CRESCENZIO, Antonello (Antonio)
Sotto questo nome sono state raggruppate diverse pitture dei secc. XVXVI firmate "Antonellus Panormita", o "Antonell. Crexenciu / o.". In questo gruppo di dipinti, peraltro, si notano discrepanze cronologiche talora anche assai sensibili, oltre che evidenti differenze stilistiche. Pertanto da tempo parte della critica si è andata orientando verso la distinzione di due pittori che usavano indifferentemente l'una firma o l'altra: l'uno firmatosi Antonello Panormita nella Madonnain trono con Bambino, datata 1497, conservata a Siracusa nel museo di palazzo Bellomo e proveniente dalla chiesa, dei cappuccini di Scicli, e l'altro sottoscrittosi allo stesso modo nella Madonna di Monserrato, datata 1528, nella chiesa di S. Maria degli Angeli (La Gancia) a Palermo. Alcuni studiosi, poi, finivano per differenziare dai due anche l'autore di due copie della Madonna dello Spasimo di Raffaello, firmate Antonello Crescenzio e datate rispettivamente 1537 (Sciacca, Bibl. comunale) e 1538 (Palermo, Gall. region. della Sicilia).
D'altra parte taluni documenti, che si riferiscono a questo nominativo (in diverse varianti), sono assai differenziati nel tempo. Anzi, un "Ant. picturi" (sic), con proprietà in enfiteusi del monastero di S. Martino alle Scale in Palermo, era già morto il 26 luglio 1519 (Giuliana Alajmo, 1953, p. 4, mentre un C. pittore (o forse due) continuò ad operare dopo il 1519, come attestano le opere firmate e datate 1528, 1573, 1538 e il fatto che un C. pittore morì a Palermo l'8 o il 9 ott. 1542 e fu sepolto nella chiesa dello Spasimo (un inventario dei suoi beni fu redatto dopo la sua morte; cfr. Di Marzo, 1899, pp. 136 s.).
È importante notare che nessuna delle opere riferite ad A. C. dai documenti è stata identificata con sicurezza ad eccezione di alcune tavole di soffitto dello Steri (è però probabile che la Madonna del Carmine a Palermo, nella Gall. regionale della Sicilia, proveniente dal convento di S. Francesco in Corleone, possa collegarsi all'attività svolta da un C. per quel centro a seguito della commissione nel 1510 delle porte dell'organo (Di Marzo, 1899, p. 130).
Secondo Cannizzaro (ms., cit. ibid., p. 123), sui perduti sportelli dell'organo della chiesa di S. Francesco a Palermo si leggeva "Antonellus de Crisenzio Panhormitanus aetate annorum LXIIII pinxit anno Domini MCCCCCXXXI", e quindi tale pittore sarebbe nato nel 1467. Ma se correttamente trascritta, questa data renderebbe impossibile il riferimento alla stessa persona di un documento del 10 sett. 1480 (cit., senza dati archivistici, in Meli, 1953) da cui si ha notizia che la moglie di un "Antonio Crescenzio (o de Crixentia, detto il Panormita)" era tale Giovanna di Siracusa. In altro documento del 6 sett. 1491 un C. è detto "Panormitanus et habitator Drepani"; in altro ancora, del 26 maggio 1498, risulta essersi obbligato con un committente di S. Filippo di Argirò per l'esecuzione di due quadri su tela (tutti menzionati in Meli). Altre menzioni problematiche si hanno in documenti del 1500, quando insieme con Vincenzo d'Intendi "mastru Antonellu" riceve un pagamento, il 15 del mese di marzo, per aver eseguito lavori di pittura "a la cona et a la tribona di lu munasteriu" di S. Martino delle Scale di Palermo (Giuliana Alajmo, 1953, p. 8, doc. 8). Nello stesso anno A. C. è impegnato a dipingere tre quadri su tela per l'anticappella di S. Cristina nella cattedrale di Palermo, pagati nell'anno 1501 (Meli, 1884; Di Marzo, 1899, p. 125) e agli inizi del sec. XVII Barone e Manfredi assegna ad A. C. "multas virginum imagines" nella medesima cappella, poi elencate dal Manganante e dal Mongitore (Di Marzo, 1899, pp. 125 s.).
Sottostante alla S. Agata era la scritta "Opus Antonii Crescencij Panormitae" (ibid.). Nell'impresa questo pittore era affiancato al Quartararo, cui verosimilmente appartiene la superstite tavola con la S. Cecilia (Palermo, Museo diocesano) e al Ruzzolone, che condusse invece gli affreschi che ornavano la cappella.
Si succedono fitte menzioni documentarie (Di Marzo, 1899, passim) che testimoniano una prevalente attività palermitana, ma anche commissioni di dipinti per località non distanti da Palermo: Polizzi (dove il C. risiedeva il 31 luglio 1501 quando stipulò contratto per la grande icona della chiesa madre; Di Marzo, 1880-833 pp. 381 s.) o Corleone (Di Marzo, 1899, cit.). Altri attestati (Meli, 1953) danno notizia dell'esecuzione di un gonfalone per una confraternita di Terranova (Gela), compiuta nel 1501 e della vendita nel 1506 (28 aprile) di una casa in Trapani. Nel 1507 un C. dimorava in Palermo. Sono documentati rapporti di A. C. con Antonello Gagini: nel 1508 era padrino di un figlio di questo e nel 1526-27 colorì piccole storie sottostanti due sue statue (S. Matteo e S. Paolo) per la cattedrale di Palermo (cfr. Di Marzo, 1880-83, I, pp. 275 n., 332). È anche menzionato per eseguire e dipingere gli arazzi per la maggior chiesa di Polizzi (Di Marzo, 1880-83, II, p. 382; 1899, p. 128) e per imprese minori a carattere propriamente artigianale: tali commissioni denotano anche un'attività di imprenditore e conduttore di un atelier capace di far fronte a disparate richieste.
