BRAGAGLIA, Anton Giulio
Nacque a Frosinone l'11 febbr. 1890 da Francesco, poeta vernacolo e direttore artistico della Cines, e da Maria Tassi. Dal padre, estroso e mordace, e dalla madre, tenacemente legata al culto dell'antenato Ennio Quirino Visconti, egli ereditò una doppia natura, come uomo di teatro inquieto e incline agli estremismi e come ricercatore diligente e minuzioso. Iniziati gli studi nel 1897 a Sessa Aurunca presso lo zio paterno Albino, un prelato professore di filosofia e matematica, li proseguì dal 1899 al 1906 nei collegi degli scolopi di Alatri e dei barnabiti di Roma. Nel 1906, presso la Cines, fu aiutoregista nella produzione di comiche finali; dal 1910 collaborò in materia artistica a vari periodici e quotidiani (il 18 giugno 1913 su La Stampa di Torino scrisse l'articolo Le scoperte archeologiche presso le Terme Antoniniane)e nel 1915 pubblicò a Roma Nuova archeologia romana.
Il periodo di formazione del B. fu caratterizzato da letture e da viaggi all'estero, soprattutto in Germania: tutto quanto aveva il sapore di una misteriosa lontananza lo attraeva irresistibilmente, per cui i suoi interessi si realizzarono nella direzione dell'esplorazione del mondo classico con le sue reliquie (per esempio le "mecanài" del teatro greco) e, parallelamente, in quella delle sperimentazioni "movimentiste", specialmente nel campo della fotodinamica. Fu annotatore del passato da una parte, teorico e realizzatore dall'altra. Lesse i classici fantasticandone le scenografie e sentì in L. Ariosto ed E. Arteaga gli "antenati del cine".
Il movimento futurista lo annoverò tra i primi adepti: l'inizio del suo noviziato di studioso d'archeologia coincise con quello delle ricerche fotografiche, analizzate in Fotodinamismo futurista (Roma 1911).
Egli intese liberare la fotografia dalla fissità dell'istantanea: pertanto, dato per scontato il suo debito nei confronti degli esperimenti di E.-J. Marey e del pensiero di H.-L. Bergson, volle ricostruire la traiettoria del gesto, non nel senso della cronofotografia che crea le istantanee, o del cinema che sintetizza il movimento, ma con l'intento di trasmettere all'osservatore la sensazione del movimento. Quanto agli obiettivi della sua ricerca, ribadì che questa si sarebbe dimostrata utile agli artisti, perché avrebbe fornito loro gli elementi per una rappresentazione dinamica del reale (sono significative, tra le "fotodinamiche" che corredano il suo opuscolo e che definì "percepite" in velocità, come da chi passa in auto, Uomo che cammina,Giovane che si dondola,Un gesto del capo che è una "autofotodinamica" e Ritratto polifisionomico del poeta futurista Luciano Folgore).
Più tardi, in Evoluzione del mimo (Milano 1930), affermerà che questi esperimenti furono utilizzati nel 1916 nei tre film girati per la Casa Novissima di E. De Medio, nel teatro di posa di porta del Popolo a Roma, precorrendo l'esperienza cinematografica espressionista tedesca. Il primo della brevissima serie, Il mio cadavere, tratto da un romanzo di P. Mastrilli, fu interpretato da Nello Carotenuto e da Ida Querio: tipico film dell'orrore, è quello che più si apparenta al futuro Il gabinetto del dottor Caligari di R. Wiene, e subì l'intervento massiccio della censura; seguì Perfido incanto, su soggetto del B. e di E. De Medio che, da uno spunto demoniaco, svolgeva la consueta, compiaciuta rappresentazione di una certa società cinica e decadente, delizia degli spettatori del tempo.
