MORO, Anton Lazzaro
– Nacque a San Vito del Friuli (oggi San Vito al Tagliamento) il 16 marzo 1687 da Bernardino e da Felicita Mauro, in una famiglia di modeste condizioni.
I primi studi dovettero avere natura saltuaria e irregolare, passando sotto la cura di diversi insegnanti, non sempre all’altezza del compito, né particolarmente aggiornati. L’ingresso verso i 15 anni nel seminario vescovile di Portogruaro pose fine a tale precarietà formativa. L’ampiezza e la solidità complessive della sua cultura umanistica si sarebbe rivelata non spregevole e di ottimo livello la sua formazione in campo musicale. Non è chiaro se l’introduzione agli studi fisico-naturalistici fu la conseguenza della presenza in seminario di qualche insegnante particolarmente competente e ben addentro alle novità scientifiche, oppure il frutto di un interesse portato avanti da autodidatta: comunque la sua preparazione nella filosofia naturale fu accurata e documentata su quanto di nuovo si andava affermando in tali ambiti disciplinari.
Intorno al 1710 venne ordinato sacerdote e per qualche tempo operò nel paese natale: certamente per l’approfondita conoscenza della lingua francese ottenne la direzione spirituale della casa di religiose di s. Francesco di Sales che nel 1708 si erano portate a San Vito dal monastero dell’Ordine della visitazione di Annecy in Savoia, appositamente chiamate dalla podestaria per erigere un monastero-educandato femminile in grado di provvedere alla cura dell’educazione delle giovani del luogo. Pochi anni dopo, nel 1713, gli venne attribuito l’incarico di maestro di cappella a San Vito, carica per la quale aveva espressamente presentato una supplica il 23 aprile 1712. Probabilmente a causa della conoscenza diretta di Moro, nel 1719 il vescovo Antonio Polcenigo lo chiamò a ricoprire la cattedra di retorica del seminario di Feltre; nel 1721 assunse pure il ruolo di rettore passando contemporaneamente a ricoprire la cattedra di filosofia. In quella veste dovette riformare e rinnovare l’organizzazione degli studi del seminario. I suoi metodi di insegnamento dovevano essere particolarmente innovativi, fondati forse sulla logica di Port-Royal, sull’antideduttivismo e probabilmente molto attenti al metodo lockiano-newtoniano, dato che richiamarono le critiche del clero più conservatore di Feltre. Anche successivamente le esperienze pedagogiche di cui Moro fu protagonista e organizzatore suscitarono l’avversione degli ambienti più tradizionalisti a causa delle eccessive novità metodologiche o contenutistiche di cui egli era fautore.
Rimase alla direzione del seminario feltrino sino al 1724 quando, con la morte di Polcenigo, perse l’autorevole protezione che lo aveva sostenuto contro i suoi avversari. Rientrato a San Vito, nello stesso anno accettò l’offerta fattagli dal vescovo di Concordia Giacomo Maria Erizzo di assumere la direzione della cappella musicale della cattedrale di Portogruaro, incarico prestigioso, concesso tuttavia per occupare Moro in un ufficio che non desse adito a nuove polemiche, facendo decantare la situazione. Svolse il compito con impegno e per la cappella scrisse anche diverse composizioni di musica sacra, ricoprendo pure per qualche tempo il ruolo di esaminatore dei confessori. A fianco di tali incarichi, dal 1726 aprì e diresse sempre a Portogruaro un collegio privato dedicato all’educazione primaria di diversi giovanissimi, ospitato nel palazzo dei conti Sbroiavacca. L’esperienza proseguì per pochi anni e non è dato sapere nello specifico il motivo dell’interruzione: nel 1729 Moro si trovava nuovamente a San Vito e diede l’avvio a un altro collegio-convitto, che, nel corso dei decenni seguenti, avrebbe richiamato i rampolli di alcune prestigiose famiglie non solo friulane ma provenienti anche da Venezia e persino da Bari. Fu quella una tappa fondamentale della sua esistenza alla quale dedicò, al pari degli studi naturalistici, ogni suo sforzo e pensiero e che lo impegnò giorno dopo giorno per 29 anni («quotidiane ed affollate mie occupazioni» le definiva nel 1740, in Carteggio, 1993, p. 42).
