviluppata dai Van Eyck e dalla loro scuola, cioè la tecnica fiamminga.
Nessuna leggenda invece è sorta circa i rapporti fra A. e l'arte di Toscana. Oggi il problema di quel contatto è assillante, e un nostro Vasari narrerebbe volentieri il viaggio del messinese a Urbino, donde, incontratosi con Piero della Francesca, avrebbe proseguito per Venezia. È preferibile tuttavia limitarsi a ricordare quel contatto, comunque sia avvenuto, e vederne gli effetti.
Giunto a Venezia, il campo della sua attività divenne vastissimo. Per opera di Andrea Mantegna l'assimilazione veneta dei principî formali costruttivi toscani, contrapposti alla tradizione decorativa gotica, fu un fatto compiuto; ma essa non fu accompagnata da altrettanto sviluppo delle possibilità del colore, onde le forme si realizzarono soprattutto per il rigore del contorno incisivo. Nel 1475 A. apportò invece a Venezia una forma, anch'essa di origine toscana, ma piena del suo valore plastico nei piani ben torniti, e avvantaggiata nella sua realizzazione da tutte le finezze cromatiche apprese dalla tradizione fiamminga. E tutta Venezia divenne antonelliana, con a capo Giovanni Bellini, il genius loci, il quale abbandonò il gusto del suo cognato Mantegna, sino allora seguito, per imprimere la sua squisita personalità di poeta a forme e a colori di gusto antonelliano. L'esempio di lui fu imitato da una generazione intera di pittori veneziani, da molti artisti veneti di terraferma, da alcuni maestri lombardi ed emiliani. E il gusto antonelliano durò anche dopo la morte del suo autore sino quasi alla soglia del Cinquecento.
Il gusto italiano del Cinquecento appare come una sintesi fortunata delle due massime scuole del Quattrocento, la toscana e la fiamminga. Ed è meraviglioso vedere come A. abbia realizzato quella sintesi tre decennî prima che il Quattrocento finisse. Per opera sua, il gusto veneziano ch'era nel 1475 arretrato su quello di Firenze, nel 1500 si trovò all'avanguardia di fronte a quello di qualsiasi altra scuola europea; e però nell'opera di A. si può indicare una delle origini prime della fortuna dell'arte veneziana nel mondo moderno.
Sin dall'opera più antica, dal Cristo benedicente di Londra, ch'è del 1465, emana la duplice qualità ch'è essenziale al pittore. Zone di luce e di ombra bene delimitate, bene precisate, finemente graduate, dànno l'illusione della materia, tanto più perfetta, quanto più i corpi son solidi. Nel medesimo tempo le forme s'iscrivono in un ideale cilindro, quanto più è possibile alla loro realtà contingente. La formidabile forza che risulta da ogni immagine di A., quel senso di estremo e di esasperato che il suo nome suscita, dipende appunto da un contrasto di elementi che si potrebbe a un dipresso esprimere così: tanto più va il suo colore verso il particolare, quanto più va la sua forma verso l'universale.
L'uno o l'altro dei due aspetti a volta a volta prevalsero nell'animo suo, come in quello dei suoi ammiratori. A Venezia sembra che i pittori abbiano fissato gli occhi sulla pala di S. Cassiano, di cui si crede che un frammento sia tuttora conservato a Vienna, e ne abbiano tratto insegnamento per la composizione geometrica. A Milano invece chiamarono A. perché sapeva fare bene i ritratti. Lo stesso pittore, che in un ritratto di Cefalù espresse all'estremo un grottesco volto individuato, giunse nel S. Sebastiano a intonare un canto elegiaco all'ideale della forma cilindrica. Ma occorre rilevare che per il contrasto dei due elementi l'effetto artistico non si indebolisce, anzi si esalta: le curve tendenti alla regolarità geometrica mettono in risalto l'individuazione grottesca di Cefalù; così come i riflessi marmorei dell'ambiente del S. Sebastiano ne sublimano la forma ideale. Difficile quindi immaginare un artista più immediato nella impressione della realtà e a un tempo più rigido nel negarla per un ideale astratto.