Sotto tale aspetto questo C. dovette svolgere a Palermo un ruolo di primo piano, concorrenziale, morto il Quartararo (prima del febbraio 1507), di un artista di lui più anziano come il Ruzzolone; forse anche del napoletano Mario di Laurito, documentato a Palermo dal 1503, il quale infatti sino al 1519 sembra aver ricevuto minor numero di commissioni. La probabile prevalenza sino a questa data dell'atelier Crescenzio poté anche dipendere dal numero dei collaboratori che vi venivano adoperati, presenti già, per attestazione documentaria, nei lavori di decorazione di alcuni soffitti lignei dello Steri allogati nel 1502. Al massiccio intervento degli aiuti è inoltre riferibile lo scadimento qualitativo delle copie delle Spasimo del 1537 e del 1538 e, per tale diffusione nell'ambito di una vasta bottega, la sua maniera non sembra essere scomparsa del tutto. almeno in provincia, dopo la sua morte.
Un Guglielmo, fratello di un Antonio, fu anch'egli pittore nel 1501 a S. Martino delle Scale (Giuliana Alajmo, 1953, p. 8, doc. 10); nel 1504 è procuratore del fratello per ricevere pagamenti per la "cona" di Polizzi (Di Marzo, 1880-83, II, pp. 382 s.); non essendo qualificato maestro, apparteneva forse alla schiera degli aiuti ed era più giovane di Antonio.
L'eventualità che il C. morto prima del luglio 1519 possa essere il primo "Antonello Panormita") forse il padre di Antonio e di Guglielmo, sembra indirettamente confermata dalla circostanza che per S. Martino lavora appunto un Guglielmo (1501) e dal fatto che nel gruppo di opere raccolto attorno ai dipinti firmati esistono innegabili differenze, ma anche talune concatenazioni.
L'ultimo rilievo non è contraddetto dall'attribuzione (Bologna, 1958; Abbate, 1981) ad Antonello Panormita, cui sono riferite le date relative al primo C., di alcune tavole probabilmente facenti parte di uno stesso complesso (Chiusa Sclafani, chiesa madre) in quanto, se in alcune figure sono caratteri che sembrano precorrere la Madonna di Monserrato, altri vi appaiono maggiormente difformi, che testimoniano riflessione sull'opera del grande Antonello messinese oltreché talune affinità con la Madonna proveniente da Scicli. In un recente intervento dall'analogo assunto unificante (Abbate), vengono proposte altre attribuzioni peraltro non facilmente assimilabili a singole opere del gruppo. A favore di chi aveva sostenuto la tesi di un unico pittore per l'intero gruppo (Di Marzo, Brunelli; in un primo tempo: Bottari, Paolini) era la considerazione che alcuni elementi di derivazione umbra, presenti già nel dipinto datato 1497 del Museo di Siracusa ed evidenti nella Madonna del Museo di Trapani nella loro origine pinturicchiesca, con certa affinità ai modi di Saturnino Gatti (attivo probabilmente in Calabria dal '90), non contrastano del tutto con dipinti che sono o si ritengono a ragione più tardi. In questi in effetti è presente uno sviluppo ulteriore di tale cultura (Assunta, Palermo, Gall. region. della Sicilia, n. 170; Madonna di Monserrato della Gancia) con caratteri prossimi a quelli mostrati da Cola dell'Amatrice (che, secondo il Vasari, aveva soggiornato in Calabria) nella sua fase più aggiornata in direzione romana. In altra opera, la cosiddetta Madonna Greca (Alcamo, S. Maria di Gesù), problematica anche per la notevole qualità delle definizioni ritrattistiche, sono forti echi di cultura lombarda, in parte confrontabili con quelli che nell'ambiente messinese manifesta Salvo d'Antonio (differenti pertanto dagli altri che introdurranno a Palermo il De Pavia e il Fondulli; del primo traspare l'influsso solo nella copia dello Spasimo datata 1538). Infine la derivazione da una stampa düreriana, riscontrata nella citata Assunta di Palermo, rivela conoscenze già presenti al Quartararo e collegabili alla notizia fornita dall'inventario dei beni (Di Marzo, 1899) in cui sono menzionati cinquanta disegni fra stampati e "lavorati a mano".
Dal punto di vista cromatico e formale la distinzione di maniera è più netta e se si aggiungono a tale considerazione gli indizi offerti dal Barone e Manfredi che accenna a più Crescenzio pittori, dal documento del 1480 (pur non verificabile), dall'altro del 1519 e da quello riferito a Guglielmo, la conclusione al momento più attendibile è che l'insieme di opere considerate sia frutto dell'attività di uno stesso atelier, i cui responsabili, verosimilmente due membri della stessa famiglia o bottega, l'Antonio senior (autore del quadro di Scicli) e l'Antonio iunior (il C. di gran parte dei documenti) si sono succeduti nel tempo e per un certo periodo hanno collaborato. Tale intersezione di modi, o compresenza, riscontrata nelle tavole di Chiusa Sclafani, ricorre infatti più volte: nelle decorazioni di soffitti dello Steri, i cui volti hanno caratteri tipologici prevalentemente riconducibili al gruppo seriore, nella Madonna in trono (Custonaci, santuario) che, pur allineabile ai dipinti più antichi, mostra negli angeli soprastanti definizioni fisionomiche e caratteristiche esecutive affini al gruppo più tardo; infine è innegabile che una flessione espressiva e formale si verifica nell'ambito della seconda maniera a partire dal quadro della Gancia.
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