MARAGLIANO, Anton Maria
Nacque a Genova da Luigi, di professione fornaio, e da Monica Maragliano. Fu battezzato nella locale chiesa di S. Stefano il 18 sett. 1664. Lo zio Giacomo Maragliano, fratello della madre, in un atto del 1660 è definito "faber lignarius" (Boido, p. 40).
Il biografo Carlo Giuseppe Ratti (1769, p. 166) ricordò come unico maestro del M. Giuseppe Arata, del quale sono stati individuati di recente alcuni dignitosi simulacri (Sanguineti, Il paradiso…, pp. 111 s.). Dal 1680 il M. condusse un periodo di discepolato della prevista durata di sei anni presso la bottega di un altro zio, Giovanni Battista Agnesi, specializzato nella lavorazione di mobili (Boido, pp. 40 s.) e di sculture (Baini, pp. 460-463). È ipotizzabile, in considerazione della tarda età in cui il M. affiancò Agnesi, che l'eventuale alunnato con Arata dovette precedere quello con lo zio, al quale seguì una fase di collaborazione con la bottega dei Torre, dove "stette alcuni anni" (Ratti, 1769, p. 166). Lo studio dell'anatomia, dei panneggi e della loro riproducibilità fu sicuramente perfezionato presso Giovanni Andrea Torre, in parallelo a un'osservazione attenta delle opere disponibili di Giambattista Bissone, sulle quali praticò "frequenti copie" (ibid.).
Nella seconda metà del Seicento la bottega dei Torre fu la sola a continuare, dopo la cesura dovuta alla peste (1656-57), la cultura bissonesca, praticando al contempo l'attività propria dei "bancalari" (mobilieri) nell'alternanza di gruppi scultorei a raffinati arredi. Non disponendo di notizie che diano conto di un viaggio di studio del M. fuori Genova, è verosimile che egli "diedesi a fare alcuna cosa da se" (ibid.), confrontandosi con la grande tradizione lignea genovese, con le sacre rappresentazioni seicentesche di Gerolamo Del Canto e Marcantonio Poggio e le loro fonti culturali, tra le quali vanno annoverati i Sacri Monti piemontesi e lombardi. Il biografo inserì inoltre nel periodo formativo "l'amicizia del pittore Domenico Piola" che "giovolli" e da cui "bevve ottimi precetti sul modo di comporre le storie, d'aggruppar le figure, di formare putti" (ibid.). Il M., utilizzando spunti progettuali tratti dai fogli sortiti da "casa Piola", giunse a dare aspetto tridimensionale alla sigla piolesca, ricca di grazia e di elementi scenografici. Il M. assunse ben presto il ruolo di rinnovatore della tradizione lignea e di detentore del monopolio produttivo in stretto contatto con la poetica barocca divulgata dagli amici pittori e scultori in marmo, fra i quali spicca, oltre a Filippo Parodi, anche il marsigliese Pierre Puget, propagatore del linguaggio berniniano a Genova, che fu, secondo un'annotazione di Ratti, "estimatore del Maraggian" (Ratti, 1762, c. 199r).
Il 27 ag. 1682 il M. sposò Anna Maria Vaccaria, vedova Bugerio, e il 15 giugno 1684 nacque il primo di sette figli (Sanguineti, A.M. M., a cui si rimanda per i dati di seguito riportati). Nel gennaio 1688, unitamente al collega Giovanni Battista Pedevilla, mosse una supplica al Senato per ottenere l'esenzione dall'obbligo di ascrizione all'arte dei "bancalari": i due, oltre a definirsi scultori attivi da tempo, difesero il diritto all'esercizio di un'arte da loro definita come la più nobile tra le arti liberali e che non poteva essere accomunata con la tipica produzione dei mobilieri.
Evidentemente il M. doveva fare i conti con la corporazione competente per la realizzazione di veri e propri mobili, come dimostrano le fonti relative alla commissione di una console sormontata da una specchiera (1693), di intagli per un'alcova (1698-1701) e di un tabernacolo (1704). Del resto la versatilità del M. è testimoniata anche dall'esecuzione di sculture per i vascelli della Repubblica genovese e per le galee della flotta spagnola (Ratti, 1769, pp. 167, 170).