Per questo gli occhi dei suoi ritratti "superano la natura" nella vivacità dello sguardo, eppure sono composti di zone curve incastrantisi a vicenda, così solide e regolari da apparire costruite di pietre dure, anziché di palpebre umane. E per la medesima ragione la forma astratta riesce sempre vantaggiosa al pittore. La Madonna di Messina è assai meno astratta di quella già esistente nella collezione Benson: nella prima, fosse la grandezza della pala d'altare, o altra ragione, si sente che A. ha reso omaggio a una tradizione, che non gl'impedisce certo di cilindrare il corpo del Bambino, o il volto della Madonna, o le mani, ma anche gli suggerisce di distendere l'ampio manto in modo non favorevole al rilievo dei corpi. In uno spazio più breve la Madonna già Benson esplica tutta la furente volontà di adeguazione geometrica delle forme; e a quelle forme affiora un'intensità di estasi ignota alla Madonna di Messina, che minaccia di adagiarsi nell'indifferenza. Parimente l'Annunziazione di Siracusa deve la sua grande efficacia compositiva alla colonna posta in primo piano, come un'affermazione classica fatta sul punto di rappresentare un interno medievale. E la pala di S. Cassiano dovette certo la sua fama e la sua efficacia sul gusto veneziano alla stretta parentela tra la disposizione geometrica delle immagini e la loro forma tendente a corpi geometrici regolari. È difficile comunque pensare che A. sia mai giunto a un'altezza lirica maggiore di quella del S. Sebastiano di Dresda, dove la tendenza al cilindro ha assunto una concreta vita di bellezza, assolutamente perfetta, e dove pare che l'esasperazione stessa del pittore, nel punto più alto cui è giunta, sbocchi nell'abbandono a un sentimento d'infinita tristezza e d'infinita speranza. Persino i convulsi ladroni della Crocefissione di Anversa assumono valore stilistico per la loro forma cilindrata.
Appunto qui s'intende che l'esasperazione formale di A. altro non è se non un freno magnifico, fatto d'ideale trascendente, alle violente emozioni provocate dalla realtà fisica e psichica. E poiché quanto più fervida e immediata fu la sua emotività, tanto maggiore fu l'azione del freno, risulta dalle opere di A. un rigoroso ritegno impresso su nature indomabili. La ricchezza vitale delle immagini è finita; il ritegno ne segna la fine, ne costituisce la forma. Per esso l'Annunziata e il Condottiero, un Umanista e S. Sebastiano hanno il carattere comune di essere eroi. (V. tavv. CXXVII e CXXVIII).
Opere: Anversa, Museo, Crocefissione; Berlino, Kaiser-Friedrich Museum, Tre ritratti di uomo; Cefalù, Museo, Ritratto di uomo; Dresda, Pinacoteca, S. Sebastiano; Filadelfia, Museo, Ritratto di uomo; Londra, Nat. Gallery, Cristo benedicente; Ritratto di uomo; Crocefissione; S. Girolamo nello studio; Londra, Coll. Willet, Ritratto di uomo; Messina, Museo, Polittico rappresentante la Madonna, S. Gregorio, S. Benedetto e l'Annunziazione; Milano, Museo civico, Ritratto di uomo; Milano, Coll. Trivulzio, Ritratto di uomo; Milano, già Coll. Chiesa, Ritratto di uomo; Monaco di Baviera, Alte Pin., Annunziata; New York, Metropolitan Museum, Madonna col Bambino e S. Giovanni; Ritratto di uomo; New York, Coll. Bache, Ritratto di uomo; New York, Coll. Friedsam, Cristo; Novara, Museo, Cristo; Palermo, Museo, Annunziata; Parigi, Louvre, Il condottiero; Pavia, Museo, Ritratto di uomo; Piacenza, Museo, Cristo; Reggio Calabria, Museo, Frammento di un "Abramo e tre angeli"; San Girolamo; Roma, Galleria Borghese, Ritratto di uomo; Roslyn (Long Island), Coll. Mackay, Madonna (già Benson); Siracusa, Museo, Annunziazione; Siracusa, Cattedrale, S. Zosimo; Torino, Coll. Gualino, L'uomo del libro; Venezia, Museo civico, Cristo sul sarcofago; Vienna, Museo, Madonna col Bambino (?).
Bibl.: G. Di Marzo, Di Antonello da Messina e dei suoi congiunti, in Documenti per servire alla storia di Sicilia, IX, s. 4ª, Palermo 1903; N. SCalia, A. da M. e le pitture in Sicilia, Milano 1914; L. Venturi, in Thieme-Becker, Künstler-Lexikon, I, Lipsia 1907; id., Da un viaggio a Londra, in L'Arte, XXVI (1923), pp. 270-276; id., La Collezione Gualino, Torino-Roma 1926; A. Venturi, Storia dell'arte it., VII, iv, Milano 1915 (con la bibl. precedente); id., Grandi artisti it., Bologna 1925; B. Berenson, Venetian Painting in America, New York 1916; id., Study and criticism of italian art, Londra 1916, voll. 3; id., Una santa di A. da M. e la pala di S. Cassiano, in Dedalo, VI (1925-26), pp. 630-658; id., Three Essays in Method, Oxford 1927; F. I. Mather, A. da M.'s Venetian Altar-piece, in Art Studies, 1924, pp. 125-133.