Alla fine dell’esistenza, egli stesso menava vanto di quelle sue diuturne fatiche educative, ricordando nel 1762 che aveva «dato a vedere cosa possa fare un pover’uomo destituito di averi e protezioni, e sempre bersagliato da’ malignanti» (ibid., p. 163) in materia di educazione, formazione e crescita culturale di diversi allievi. Rivendicazione brusca e succinta di un successo pedagogico di cui andava orgoglioso: «nel corso di non molti anni, di un numero non molto grande di convittori mi è riuscito di fare mezza dozzina di allievi che ormai giunti sono a farsi onore fra’ letterati colla stampa delle loro opere mandate alla luce», scriveva nel 1752 (ibid., p. 130). Tra gli allievi cresciuti alla sua scuola e ai suoi metodi vanno ricordate alcune personalità quali Federigo Altan, Bartolomeo Sabbionato, Girolamo e Giuseppe De Renaldis.
Con l’estrema dedizione al suo esperimento pedagogico e con gli scritti ai quali si dedicò soprattutto in materia di studi naturalistici cercava di dare un senso all’isolamento in cui si era trovato per gran parte della vita, una sorta di esilio, «questo estremo canton d’Italia, dov’io dimoro» scriveva il 3 agosto 1739 da San Vito riassumendo la sua condizione di marginalità (ibid., p. 30), lontano da università, da ogni centro culturale di qualche rilievo, privo di biblioteche, di contatti e di un colloquio diretti con scienziati e intellettuali, limiti ai quali cercò di rimediare intessendo dialoghi epistolari con alcuni protagonisti della scena culturale quali Scipione Maffei, Giovanni Lami, il medico Giovanni Bianchi, il botanico Johann Balthasar Ehrhart, Jacopo Stellini.
Intanto andava raccogliendo materiale sulla geologia e sulla scottante questione dei fossili marini. Sebbene si considerasse isolato, non per questo era estraneo a quanto si andava discutendo sull’argomento in Europa. Nel corso degli anni ebbe modo di fare escursioni naturalistiche su taluni monti friulani, come i colli di Cavassio e Fanna, la cui composizione e conformazione geologica gli offrirono argomenti sui quali riflettere. I primi frutti di questi studi furono dati alle stampe nel 1737 nella dissertazione Dell’origine de’ crostacei, dedicata al conte Carlo Maria Polcenigo, che lo aveva spinto ad addentrarsi nell’argomento. Moro vi affrontava un tema dibattutissimo, che sarebbe diventato il nucleo della sua opera principale edita pochi anni dopo, cioè la natura e la formazione dei fossili marini e della struttura geologica della Terra.
Nel Dell’origine, pur basandosi sul testo biblico (il diluvio universale), Moro cerca di sgomberare il campo da ogni ricorso a ipotesi miracolistiche per spiegare l’esistenza di fossili marini intrappolati nelle pietre delle montagne e fonda le sue ragioni tentando di fare esclusivo ricorso alle spiegazioni naturali. L’impostazione dell’opera suscitò le riflessioni critiche del medico Giuseppe Antonio Pujati, che rimproverò Moro di essersi troppo basato sul testo sacro, obiezioni che lo aiutarono a maturare. Infatti affrontò con ben altra ampiezza e con maggiore determinazione il tema nel trattato suddiviso in due libri De’ crostacei e degli altri marini corpi che si truovano su’ monti, edito a Venezia per i tipi di Stefano Monti nel 1740. Adottando uno stile e un linguaggio semplici e rigorosi, nella prima parte dell’opera esamina la distribuzione geografica e la dislocazione stratigrafica dei fossili e, in particolare, contesta in una dettagliata analisi le teorie nettuniste sull’origine della Terra espresse soprattutto da Thomas Burnet e John Woodward, in quanto fondate su presupposti non scientifici. Rifiuta l’ipotesi che il mare possa aver ricoperto le montagne più alte e che il diluvio universale possa spiegare la formazione dei fossili di origine marina. Aderendo strettamente al metodo galileiano-newtoniano e rifacendosi all’opera di Antonio Vallisnieri, considerato uno dei suoi maestri insieme con Newton, nella seconda parte spiega le sue ipotesi basandosi sulla stabilità, costanza e uniformità delle leggi naturali: nessuna interpretazione può essere considerata vera se si opponga alle «chiare e innegabili verità della fisica o della matematica». Riprendendo le medesime parole dell’assioma enunciato da Newton, Moro osserva che gli effetti di un fenomeno discendono da identiche cause, spingendolo su posizioni che si basano sul principio dell’uniformismo o attualismo, come sarebbe stato definito dopo James Hutton, che è a fondamento della moderna geologia e in base al quale i processi naturali in atto oggi sono gli stessi che hanno operato nel passato.