La meta dell'itinerario formativo del M. si concluse con l'apertura di uno "studio da se' in strada Giulia", dove egli "ammise discepoli" (ibid., p. 166). La presa di possesso di questa bottega, di cui il M. divenne titolare in stretta collaborazione con suoi parenti, avvenne in un momento imprecisato ma non precoce, come dimostra la documentazione relativa all'apertura di una precedente bottega, locata il 15 marzo 1700 in via dei Sellai, nei pressi della chiesa di S. Ambrogio. Da qui prese avvio un'attività frenetica che fornì alla variegata committenza, costituita da confraternite, chiese parrocchiali, ordini religiosi e famiglie aristocratiche, maestose macchine processionali ("casse"), crocifissi, sculture da altare, reliquiari, arredi, statuaria per presepi.
Datano rispettivamente al 1694 e al 1700 le prime due casse documentate: il S. Michele Arcangelo (Celle Ligure, oratorio di S. Michele) e il S. Sebastiano (Rapallo, oratorio dei Bianchi) offrono infatti i primi risultati noti, già caratterizzati da un'indiscutibile maturità scultorea, dell'invenzione delle nuove macchine, impostate su canoni di spettacolarità barocca attinti a piene mani dagli esiti dei colleghi pittori e scultori, come dimostra la serrata dipendenza dal dipinto e dalla scultura, di identico soggetto, realizzati anni prima rispettivamente da Gregorio De Ferrari (Genova, chiesa di S. Maria delle Vigne) e da Pierre Puget (Genova, basilica di Nostra Signora Assunta di Carignano). In quegli anni si può collocare anche l'esecuzione dell'Incoronazione di spine (Savona, oratorio dei Ss. Agostino e Monica, ora chiesa di S. Lucia), dove l'azione drammatica è resa attraverso linee spezzate e un netto contrasto tra la bellezza del Cristo e le maschere demoniache dei carnefici. La distrutta (ma documentata da una fotografia) Apparizione della Madonna a s. Martino (già Genova-Sampierdarena, oratorio di S. Martino), realizzata nel 1703, e la S. Consolata comunicata da Gesù (Cadepiaggio, chiesa di S. Remigio), commissionata nel 1704 dai confratelli dell'oratorio genovese intitolato alla santa, costituiscono i primi scenografici impieghi di uno "schema multiplo" dove è messo in scena il colloquio di più figure, l'una genuflessa, l'altra svettante sopra un magma di nubi. Nelle sculture raffiguranti l'Immacolata (Genova, chiesa di S. Teodoro) con S. Francesco d'Assisi e Giovanni Duns Scoto (Genova, santuario della Madonna del Monte), poste nel 1704 sull'altare maggiore della distrutta chiesa di S. Maria della Pace a Genova, il M. realizzò una suggestiva sacra rappresentazione all'insegna di un'esuberante grandiosità nel gigantismo delle proporzioni e nel vorticoso panneggio del manto mariano. Fra il 1708 e il 1709 produsse il S. Nicola di Bari (Albisola Superiore, chiesa di S. Nicolò), che incede fra gli ampi panneggi dei suoi paramenti trattenendo il pastorale, e il S. Francesco stigmatizzato (Genova, chiesa del Padre Santo), spettacolare cassa realizzata con esiti di eccellenza - basti pensare allo straordinario Cristo Serafino che incombe sul santo illanguidito dall'estasi - per l'oratorio genovese dedicato all'assisiate. A quel periodo appartengono le grandiose macchine raffiguranti la Visione di s. Giovanni Evangelista in Patmos (Ponzone d'Acqui, oratorio del Suffragio), proveniente dall'oratorio genovese dedicato al santo all'interno del complesso di S. Giovanni di Prè, e S. Antonio Abate contempla la morte di s. Paolo Eremita (Mele, oratorio di S. Antonio Abate), in origine presso l'oratorio urbano; sono questi i più alti esempi di un complesso schema che si risolve in senso spettacolare e narrativo. L'Immacolata e il S. Francesco (Genova, chiesa di S. Nicolosio), scolpiti intorno al 1710 e provenienti dall'oratorio dei Ss. Ludovico ed Elisabetta in Castelletto, rivelano nelle loro piccole dimensioni una scrittura formale raffinatissima.