Questo "dramma di moderna magia", che J. Comin definì "il primo film d'avanguardia che sia apparso nel mondo", si avvalse della scenografia del pittore futurista E. Prampolini e dell'interpretazione, oltre che del Carotenuto, di due attrici non dive, entrambe russe, Thaïs Galitzky nella parte della maga Circe e Ileana Leonidov; gli effetti ottici furono ottenuti con obiettivi di diverso tipo e con specchi concavi e convessi; tali trucchi fotografici, divenuti in seguito usuali per ottenere una scenografia astratta e un clima da incubo, anticiparono le ricerche promosse dal B. per le "sintesi visive" o "sinopsie" che approdarono al Manifesto delle trasposizioni visive della musica ideato nel 1919 con S. A. Luciani e il musicista futurista F. Casavola: la "sinopsia" vi è definita come "la relazione scenica dell'idea dominante ed essenziale di un brano di musica", per cui la visione non deve seguire lo sviluppo musicale, ma "sintetizzare mediante forme, luci, colori, lo stato d'animo che la musica ha già determinato nell'ascoltatore", e vi è esemplificata attraverso il Preludio n. 20 in do minore di F. Chopin, che potrebbe essere tradotto con "una fuga di arcate potenti viste in una luce tragica, la prima arcata enorme, in primo piano, le altre in prospettiva, decrescenti" (C. d'Errico ne sentirà l'influenza filmando La gazza ladra di G. Rossini).
Il terzo film, ispirato ad A. France, s'intitolò Thaïs e fu interpretato dalla Galitzky, dalla Leonidov e da Alberto Casanova. Due anni più tardi L. Pirandello gli propose di portare sullo schermo il proprio romanzo Si gira! con Pina Menichelli protagonista, osservando che il film sarebbe potuto riuscire originalissimo, come "cinematografa nel cinematografo"; ma il contatto, documentato da una lettera del 25 gennaio 1918 al B., redattore capo de Ilfronte interno di Roma, non ebbe seguito.
Nell'articolo L'arcoscenico del mio cinematografo, inserito in Evoluzione del mimo, egli scrisse: "La grande strada per cui il cinematografo è stato condotto all'arte si cela ancora nell'"artificio scenografico". Infiniti e stupefacenti sono i mezzi che il cinematografo può ancora possedere in questo campo delle meraviglie. La creazione di visioni impossibili e di "dal vero" ripresi di notte e resi fantastici dalla luce artificiale, apre orizzonti infiniti alla genialità di un moderno allestitore scenico". In Cinepittura, pure raccolto nel libro sopra citato, osservò che "gli elementi "puri" dell'arte cinematografica (quale noi la vagheggiamo) sono "sceneggiatura, azione, messinscena...". L'attore è un pretto particolare della cui fisionomia e della cui mimica ci serviamo alla stessa tregua dei piani lontanissimi e delle vedute più lambiccate. La scena è spesso la protagonista e non ha per nulla affatto il posto di "décor" nell'insieme spettacolare. Lo spettacolo è tutto vita e movimento, non recitazione di monologhi o dialoghi letterari: è un "panorama girante" che si snoda secondo esigenze peculiari di un ritmo di sentimenti da estrinsecare". Sempre in Evoluzione del mimo annotò che col film sonoro l'arte muta, la pantomima, "riacquistata la parola, si dirige verso lo spettacolo mimato, musicale e parlato, ciò che avviene ai tempi nostri, ma era proprio del mimo antico. Avremo visto morire la pantomima e rivivere il mimo: ecco, per noi, l'evoluzione del mimo".
L'attività giornalistica del B. si sostanziò, a partire dal 1915, nella fondazione de La ruota - Rivista mensile illustrata dedicata agli Animali,alle Piante,alle Nuvole,ai Pesci,alle Acque,ai Giardini (1915-1916), cui collaborarono, tra gli altri, il Prampolini, G. D'Annunzio, M. Maeterlinck, R. Kipling, M. Serao, S. Di Giacomo, L. Pirandello, G. Deledda; delle Cronache d'attualità (tre serie: 1916, 1919, 1921-1922), che si avvalsero della collaborazione soprattutto di pittori e xilografi, tra cui G. De Chirico e F. De Pisis; e del Bollettino della Casa d'Arte Bragaglia (1921-1924).