Su questa base, prendendo spunto dall’improvvisa apparizione nel 1707 di una nuova isola ricca di crostacei fossili nei pressi di Santorini, e da altri fenomeni simili registrati nel corso della storia, Moro avanza l’ipotesi che isole e montagne composte da una sola sostanza pietrosa abbiano origine ignea e vulcanica, si siano cioè sollevate direttamente dal livello del mare attraverso l’azione del calore nelle eruzioni vulcaniche. Influenzato dall’Histoire physique de la mer di Luigi Ferdinando Marsili (1724), sostiene una teoria litogenetica che distingue i sistemi montuosi in primari (montagne rocciose), prodotti dall’eruzione, e in secondari, composti di strati e formatisi per sovrapposizioni di materiale eruttato dalle montagne primarie; le altre tipologie di elevazioni montuose hanno avuto origine in tempi più recenti essendo costituite da materiale di riporto. Le eruzioni vulcaniche sono state separate da lunghi intervalli temporali, durante i quali sono avvenuti profondi cambiamenti nelle forme di vita biologica presenti sulla Terra, fatto che spiega la presenza o l’assenza di crostacei nei differenti strati delle montagne. Per Moro «anche la vita biologica dipende da condizioni fisiche e agenti naturali», dalle modificazioni intervenute nel globo terrestre (Morello, 1979, pp. 136 s.). Dai presupposti illustrati da Moro derivarono, per conoscenza diretta o per via autonoma, le classificazioni successive delle rocce in tre tipi (primarie, secondarie, terziarie).
L’opera di Moro incontrò qualche successo soprattutto in Inghilterra e comunque suscitò l’interesse di studiosi e periodici eruditi che la recensirono, a partire dagli Acta eruditorum di Lipsia. Nel 1751 fu edita a Lipsia una traduzione tedesca con il titolo Neue Untersuchung der Veränderungen des Erdbodens. Nach Anleitung der Spuren von Meerthieren, und Meergewächsen, die auf Bergen und in trockener Erde gefunden wurden. Altra traduzione, a opera di un non meglio precisato «zelante ricercatore della sincerità filosofica» fu data alle stampe a Brema nel 1765 per i tipi di Johann Heinrich Cramer. Critiche scientifiche più o meno ampie alle teorie di Moro avanzarono Balthasar Ehrhard e Philip Henry Zollman (in The philosophical transactions of the Royal Society, XLIV [1746-47], pp. 163-166). Con argomentazioni di carattere religioso, una feroce contestazione all’impostazione antidiluviana di Moro venne dall’avvocato e poligrafo Giuseppe Costantini nelle Lettere critiche, giocose, morali, erudite pubblicate a Venezia nel 1747 sotto lo pseudonimo di Agostino Santi Pupieni. Moro rispose all’attacco con una Lettera... all’illustrissimo signor Agostino Santi Pupieni (s.n.t. ma datata [Venezia], 16 aprile 1747), mentre Costantini riaffrontò la questione nel volume La verità del diluvio universale vindicata dai dubbi e dimostrata nelle sue testimonianze (Venezia 1747), che nella prima parte attaccava Vallisnieri e nella seconda si volgeva ancora contro le argomentazione di Moro. Queste ultime vennero invece positivamente illustrate dal carmelitano Giuseppe Cirillo Generelli in una dissertazione presentata in un’accademia cremonese e poi data alle stampe (De’ crostacei e delle altre produzioni marine, che sono ne’ monti, Milano 1757), ma le argomentazioni da lui adottate non incontrarono il favore di Moro, che, ribadendo la sua fedeltà metodologica, rifiutava il ricorso a spiegazioni non scientifiche: «ei dovea seguitar i mie passi per la regia strada delle osservazioni de’ fatti storici, e non mescolare sacra profanis. Entrando con questa quistione fisica nel Sacrario, egli si è