Il rinnovamento delle tradizionali casse seicentesche e dei gruppi d'altare fu realizzato dal M. nel segno di un linguaggio teatrale e di una cifra stilistica in sintonia con l'interpretazione genovese, fra il grandioso e il grazioso, del barocco romano. Attraverso colte citazioni, pose ardite e forme dinamiche il M. si fece interprete di un barocco assai suggestivo: la predilezione per pose avvitate e sinuose torsioni ricorre in ogni simulacro, unitamente all'attenzione esasperata per l'ondulato disegno conferito alle pieghe dei panneggi, mai casuali ma sempre estremamente ornamentali.
La crisi linguistica, affrontata dal M. secondo Colmuto (p. 216) allo scoccare degli anni Dieci del Settecento, si deve in realtà leggere come un'accentuazione del linguaggio barocco funzionale alla richiesta di particolari iconografie: per esempio la ricerca di un'austera sacralità conferita allo spazio privato della cappella di Giacomo Squarciafico nella chiesa genovese di S. Maria delle Vigne indusse il M. a interpretare, tra il 1712 e il 1713, la compunzione di S. Giovanni Evangelista e il dolore della Madonna in chiave di concitato movimento di panni, elaborati con estese campiture spezzate improvvisamente da gonfiori ondulati. Anche la tensione con cui si affrontano S. Ambrogio e l'imperatore Teodosio, nella cassa di Legino presso Savona (chiesa di S. Ambrogio), è veicolata da gesti immediati, sguardi eloquenti, panneggi avvolgenti che creano una narrazione teatrale dell'evento.
Il secondo decennio del secolo è il più intenso di commissioni documentate: la Madonna del Rosario di Lumarzo (chiesa dei Ss. Camillo e Maria Maddalena, 1710: dispersa), il S. Erasmo di Genova-Quinto (oratorio di S. Erasmo, 1711), le Madonne del Rosario di Genova Montesignano (chiesa di S. Maria e S. Giustino, 1712) e di Celle Ligure (chiesa di S. Michele Arcangelo, 1712), l'Angelo custode di Santa Margherita Ligure (santuario di Nostra Signora della Rosa, 1713-14), un modello per una dispersa statua da tradursi in argento (1713-14), la Madonna del Carmine con s. Simone Stock di Albenga (chiesa di S. Maria in Fontibus, 1715), la Madonna Assunta di Pieve di Teco (oratorio di Nostra Signora della Ripa, 1715), la Madonna del Rosario di Varazze (chiesa di S. Domenico, 1715), il S. Francesco stigmatizzato di Chiavari (santuario di Nostra Signora dell'Orto, 1715-16) e la Madonna del Rosario della stessa città (chiesa di S. Giovanni Battista, 1718). Anche la splendida Madonna della Cintura (Genova, oratorio dei cinturati), in passato riferita a G. Bissone, è opera del M. da affiancare alla citata scultura mariana di Varazze. In quegli anni videro la luce i superbi gruppi raffiguranti la Deposizione (Genova, chiesa di Nostra Signora della Visitazione), proveniente dalla chiesa francescana di S. Maria della Pace, la Pietà della chiesa di S. Filippo Neri a Genova e Nostra Signora della Mercede con s. Pietro Nolasco della chiesa di S. Ambrogio a Genova-Voltri. Si presentano assise sopra elaborati seggi, veri e propri arredi che testimoniano la perizia nell'intaglio di sofisticati mobili, le Madonne del Rosario di Voltaggio (chiesa di Nostra Signora Assunta, 1716) e di Genova-San Desiderio (chiesa di S. Desiderio, 1720 circa - ante 1723).
Pur nell'assenza di crocifissi datati agli anni iniziali della sua attività, è assai probabile che il M. fosse giunto a una veloce emancipazione da quegli schemi magniloquenti di stampo algardiano adottati da G. Bissone, sostituendoli con una predilezione tutta personale per la figura snella, disposta sulla croce in ondulate posture e ammantata di eleganti perizomi che disegnano nell'aria ritmici e increspati svolazzi diretti dal lato opposto rispetto alla curvatura del corpo di Cristo.