A partire dal n. 78 di quest'ultimo apparve come appendice l'Index rerum virorumque prohibitorum o Breviario romano, "una piccola edizione tutta di sfottetti, canzoncine e brontolamenti estetici", pubblicata in 110 fascicoli speciali negli anni 1921 e 1928 con strascichi di vertenze cavalleresche e di polemiche con i critici, segnatamente con S. D'Amico: è lo specchio del temperamento del B. che si rivela arguto, a volte caustico, nel passare in rassegna i principali rappresentanti della cultura del tempo, da G. Papini a C. Malaparte, da E. Cecchi ad A. Baldini, divertente nel definire se stesso, come scenotecnico, "il re dei paraventi" o sentenzioso nell'affermare che "il critico, anziché venire dalla platea al palcoscenico, dovrebbe scendere dal palcoscenico in platea, per esercitare con competenza e autorità questa sua funzione di perito".
Nell'ott. 1918 il B., insieme con il fratello Carlo Ludovico, fondò, in via Condotti 21, la Casa d'arte Bragaglia, un "covo" d'intellettuali, artisti e politici. Vi si organizzarono mostre di dadaisti, cubisti, astrattisti tra dispute di ogni genere che investivano anche la politica e che provocavano talora l'intervento della polizia. Ritenendo che il locale fosse troppo angusto, il B. volle trasferirla in una cantina di via degli Avignonesi: i lavori di riassetto, iniziati nel 1921 nei sotterranei dei palazzi Tittoni e Vassalli, condussero, con grande compiacimento dell'"archeologo futurista", alla riscoperta delle Terme cosiddette di Settimio Severo; fu deciso che queste ospitassero cinque gallerie d'arte - una retrospettiva, una moderna, una futurista, una d'arte decorativa, una d'arte grafica, nelle quali furono allestite 275 mostre (comprese quelle di via Condotti) - un teatro sperimentale, una "sala dei balli" e una "buvette" dove artisti e frequentatori avrebbero potuto mangiare il rituale piatto di spaghetti.
Il teatro, nato sotto l'alto patronato del sottosegretario di Stato per le Antichità e Belle Arti per favorire lo sviluppo di spettacoli nuovi rispondenti al mutato spirito dei tempi, già nel dicembre 1921 era annunciato da un manifesto, in cui, respinte "tutte le leggi, gli obblighi, le concezioni che fanno del vecchio mondo teatrale italiano un organo che non funziona", si proclamava: "Il teatro sperimentale sarà più rivoluzionario del famoso Vieux Colombier parigino: specie per gli spettacoli d'eccezione ove si vedranno adattate alla scena le opere più originali del teatro orientale, dal russo al giapponese. E come nei Tazieli persiani, tutte le arti, la mimica, la lirica, la comica, saranno originalmente confuse in una stessa opera". L'adattamento, affidato all'architetto Virgilio Marchi, e le decorazioni, commissionate ai pittori Giacomo Balla e Fortunato Depero, si protrassero per buona parte del 1922; non ancora rifinita, la sala maggiore delle antiche terme, alla quale quelle minori destinate alle esposizioni fungevano da foyers, fu adibita a circolo delle cronache d'attualità e, finalmente, divenne il Teatro degli Indipendenti, capace di 200 posti a sedere compresa la balconata circolare. L'inaugurazione ebbe luogo il 18 genn. 1923 con il seguente programma: azione scenico-musicale di marionette, Siepe a Nord-Ovest di M. Bontempelli, canzoni del sec. XVII, Les petits riens di W. A. Mozart secondo la visione di Nicola Moscardelli, La torre rotta, pantomima in un atto di Guido Sommi Picenardi, una serie di danze con Jia Ruskaja e Lena Ertel. Furono assai ammirati gli scenari e applaudite l'attrice Iolanda Migliori e le due ballerine. Il successo della serata, pertanto, spettò in gran parte agli allestimenti del B. che mise a frutto le precedenti esperienze di scenotecnico e "metteur en scène" presso la compagnia del Teatro Mediterraneo: già il 13 febbr. 1919 al Teatro Argentina di Roma aveva applicato la "luce psicologica" (un sistema di atmosfere colorate derivanti inavvertitamente l'una dall'altra a commento degli stati d'animo dei personaggi) a Per fare l'alba di P. M. Rosso di San Secondo, sollevando scalpore e precorrendo il teatro del colore di Achille Ricciardi; poi il 15 luglio 1920 aveva curato la messinscena de La bella addormentata di Rosso di San Secondo (Teatro Olimpia di Milano), scandalizzando Renato Simoni, pontefice della critica teatrale, per talune sgradevoli sensazioni ottiche e per qualche canto qua e là troppo arcadicamente languido che introdusse in omaggio al gusto del pittoresco. Il B. poté vantare che danzatori celebri d'ogni paese erano ospiti dei suoi spettacoli, mentre la prosa era costituita da atti unici che si alternavano ai balli o alle pantomime, sicché il suo locale poteva definirsi un "music-hall" di alto livello: frequentato da "re in incognito, ministri, principi e ambasciatori", il teatrino agiva dalle 21 o 21,30 fin verso le 8 del mattino seguente.