imbarazzato in un laberinto da non isbrigarsene mai» (Carteggio, 1993, p. 151). Le idee di Moro furono riprese alcuni anni dopo dall’abate cassinese Vito Maria Amico nella sua Lettera... all’eruditissimo Signor Prevosto Anton Francesco Gori intorno a’ testacei montani, che in Sicilia, ed altrove si trovano con un saggio della opinione di A.L. M. su l’origine de’ medesimi edita nel volume VIII degli Opuscoli di autori siciliani (Palermo 1764). Infine, nel 1767 Edward King espose davanti alla Royal Society una teoria dei sollevamenti sismo-vulcanici dei fondali marini assai simile a quella illustrata da Moro, ma solo in conclusione fece qualche cenno allo studioso friulano e alla sua opera, ricordando di esserne venuto a conoscenza solo dopo aver concluso la propria. Lo stesso James Hutton, maggiore sostenitore della teoria plutonista e fondatore della moderna geologia, sembra aver ripreso idee e spunti dall’opera d Moro, conosciuta e apprezzata peraltro anche da Charles Lyell.
Nel 1749 Moro diede alle stampe a Padova l’operetta di erudizione dell’ex allievo Federigo Altan Lettera... contenente la spiegazione di un celebre battesimale geroglifico, ed alcuni inediti documenti sopra le cerimonie del Battesimo (Padova 1749). Indirizzandola all’«eruditissimo» Scipione Maffei che si era dedicato nel 1747 allo stesso argomento, subito dopo aveva scritto una corposa lettera sui fenomeni dell’elettricità, un tema che andava suscitando vivissimo interesse in Europa tra quanti si occupavano di fisica e nel grande pubblico (Lettera o sia dissertazione sopra la calata de’ fulmini dalle nuvole, Venezia 1750).
In più occasioni Moro apportò miglioramenti e riforme all’organizzazione delle scuole da lui guidate e al suo sistema educativo. Nel 1750 aveva dato alle stampe «un nuovo Metodo per l’educazione de’ giovanetti», giudicato da chi l’aveva letto «l’ottimo fra quanti metodi ci sono a nostra notizia» (Carteggio, 1993, p. 114); ancora negli ultimi mesi prima della morte continuava a ipotizzare la riapertura di un nuovo collegio e nuovi criteri per insegnare grammatica, retorica, cosmografia, matematica, geografia, storia, catechismo (Zecchini, 1865, p. 20).
Una sua pubblicazione in latino incentrata sul tema della riforma del Breviario romano, apparsa nel 1743 e oggi dispersa, suscitò qualche contrarietà in Benedetto XIV, al quale Moro aveva provveduto a farne recapitare una copia in omaggio. In data imprecisata diede alle stampe anonimo l’opuscolo Ministro della Messa privata. Tra i suoi manoscritti figuravano anche meditazioni di carattere biblico (Sopra la storia del patriarca Giuseppe) e alcuni discorsi o prediche Sulla passione di Gesù Cristo. Altre dissertazioni scrisse in epoca non meglio precisabile su differenti argomenti: connessa ai suoi studi geologici è quella sulla Salinità delle acque marine (edita postuma a Portogruaro nel 1865). Negli anni Cinquanta lavorò ad alcune opere, destinate a rimanere tutte manoscritte, in parte legate alla sua attività ecclesiastica: uno scritto di morale (Sviluppo dell’inviluppata quistione intorno all’usura), un altro sui santi pressoché pronto per la stampa (Libro sopra il culto dei santi) e un trattato scritto in forma epistolare sul medesimo argomento (Dialoghi sopra il culto de’ santi, e delle loro imagini). Raccolse un notevole dossier di «lettere critiche di uomini dotti» sugli argomenti sollevati dalla sua opera De’ crostacei accompagnate «con le mie Risposte apologetiche», materiale che doveva costituire «una notabile aggiunta» a quel volume in previsione di una nuova edizione (Carteggio, 1993, p. 116).