La prima documentazione finora nota relativa ai crocifissi risale al 1712 e riguarda il Cristo spirante di Sori (chiesa di S. Margherita) e il Cristo morto di Carpeneto (chiesa di S. Giorgio); mentre al 1713 è documentato il Crocifisso di Bogliasco (chiesa di S. Maria) e al 1715 è databile quello dell'oratorio di Nostra Signora della Ripa a Pieve di Teco: opere dissimili per misure e finalità, ma accomunate da uno stesso linguaggio e dalla già acquisita caratterizzazione fisionomica del volto, scavato e con la bocca schiusa per il Cristo in agonia, dal naso affilato e dalle sfere oculari sporgenti per quello morto. Intorno a questo nucleo è possibile disporre altre opere che, per qualità tecnica e abilità compositiva, possono assegnarsi ai primi anni del secondo decennio del secolo: i celebri Crocifissi dell'oratorio genovese di S. Antonio Abate alla Marina e dell'oratorio di S. Giuseppe ad Albisola possiedono una modulazione virtuosistica delle membra, chiome risolte in eleganti onde, panneggi danzanti del perizoma.
Negli anni Venti il M., che da tempo aveva assistito all'introduzione a Genova di un nuovo linguaggio settecentesco, fiorito grazie alle arditezze del pittore Gregorio De Ferrari e alla circolazione fra le diverse botteghe di repertori di decori, parve infondere alle sue sculture una vaporosità tutta rocaille, ammorbidendo ancor più i volumi, rendendo calligrafici e sempre più vitali i panneggi e sovrastando le esigenze narrative tramite l'attenzione all'ornamento formale. Diventano cortese idillio le gaudiose iconografie dell'Annunciazione che, nelle casse di Savona (oratorio di S. Domenico e del Cristo Risorto) e Spotorno (oratorio della Ss. Annunziata), l'una del 1722, l'altra posteriore di qualche anno, sono risolte con effetti di arcadica teatralità tramite una Vergine che s'inchina tra le movimentate pieghe delle vesti e un angelo annunziante che giunge con un avvitato passo di danza tra un corteggio di putti paffuti.
Sono inoltre documentati in quegli anni i due Crocifissi di Sanremo (chiesa di S. Siro, 1722; santuario di Nostra Signora della Costa, 1723), il Battesimo di Cristo e il Crocifisso dell'oratorio di S. Giovanni Battista a Pieve di Teco (1723-25), il Cristo deposto di Albenga (1724), la Madonna del Rosario, le statuette raffiguranti i Ss. Antonio da Padova, Domenico, Felice da Cantalice, Giuseppe col Bambino e il S. Francesco stigmatizzato provenienti dalla chiesa genovese di S. Bernardino (Genova, convento delle clarisse cappuccine del Ss. Sacramento, 1724), la Madonna del Rosario di Viganego (chiesa di S. Siro, 1725), le due piccole sculture di S. Rocco e S. Sebastiano provenienti dalla chiesa dei Ss. Nicolò ed Erasmo a Genova-Voltri (Genova, Museo diocesano, 1726), il Crocifisso di Albisola Superiore (chiesa di S. Nicolò, 1727), l'Orazione nell'orto e il grande Crocifisso di Savona (oratorio dei Ss. Giovanni Battista, Giovanni Evangelista e Petronilla, 1727-28). Inoltre nel corso degli anni Venti si consolidarono i contatti con la committenza spagnola in virtù dei legami commerciali con la Repubblica di Genova o grazie alle mediazioni di genovesi residenti in Spagna: il M., che secondo Ratti inviò suoi lavori "fino in ambedue le Americhe" (1769, p. 171), ebbe grande fortuna in terra spagnola grazie all'arrivo delle sculture raffiguranti S. Teresa d'Avila (Santa Cruz de Tenerife, chiesa di Nostra Signora della Concezione, 1722) e S. Caterina d'Alessandria, dispersa, della Vergine di Portacoeli (Cadice, chiesa di Nostra Signora del Carmine), delle statue dei Ss. Francesco e Gerolamo (Cadice, chiesa di S. Lorenzo), della Madonna Immacolata (Sanlúcar de Barrameda presso Cadice, convento delle carmelitane scalze), del S. Raffaele Arcangelo (Cadice, chiesa dell'ospedale di S. Juan de Dios, 1726), della Madonna degli angeli (Puente Genil presso Cordova, chiesa dell'ospedale) e del Crocifisso (San Fernando presso Cadice, chiesa di Nostra Signora del Carmine, 1733).