Una novella a ballo del B. e di S. A. Luciani, La fantasima, su canzoni italiane del secolo XVI, con scene e costumi del Marchi e per l'interpretazione di Anita Amari, ebbe un battesimo entusiastico il 5 febbr. 1923. Pirandello scrisse per lo Sperimentale L'uomo dal fiore in bocca, andato in scena il 25 successivo, dopo che ne ebbe diretto le prove. Al 1923 appartengono pure la trisintesi futurista Bianco e rosso di F. T. Marinetti (interesse maggiore, l'interpretazione di Maria Carmi), Il paese e la città di C. Alvaro (qualche pregio di dialogo e di lingua), Un vigliacco di O. Vergani (buon successo). Dopo una fortunata tournée con molti balli e poca prosa (in Sardegna con la sola prosa, per la Compagnia stabile sarda, con sede a Cagliari) nel 1924, le rappresentazioni ripresero nella quaresima del 1925 con Il fiore necessario del Rosso di San Secondo, considerato dagli sperimentatori degli Indipendenti il più forte autore drammatico italiano del tempo, Occhio di gufo di C. Di Marzio, Centocinquanta la gallina canta! di A. Campanile, inscenati la sera del 28 febbraio; seguirono, tra i lavori più notevoli, La sonata degli spettri di A. Strindberg (strano carattere in uno strano ambiente), altre due farse del Campanile, Il ciambellone e L'inventore del cavallo. Fu trovato molto suggestivo Dramma di sogni di L. Bonelli (che si presentava come traduttore di un fantomatico Wassili Cetoff Sternberg) per merito delle ombre cinesi di Fulvia Giuliani e Luigi Barberi e della sensualità di Marcella Rovena; il Marinetti riscosse i primi consensi della sua carriera con i Fantocci elettrici;piacquero le scene estratte da Il castello di Wetterstein di F. Wedekind e da A Damasco di A. Strindberg.
Si provvide a una serie di interessanti esumazioni, tra cui la commedia Tao-tse di Yu-Pe-Tuen, tratta da una raccolta di antichi drammi cinesi di L. Charpentier (protagonista la Rovena), a chiusura della stagione, nell'estate 1925, e il Socrate immaginario di F. Galiani (protagonista Carlo Duse) nel marzo 1926; seguirono Girotondo di A. Schnitzler, sospeso alla quarta replica da un'ordinanza della prefettura, Gelsomino d'Arabia di A. Aniante, La smorfia ovvero Cabala di farmacia di R. Bacchelli (protagonista il Duse), scenicamente mancata, Re Ubu ovvero I Polacchi di A. Jarry (protagonista Umberto Sacripante), che sollevò commenti e critiche per essere stato visualizzato come una satira spietata del teatro romantico in dissoluzione, Don Chisciotte, canovaccio in 21 citazioni e 21 mutanze del Bragaglia. Dopo la reggenza di Carlo Ludovico Bragaglia per le stagioni 1926 e 1929-1930, autore di molte regie in tali periodi, il Teatro degli Indipendenti dette i suoi ultimi bagliori con Il suggeritore nudo di F. T. Marinetti nel 1929, Il grande dio Brown di E. O'Neill nel 1930 (per la prima volta nella vita dello Sperimentale, dopo 152 novità, lo spettacolo fu accolto da un glaciale e smarrito silenzio, forse perché il testo fu reso irriconoscibile dalla traduzione, dai tagli e dalla recitazione), e chiuse la sua grande stagione il 22 febbraio dello stesso anno con l'ultima replica di Carmen 1930 di A. Aniante, rappresentata con successo dal 14 febbraio.