Gli intrighi e i dissapori che non cessarono di accompagnare l’esistenza del suo collegio, le continue critiche dirette al suo modo di insegnare insieme con alcuni problemi di natura economica resero nel tempo sempre più difficile mantenere in vita le scuole da lui dirette: nel 1754 gli venne richiesto di liberare il palazzo dei conti Valvasoni di Maniago, dove aveva trovato ospitalità il collegio, e nel 1758 dovette procedere alla sua chiusura definitiva.
Privo di altre occupazioni, nell’ottobre 1759 accettò l’offerta pervenutagli dalla Comunità di Corbolone, che vantava un giuspatronato sulla pieve omonima, andando ad assumere la cura spirituale di quel luogo. L’impegno richiesto nelle attività pastorali era notevole e assorbente ma il compenso assai modesto: menava vita stentatissima cosicché si diede pure all’agronomia e all’agricoltura pratica mettendo a coltura alcuni campi a sua disposizione per integrare le magre entrate.
Prima del 1761 pubblicò l’opera Elementi grammaticali secondo il nuovo metodo detto di Portoreale, di cui oggi non si sembra conservarsi altra traccia: il riferimento del titolo al sistema di insegnamento e agli schemi logico-grammaticali praticati in ambito portorealista sembrerebbe testimoniare una vicinanza di Moro al giansenismo, allo stato presunta ma non altrimenti documentata (Piutti, 1988, p. 42).
Quella di Corbolone fu comunque una sistemazione precaria e almeno dall’inizio del 1762 Moro cercò appoggi tra le famiglie aristocratiche e alcuni facoltosi ex allievi nel tentativo di porre termine a quell’esperienza e di ottenere una cattedra in fisica, o per dir meglio in fisiologia, nell’Università di Padova. Per questo motivo almeno dal settembre dell’anno precedente aveva ripreso a lavorare al trattato manoscritto Saggio d’un nuovo sistema di fisica fisicamente trattata, «laboriosa ricerca» in cui scopriva «innumerabili verità, alle quali fin da presso accostati si sono i più insigni moderni filosofi: ma ne hanno lasciata intatta l’ultima immediata cortina che coperte le tiene», com’era pure il caso del grande Boerhaave (Carteggio, 1993, p. 157). Tramontata l’ipotesi della cattedra, valutò la possibilità di ottenere almeno il possesso di un beneficio ecclesiastico più consistente, ma le sue angustie erano tali che non poteva neppure affrontare le spese preliminari necessarie. Nel dicembre 1762 lasciò a ogni modo Corbolone per assumere l’incarico di curare l’istruzione di tre nipoti del vescovo di Pola, Giovanni Andrea Balbi: ma lì Moro si fermò solo pochi mesi per problemi connessi alla salute. Ritornò quindi ancora una volta nel suo paese natale.
Morì il 3 aprile 1764 a San Vito in assoluta povertà e il suo funerale dovette essere interamente pagato attingendo alle elemosine, mentre due dei sacerdoti celebranti rinunciarono alla solita sportula.
Di Moro sono edite modernamente le opere: Sulla salinità delle acque marine, Portogruaro 1865; Lettere inedite a mons. Girolamo co. de’ Renaldis, a cura di G. Groppero, Udine 1886; De’ crostacei e degli altri marini corpi che si trovano su’ monti, ed. anast dell’ed. 1740, con una premessa di G. Piccoli e un’appendice di addenda inediti, Bologna 1987; Epistolario con bibliografia critica, catalogo dei manoscritti e tre opere inedite, a cura di P.G. Sclippa, Pordenone 1987; Carteggio (1735-1764), a cura di M. Baldini et al., Firenze 1993.
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