La tenuta linguistica delle numerose opere realizzate in questi anni può essere diversificata in base ai gradi di intervento del M., che restava sempre il titolare delle commissioni pur avendo ormai impostato un lavoro d'équipe. In genere questa prassi diede corso a una produzione di bottega dai tratti più semplificati e dai caratteri piuttosto stereotipati: per esempio il gruppo raffigurante Nostra Signora di Caravaggio con s. Giovannina di Velva (chiesa di S. Martino), commissionato al M. nel 1720-21, fu eseguito da collaboratori, come il S. Martino e il povero di Chiavari (frazione Maxena, chiesa di S. Martino), realizzato nel 1727.
Invece, nella Madonna del Carmine di Castellazzo Bormida (chiesa di S. Carlo), dei primi anni Venti, e nelle sculture destinate ad arredare i saloni delle dimore nobiliari, come le Allegorie Spinola conservate presso il Museo di S. Agostino a Genova (Il Tempo) e il palazzo del principe Domenico Pallavicino (La Gloria, La Verità), firmate e datate 1730, il M. adottò un linguaggio di aulica ponderatezza per conformarsi all'originaria laccatura bianca nel gioco della simulazione della materia marmorea.
Nel corso degli anni Trenta accanto alla creazione di opere ancora condotte per la maggior parte dal maestro, come la Madonna del Carmine con s. Simone Stock (Pieve di Teco, collegiata di S. Giovanni Battista, 1730), il Martirio di s. Caterina d'Alessandria (Sestri Levante, chiesa di S. Pietro in Vincoli, 1730), il Crocifisso di S. Michele di Pagana (chiesa di S. Michele, 1738) e le Tentazioni di s. Antonio Abate (Chiavari, santuario di Nostra Signora dell'Orto, 1735 circa), aumentarono i lavori a lui commissionati, ma eseguiti in gran parte dagli allievi, come la Pietà (Genova, santuario della Madonnetta, 1731-32), la Ss. Trinità (Lavagna, oratorio della Ss. Trinità, 1733), la Madonna del Rosario (Bogliasco, chiesa di S. Maria, 1735) e il Crocifisso (Bergeggi, chiesa di S. Martino, 1737). In questi anni il M., con i collaboratori di bottega, realizzò due grandiose rappresentazioni, assai complesse per il numero delle figure. Il S. Pasquale adora il Ss. Sacramento (1735), nella cappella del transetto sinistro nella chiesa della Ss. Annunziata del Vastato a Genova, è uno spettacolare "quadro di scultura" dove il santo, calato in un paesaggio bucolico dipinto sulle pareti della nicchia, assiste al vorticoso tripudio di putti e fluttuanti arcangeli che esibiscono, inondati dalla luce naturale della lanterna soprastante, il Sacramento eucaristico. Una seconda apparizione devota fu eseguita, tra il 1735 e il 1737, nell'abside del santuario di Nostra Signora della Costa a San Remo, dove il M. creò un sontuoso apparato intorno alla preziosa tavola mariana della cerchia di Barnaba da Modena, centro verso il quale fece convergere gli sguardi e i gesti dei Ss. Giuseppe, Gioacchino e Anna in un "bel composto" di ispirazione berniniana simulante la materia marmorea.