Appena l'8 marzo successivo, spostatosi al Teatro dei Filodrammatici di Milano, il B. metteva in scena La veglia dei lestofanti di J. Gay: attenendosi alla versione brechtiana, ma togliendole quel fermento d'odio di classe che la caratterizzava, offrì uno spettacolo vario, vivo, con una saliente vena caricaturale: le scene schematiche affidate ad Antonio Valente, i giochi di luce, i contorni irreali tra seri e clowneschi, la recitazione e il canto mantenuti su un tono di moderato artificio (Camillo Pilotto era Mackie Messer e Arturo Falconi mister Peachum) fanno pensare ad una prima assimilazione dell'effetto di alienazione, non ancora, peraltro, compiutamente teorizzato dall'autore tedesco. Nel 1929 uscì a Roma Del teatro teatrale ossia del teatro, che può considerarsi il consuntivo della sua attività di "régisseur" sperimentale.
In questo libro sono affermati, per il teatro presente e futuro, il valore fondamentale della commedia dell'arte, come azione teatrale dell'attore-musico-ballerino, e il principio del "meraviglioso" inteso come "mutazione" (cioè come moltiplicazione dell'azione e dei luoghi), ed è celebrata la "macchina" intesa come scena mobile, così come il teatro l'ha ereditata dal cinema. Il "corago", come ama chiamarsi dal 1928 attraverso i manifesti dello sperimentale, collabora con l'autore e crea la parte visiva mediante il palcoscenico multiplo (ispirato alle descrizioni delle piattaforme greco-romane e alle macchine di Giacomo Torelli) che "permette di cambiare all'infinito l'ambiente nell'azione". Gli ingegnosi ritrovati del "corago" precorrono le cerebrali soluzioni scenotecniche, costumistiche e luministiche italiane degli anni '60 e s'impongono all'attenzione dello studioso: sul piccolo palcoscenico degli Indipendenti (il boccascena misurava m 8 × 6,50 × 6,50) funzionavano, oltre i dispositivi suaccennati, la "scena versile", ripresa da L. Lucullo e consistente in una scena a tre facce che voltandosi istantaneamente produce il cambiamento da bosco a colonnato e a tendaggi, e la "messinscena fotoelettrica" ottenuta mediante un sottile schermo perlaceo, dietro al quale è disposta una quantità di lampadine di tre o più colori che proiettano un vago profilo delle cose - paesaggi o emblemi - durante le rappresentazioni del teatro sintetico; e si adoperavano la "lampada dell'oraluce" consistente in un parco di lampade colorate nei tre colori fondamentali che, girando più o meno velocemente in un sottile filtro di garza, danno luce più o meno fredda o calda secondo l'ora del giorno, e la "maschera mobile", in gomma elastica sottilissima, che offre la "truccatura permanente", separa psicologicamente l'attore dal pubblico e lo aliena dal personaggio, impedendogli di sovrapporre a questo la sua personalità (di conseguenza, teste imbottite, menti tremuli come gelatine, collottole pneumatiche).
Nel 1931 il B. diresse per la Cines, a Savona, il suo unico film sonoro, Vele ammainate, su soggetto di Aldo Vergano e per l'interpretazione di Carlo Fontana e Dria Paola, "primo cimento" della sua tardiva rentrée nel mondo del cinema: in esso portò all'aperto, di fronte alle burrasche, una vicenda imperniata su un triangolo sentimentale e, volgendosi alla natura, intese depurare l'immagine e rendere funzionale il nuovo ritrovato tecnico. In quel torno di tempo si verificò un exploit saggistico: da un soggiorno in Sudamerica nacque il volume El nuevo teatro argentino (Buenos Aires 1930); poi fu la volta de Il segreto di Tabarrino (Firenze 1933), ispirato alla maschera della commedia dell'arte che dette il nome ai teatri minori di Parigi, e di due monografie, Giacomo Torelli da Fano (Roma 1934-1935) e Nicola Sabbatini (Urbino 1935), per citare le cose più notevoli. Continuò a interessarsi saltuariamente di teatro (La costa azzurra di A. Birabeau, Teatro Olimpia di Milano, 10 maggio 1932, la cui scena del vagone ristorante, meticolosamente precisa, sorprese e fu applaudita). Dopo essere entrato nella Corporazione dello spettacolo come consigliere, fu attratto nell'orbita del regime fascista, nei confronti del quale tuttavia mantenne una certa indipendenza di giudizio, e, successivamente, fu nominato segretario del Comitato nazionale scenotecnici in seno alla Confederazione professionisti e artisti. Ne Il teatro della rivoluzione (Roma 1929), aveva vagheggiato la fondazione di un teatro di Stato; all'apogeo della potenza, il regime, fattosi custode delle lettere e delle arti patrie, appaltò la costruzione di un nuovo locale all'architetto C. Broggi, che lo ricavò dalla sede della Confederazione stessa in via Sicilia 59, e ne affidò la direzione al B., che volle ripercorrere in qualche modo la tradizione degli Indipendenti, nel senso di valorizzare giovani artisti di talento e di far conoscere al pubblico un nutrito gruppo di autori epurati in prima istanza dal ministero della Cultura popolare, primo fra tutti E. O'Neill, del quale egli fu l'alfiere italiano (è pure vero che nel repertorio della Compagnia stabile trovarono posto anche autori rinascimentali come il Ruzzante e P. Aretino e autori ottocenteschi come L. Capuana e F. De Roberto). L'inaugurazione del nuovo teatro, battezzato delle Arti, avvenne il 21 apr. 1937, a solennizzare il Natale di Roma, con La finestrina di V. Alfieri (scenografo E. Prampolini, interpreti Gero Zambuto, Camillo Pilotto, Giovanna Scotto e Tina Lattanzi). Nel maggio il regista partì per il Sudamerica con la compagnia Ricci-Adani e il 16 dicembre, per l'apertura della nuova stagione, assegnò a G. M. Cominetti la regia e a L. Ferida l'interpretazione di Salomè di C. Meano, riscuotendo grande successo; seguirono La quarta parete, un atto di L. Bonelli, Delirio del personaggio di V. Bompiani e La nina boba o La ragazza scema di F. Lope de Vega (interpretazione e coreografia del complesso del Teatro Lara di Madrid, scenografia di D. Bologna, e costumi di M. Signorelli). Nel 1938, diretta con amorosa cura dal B. e superbamente interpretata da Lamberto Picasso e da Anna Magnani, fu rappresentata La foresta pietrificata di R. E. Sherwood; nell'aprile il regista tornò in Sudamerica con la compagnia Borboni-Cimara. Nel 1939 assunse la direzione di due lavori di E. O'Neill, Anna Christie, in ripresa, protagonista la Magnani (fu rilevata la mancanza della grande sinfonia del mare, della sua azione purificatrice), e Al di là dell'orizzonte;affidò a E. Fulchignoni la regia di Piccola città di T. Wilder in esclusiva romana, protagonista Elsa Merlini (l'atmosfera incantata del dramma fu ricreata con stile raffinato, sicché il successo fu trionfale), poi assunse quella della prima rappresentazione in Italia di un lavoro di F. Garcìa Lorca, Nozze di sangue. Nel 1940 riprese La nuova colonia di L. Pirandello e rappresentò Winterset di M. Anderson, offrendo una regia ricca di elementi altamente emotivi, e Le piccole volpi di L. Hellman; nel 1941 affidò a Giulio Pacuvio la regia de Il lutto si addice ad Elettra di E. O'Neill, protagonista Diana Torrieri; nel 1942, per l'interpretazione di Anna Proclemer, diresse La voce nella tempesta di E. Brontë e una magnifica edizione de La gibigianna di C. Bertolazzi; nel 1943 affidò Giacinta di L. Capuana a Turi Vasile, che la inscenò con cura ed egli stesso riscosse un vivissimo successo per l'accorta regia di Oro di E. O'Neill. Terminate le repliche del Don Giovanni involontario di V. Brancati accuratamente diretto dal B. e interpretato da A. Geri, la compagnia si sciolse il 15 marzo 1943, dopo le ultime, applaudite recite di Via della Chiesa di L. Robinson e de La trovatella irresistibile di G. B. Shaw, dirette da Guglielmo Morandi dal 9 marzo. Il B., imperversando la guerra in territorio italiano, tornò alle sue predilette ricerche di biblioteca: nel 1943 pubblicò a Torino Commedie dell'arte, una serie di canovacci inediti; nel 1944, a Roma, l'Autobiografia inedita di Antonio Petito con prefazione sulla famiglia Petito e Lazzi di Brighella con prefazione sulla maschera in titolo. Finita la guerra, fu invitato all'Unesco e vi rappresentò l'Italia in tutti i congressi internazionali del teatro; alternò l'attività di regista lirico (al Teatro La Fenice di Venezia, al Teatro S. Carlo di Napoli, al Teatro Massimo di Palermo) con