Nei contratti di commissione di due gruppi datati agli ultimi anni di vita, il S. Antonio da Padova riceve Gesù Bambino dalla Madonna proveniente dall'oratorio genovese della Ss. Annunziata (Rossiglione Superiore, chiesa di S. Caterina, 1737) e l'Annunciazione di Ovada (oratorio della Ss. Annunziata, 1738), il M. fornì il "modello", ossia un bozzetto in terracotta e cartapesta - si conosce fino a ora un solo bozzetto raffigurante S. Ambrogio in adorazione della ss. Trinità (Genova-Fegino, chiesa di S. Ambrogio) - e lasciò la completa esecuzione a due validi collaboratori. Del resto alla committenza, certo consapevole dell'età avanzata del M., importava il prestigioso imprimatur fornito all'opera dal M. che, come è specificato nel contratto per la macchina ovadese, poteva avvalersi a sua scelta di un altro artefice. In quest'ultimo gruppo i panneggi disposti in piegature cuneiformi, i visi tondi carpiti dai modelli classici, le posture pacate costituiscono le avvisaglie dell'evoluzione in chiave accademica della statuaria lignea dei maraglianeschi di nuova generazione.
Il 7 marzo 1739 il M. morì a Genova e trovò sepoltura nella chiesa francescana di S. Maria della Pace, distrutta nell'Ottocento.
Dall'analisi della ricchissima produzione del M., che veniva affidata per la stesura della policromia a coloritori e doratori specializzati tutelati da apposite corporazioni, si può facilmente dedurre la complessità di una bottega che fu incalzata da continue commissioni e che rappresentò un polo di attrazione per i giovani inclini alla statuaria lignea, come Pietro e Francesco Galleano. La bottega, in particolare, rappresentò un'allettante possibilità occupazionale per molti congiunti: così fu per Giacomo Filippo, fratello del M., nato nel 1673, per Bartolomeo, impegnato nel 1705 con il M. nella creazione di modelli lignei, e per Domenico, che nel 1717 fornì a un argentiere il modello per realizzare il busto di un santo. Un altro Bartolomeo risulta esecutore, nel 1773, del Crocifisso ancora conservato nell'oratorio del Rosario presso la parrocchiale di Genova-Cremeno (per queste notizie: Sanguineti, Il paradiso…, p. 114). Probabilmente gli allievi più meritevoli, soprattutto se imparentati con il M., potevano trattenersi in bottega oltre il raggiungimento dell'emancipazione: è questo il caso dei nipoti Agostino Storace e Giovanni Maragliano, che ereditarono la bottega di strada Giulia e iniziarono a comparire nei documenti solo in seguito alla morte del Maragliano. Giovanni, figlio di Giacomo Filippo, nacque nel 1710; secondo la sua testimonianza diretta era trentasettenne al processo per la partecipazione all'insurrezione genovese antiaustriaca del 1747. Nella stessa occasione affermò di essere scultore, di avere bottega in strada Giulia - ereditata dunque dal M. - e di abitare nell'attiguo vicolo degli Schiavi. Sembrerebbe confutata dunque la nascita al 1701 ricordata da Cervetto (in Sanguineti, Scultura lignea genovese…, p. 63 n. 43). È Giovanni probabilmente l'autore del rilievo, pagato nel 1740 a un "Maraggiano", raffigurante la Madonna con Gesù Bambino collocato nel coro della parrocchiale di Bogliasco. La documentazione fino a ora rinvenuta ha consentito di assegnargli la Madonna del Rosario della parrocchiale di Vallecrosia Alta (1744), la Madonna del Rosario della parrocchiale di Rialto (1752), i Crocifissi della cappella del seminario di Albenga e della chiesa di Rialto (1756), l'Immacolata della chiesa dei cappuccini a Sestri Levante (1757-58) e l'Annunciazione della chiesa di S. Pietro a Noli (1762). Queste opere, caratterizzate da volti allungati e panni roboanti, sono il risultato di un processo di elegante stilizzazione del codice maraglianesco. Il costante riferirsi allo stile del M. è esemplificato dal "riadattamento" che Giovanni eseguì nel 1767 di una scultura mariana, oggi dispersa, eseguita dal M. nel 1736 per l'oratorio del