quella di studioso di tradizioni popolari, segnatamente romane, con Nerone e romani de Roma con prefazione su E. Petrolini (Roma 1945) e Maschere romane (Roma 1947), che avranno un interessante ampliamento nella Storia del teatro popolare romano (Roma 1958). Nel 1948, per una sola stagione, assunse la direzione del Piccolo Teatro della città di Venezia insediato nel Ridotto (Peccato che fosse una sgualdrina di J. Ford, Ragazzo d'oro di C. Odets, Delitto senza passione di B. Hecht) e, sporadicamente, diresse spettacoli d'eccezione (La sconosciuta di Arras di A. Salacrou, Teatro Nuovo di Milano, 28 giugno 1948; regia ingegnosa, i cui coloriti grotteschi dispersero l'angoscia della tragedia), in genere riprese di lavori da lui diretti, come La veglia dei lestofanti di J. Gay (La Floridiana di Napoli, 1951). Nel 1950 girò due cortometraggi per l'Istituto Nazionale Luce, La Floridiana e Cosenza tirrenica, nel primo dei quali si riscontra, con la descrizione delle manifestazioni artistiche organizzate nella villa dal Teatro S. Carlo, il gusto per il "meraviglioso", nel secondo l'amore per la storia e il folclore. L'ultimo decennio della sua vita fu caratterizzato, oltre che dalla fondazione del Piccolo Teatro della città di Bari (1954), dalla continuità della critica drammatica sul settimanale Film d'oggi di Roma e dalle corrispondenze su riviste straniere, e da una serie di viaggi in Spagna con esposizioni di scenografia. Nel 1959 fu eletto presidente dell'Associazione nazionale registi e scenografi; infine, per il Teatro dell'Opera di Roma, firmò l'ultima opera sua, Le maschere di P. Mascagni, per le quali il 14 marzo 1960 fu molto applaudito: anche in questa occasione si attenne alla sua teoria del teatro "teatrale" enunciata nel "prologo" da Antonio Crast.
Il B. morì a Roma il 15 luglio 1960.
S. D'Amico ascrisse al B. come colpa il ricorso a una scenografia sommaria (fondali di iuta, lampade grossolanamente colorate, ecc.), lontana dalle meraviglie sceniche da lui ripetutamente proposte, risolta, in definitiva, in un gioco di ombre e penombre spesso non giustificate dall'azione, e l'impiego di attori dilettanti anche se volenterosi; E. Falqui fu uno sferzante critico della sua scrittura pittoresca, ma sciatta; A. Fiocco sostenne che il B. fu il primo a capire che l'atmosfera della scena europea era cambiata e che bisognava mettersi al passo per riguadagnare il terreno perduto, pur somigliando, a colui che si affanni a rivelare insigni musicisti suonandoli al piano con un solo dito; R. Simoni, sorpreso dal suo talento esplosivo, si tenne prudentemente sulle generali; M. Verdone fu il primo a portare un contributo di seria documentazione sulla attività cinematografica del B., inaugurando così l'opera di rivalutazione dell'uomo di spettacolo. Non si può negare che il B. abbia legato il suo nome a un difficile periodo della storia del nostro teatro; teorico e sperimentatore riconosciuto specialmente all'estero (A. Antoine, M. Reinhardt, V. E. Mejerchol'd, N. Evreinov, L. Jouvet e G. Baty lo ammiravano e incoraggiavano), uomo di molteplici e sottili esperienze culturali, a chi non ne conosca la mole delle opere e delle realizzazioni dàl'impressione di un improvvisatore spregiudicato e presuntuoso, ma a chi ne consideri l'amore profondo per tutto quanto è movimento e colore, l'estro fertilissimo e aggressivo, la coerenza nell'applicazione dei suoi principî fondamentali giovanilmente conservata pur nell'inevitabile declino fisico, la cura minuziosa delle indagini, il sacrificio finanziario cui andò incontro nei periodi critici della gestione del Teatro degli Indipendenti, egli si configura come una personalità che, nel clima stagnante del nostro teatro e del nostro cinema, seppe innovare con intuizioni felicissime - successivamente sfruttate da altri - la scenotecnica, la luministica, la coreografia, la ripresa fotografica e cinematografica, dando un preciso significato alla regia, e svecchiare la cultura teatrale e cinematografica, favorendone l'evasione dall'ambito provinciale in cui l'avevano confinata i mostri sacri della critica militante.
Opere principali: oltre quelle citate nel corso della voce, si ricordano: I tedeschi e le canzoni di guerra, Bari 1915; Spionaggio civile militare e commerciale, Milano 1915; Territori tedeschi di Roma, Firenze 1918; La maschera mobile, Foligno 1926; Scultura vivente, Milano 1928; Jazz band, Milano 1929; Film sonoro, Milano 1929; Danze afroasiatiche, Roma 1935; La bella danzante, Roma 1935; Mastro Don Gesualdo, riduzione da G. Verga, Roma 1936; Sottopalco, Osimo 1937; La Cintia, riduzione da G. B. Della Porta, Torino 1940; Le metempsicosi di Yo Tchéou, riduzione da Yu-Pe-Tuen, Torino 1943; Commedie giocose del '500, 4 volumi con introduzione, Roma 1946; Danze popolari italiane, Roma 1950; Nicola Sabbatini e GiacomoTorelli scenotecnici marchigiani, Pesaro 1952; Gala, rivista mensile illustrata, Roma 1952-53; Pulcinella, Roma 1953; Scenografia del novecento, Torino 1954; Degli evirati cantori, Firenze 1959; Giangurgoloovvero il calabrese in commedia, Cosenza s.d.; Dell'arte rappresentativa premeditataed all'improvviso di A. Perrucci, con introduzione e bibliografia, Firenze 1961.
Fonti eBibl.: Il Messaggero, 14 febbr. 1919; 18 gennaio, 6, 25 febbr. 1923; 25 gennaio, 15, 22 febbr. 1930; 22 apr. 1937; 3, 10, 15 marzo 1943; 16 luglio 1960 (necrologio); Corriere della sera, 16 luglio 1919; Comoedia (Milano), 21 dic. 1921, 5 settembre; 10 dic. 1922; 1º, 15 febbraio, 1º, 15 aprile, 15 maggio 1923; 15 marzo, 15 aprile, 15 maggio, 1º, 15 giugno, 1º, 15 luglio 1925; 20 marzo, 20 apr., 20 maggio, 20 giugno, 20 luglio 1926; Il dramma (Torino), 15 apr., 1º, 15 maggio 1937;15 genn., 15 marzo, 1º apr. 1938;15 marzo, 15 apr. 1940;1º-15genn., 1º, 15 febbr., 1º-15 marzo 1943; La Voce repubblicana, 15-16 marzo 1960;M. Verdone, A. G. B., in Bianco e Nero, XXVI (1965), pp. 3-62; S. D'Amico, Il teatrino di B., in Tramonto del grande attore, Milano 1929, pp. 149-156;A. G. B., Del teatro teatrale ossia del teatro, Roma 1929, pp. 10, 163, 177; Id., Evoluzione del mimo, Milano 1930, pp. 18 s., 247-275;E. Falqui, Sintassi, Milano 1936, pp. 145-152; A. Fiocco, Registi italiani contemporanei, in La regia teatrale, a cura di S. D'Amico, Roma 1947, pp. 201-205; R. Simoni, Trent'anni di cronaca drammatica, III, Torino 1955, pp. 305, 534; V, ibid. 1960, p. 88; S. D'Amico, Cronache del teatro, I, Bari 1963, pp. 379-383; II, ibid. 1964, pp. 498, 533, 538; Maske und Kothurn, 1966, n. 4 (numero speciale dedicato ad A. G. B.); Enc. Ital., VII, p. 668; Enc. dello Spett., II, coll. 976-980; Filmlexicon degli autori e delle opere, I, col. 842.