Rosario presso la chiesa di S. Maria di Castello a Genova. Il documento rinvenuto nell'archivio della chiesa di S. Martino a Velva, relativo all'Immacolata tuttora custodita in loco, permette di confermare la data di morte di Giovanni al 1777 e l'intervento di Pietro Conforti per ultimare l'opera. Altre sculture possono riferirsi a Giovanni per via stilistica, fra le quali la grande Immacolata dell'oratorio di S. Maria della Foce a Cassana, nella quale si avvalse come modello della scultura realizzata dal M. per l'altare della chiesa di S. Maria della Pace a Genova (Sanguineti, Scultura lignea genovese…, pp. 64-67, e Id., Il paradiso…, pp. 114 s.). Giovanni Battista, secondo figlio maschio del M., fu allievo diretto del padre e fu ricordato da Ratti (1762, c. 154r; 1769, p. 172). L'assenza quasi assoluta di documentazione in Liguria porta a dar credito al racconto del biografo secondo il quale Giovanni Battista decise di trasferirsi a Cadice, "ove molte fe' opere e con decoro vi visse", per poi stabilirsi a Lisbona, dove aprì una bottega e sposò una ricca vedova portoghese. Sempre secondo il biografo, fu ucciso, ancora molto giovane, dai suoi allievi avidi di denaro. La scelta di trasferirsi in Spagna può essere motivata dalla scoperta di una piazza molto ricettiva e dalla presenza di una colonia di artisti genovesi (Sánchez Peña). Ratti gli attribuì alcuni busti di santi, non rintracciati, nella chiesa dei padri serviti a Genova. Finora è certa una sola sua opera, il Crocifisso, dal linguaggio minuto e dall'anatomia calibrata e composta, realizzato nel 1714 per la confraternita di S. Chiara a Bogliasco. Sulla base di questo confronto possono essergli assegnati i Crocifissi della chiesa maggiore di El Puerto de S. Maria (Cadice) e della chiesa di S. Rita a La Spezia (Sanguineti, Il paradiso…, p. 115; Sánchez Peña, pp. 161 s.).
Fonti e Bibl.: Genova, Arch. stor. del Comune, Mss., 44: C.G. Ratti, Storia de' pittori, scultori et architetti liguri e de' foresti che in Genova operarono… (1762), cc. 151-154, 199r; Id., Delle vite de' pittori, scultori ed architetti genovesi…, Genova 1769, pp. 165-173; G. Colmuto, L'arte del legno in Liguria: A.M. M. (1664-1739), in Fonti e studi di storia ecclesiastica, Genova 1963, pp. 193-243; G.V. Boido, Liguri illustri: A.M. M., in La Berio, I (1972), pp. 37-43; D. Sanguineti, A.M. M., Genova 1998; Id., Scultura lignea genovese: i fratelli Galleano, Giovanni Maragliano e gli altri, in Antologia di belle arti, 1998, nn. 55-58, pp. 52-67; A. Boni, Il beato Giovanni Duns Scoto nell'arte di A.M. M., Genova 2003; D. Sanguineti, Le sculture da processione di A.M. M. per le confraternite di Genova, in Confraternite genovesi all'alba del terzo millennio, a cura di L. Venzano, Genova 2004, pp. 58-69; F. Franchini Guelfi, S. Bartolomeo di Viganego. Un oratorio rurale nell'entroterra genovese, ibid., pp. 48-57; F. Baini, La chiesa di Albignano d'Adda, gioiello settecentesco, in Ricerche storiche sulla chiesa ambrosiana, XXIII (2005), pp. 451-478; D. Sanguineti, Il paradiso secondo M. in cinque macchine processionali. M. e maraglianeschi, in Han tutta l'aria di Paradiso. Gruppi processionali di A.M. M. tra Genova e Ovada (catal., Ovada), a cura di F. Cervini - D. Sanguineti, Torino 2005, pp. 11-32, 111-120; Id., La scultura lignea, in L'Annunziata del Vastato a Genova. Arte e restauro, a cura di G. Rossini, Venezia 2005, pp. 138-145; Id., in La chiesa parrocchiale di S. Michele di Pagana, a cura di A. Acordon - M. Bolioli, Genova 2005, pp. 112s., scheda n. 8; J.M. Sánchez Peña, Escultura genovesa. Artífices del Setecientos en Cádiz, Cádiz 2006, pp. 97-107; D. Sanguineti, Qualche nota su M. e maraglianeschi nell'Alessandrino, in Uno spazio storico: committenze, istituzioni e luoghi del Piemonte meridionale, a cura di G. Spione - A. Torre, Torino 2007, pp. 181-194; U. Thieme - F. Becker, Künstlerlexikon, XXIV, pp. 49 s.