RAINERI, Anton Francesco
RAINERI, Anton Francesco. – Nacque a Milano poco dopo il 1515 da genitori appartenenti al ceto medio cittadino. Legatosi ad Alfonso d’Avalos intorno al 1535, Raineri si trasferì a Roma nel 1536 entrando in contatto con personalità interne agli ambienti della corte papale. Qui frequentò Claudio Tolomei e dal 1542 l’Accademia della Virtù da questi fondata, dove strinse duraturi vincoli di amicizia con Annibal Caro, Francesco Maria Molza e Giovanni Guidiccioni, nutrendo verso di loro sincera ammirazione e condividendo, soprattutto con Molza, la volontà di trasporre in versi volgari le peculiarità stilistiche dei modelli lirici antichi. Benché avesse costruito salde relazioni con Ippolito d’Este, al cui servizio erano gli amici Molza e Tolomei, dal 1539 Raineri si inserì stabilmente nell’orbita dei Farnese; uno dei primi uffici svolti in questa sua nuova collocazione è l’attività di segretario di Ennio Filonardi, vescovo di Veroli, per la quale fu inviato come legato a Piacenza nel giugno del 1539. Pochi mesi più tardi, grazie all’intermediazione di Scipione Orsini, entrò alle dirette dipendenze di Pier Luigi Farnese, che seguì personalmente sul campo militare durante il noto scontro di Paliano contro Ascanio Colonna, conclusosi nel maggio del 1541. Scarsamente documentati risultano gli anni seguenti, nei quali Raineri dovette però viaggiare per conto dei Farnese in molte località italiane, tra cui Napoli, città dove ambientò la sua commedia L’Altilia e allacciò rapporti con esponenti della famiglia Caracciolo, come emerge da un suo sonetto (Cento sonetti, a cura di R. Sodano, 2004, p. 18, num. VIII).
Tra il 1541 e il 1543 Raineri compose L’Altilia (p. 209), una commedia in cinque atti più un prologo d’ambientazione partenopea che fu stampata a Mantova nel 1550 (Ruffinelli).
Di derivazione latina, specificamente plautina – benché l’autore rivendichi una propria originalità («Qui non vedrete i Menecmi di Plauto, perché a l’autore non è piaciuto calcar più quella via sì trita»; G.A. Schioppi - A.F. Raineri, Commedie, presentate da G. Barberi Squarotti, 1994, p. 116) –, la commedia mette in scena l’amore tra Leandro e Ippolita (nella loro famiglia d’origine rispettivamente chiamati Ippolito e Altilia), proponendo una formula comica nella quale le classiche peripezie dei due innamorati sono percorse da un intrigo complicato, a tratti inverosimile e contraddittorio, che rivela la volontà da parte di Raineri di forzare i confini del genere a partire dal tema del travestimento, qui cardine assoluto dell’azione, fondamento strutturante per ogni equivoco; la conclusione non serve ad altro che a svelare il duplice travestimento di Leandro e Ippolita, replicando così il dato iniziale e radicandosi entro uno spazio scenico che non produce evoluzioni narrative bensì rocamboleschi intrecci che sanciscono un paradossale status quo.
Quando nel 1545 Pier Luigi Farnese assunse il titolo di duca di Parma e Piacenza, Raineri si trasferì a Piacenza, diventando segretario del Supremo consiglio di giustizia e grazia e collaborando con Annibal Caro (Lettere familiari, a cura di A. Greco, 1957-1961, I, pp. 263 s., 277). Al seguito della congiura contro Pier Luigi Farnese, ucciso il 10 settembre 1547, Raineri, dopo una breve sosta a Pesaro in compagnia di Vittoria Farnese, riparò nuovamente a Roma, dove ricevette incarichi da Margherita d’Austria. Sul fronte letterario, mandò alle stampe una selezione significativa di testi poetici (che poi confluirono nei Cento sonetti) nel secondo libro delle Rime di diversi nobili huomini et eccellenti poeti nella lingua thoscana (Venezia, Giolito, 1547, cc. 18r-31r), antologia che designa con nitore un canone lirico di ascendenza farnesiana (oltre a Raineri, vi sono sezioni dedicate a Molza, Caro e Tolomei).
La svolta per la carriera cortigiana di Raineri fu rappresentata dall’ascesa al soglio pontificio, nel febbraio del 1550, di Giulio III, per il quale Raineri compose due poemetti latini (Thybris sive De creatione Iulii III Pontificis Maximi liber e De vita Sanctiss. ac Beatiss. Iulii III Pont. Max. ab inito pontificatu Liber I), il primo edito a Roma nel 1550 (una copia manoscritta è conservata a Firenze, Biblioteca nazionale centrale, Magl. VII 296), il secondo conservato manoscritto nella Biblioteca apostolica Vaticana, Ottob. Lat. 865. Raineri si inserì subito nell’orbita protettiva del nuovo pontefice, diventando segretario del fratello, Baldovino Ciocchi Del Monte. Il benevolo e stimolante contesto romano lo sollecitò a pubblicare la sua prima e unica commedia, nonché una manciata di carmina encomiastici che videro la luce a margine dei ritratti degli Elogia di Paolo Giovio nell’edizione torrentiniana del 1551. Nel 1553 uscirono a Milano, per i tipi di Giovan Antonio Borgo (stampatore ufficiale dell’Accademia dei Trasformati) e con dedica a Fabiano de’ Monti, i Cento sonetti, che contribuirono in maniera decisiva a sancire, soprattutto in tempi recenti, la fama poetica di Raineri. La raccolta ebbe una sollecita ristampa priva di novità sostanziali ma con il titolo mutato in Rime (Venezia, Giolito, 1554).
Con alle spalle i Cento sonetti (1549) di Alessandro Piccolomini e rivolto alle coeve esperienze di Trivulzio e Molza (Albonico, 2002), Raineri con i Cento sonetti elaborò un canzoniere dagli equilibri raffinatissimi, compromesso felice tra l’elegante temperie classicheggiante e alessandrina che traspare nitidamente oltre la pur tangibile koinè petrarchistica e la tendenza all’innovazione delle misure macrostrutturali, evidente in primo luogo nella brevissima esposizione alle rime del fratello Girolamo collocata in coda al volume, tipologia di paratesto esegetico che, svelando le circostanze per le quali i testi erano stati composti, rappresenta una novità di rilievo nel panorama lirico rinascimentale. Oscillante tra encomio e spunto mondano, con qualche inserto amoroso scevro da rimandi concreti (LXXIX), il canzoniere di Raineri manifesta una calibrata vocazione epigrammatica ed ecfrastica che, pur radicandosi nel solco del classicismo petrarchista (emblematici l’elogio di Petrarca nel sonetto XLVIII e soprattutto della poesia dellacasiana nel conclusivo sonetto C) attinge largamente dai modelli classici, in particolar modo Catullo, Orazio e l’antologia planudea, risaltando per la preferenza accordata a un lirismo idillico che riesce a imporsi nel quadro lirico coevo per perizia tecnica e originalità. Allegati ai Cento sonetti uscivano, con frontespizio autonomo, le Pompe, rappresentazioni carnevalesche composte prevalentemente in ottava rima, che celebrano ora i dettagli fisici di una nobildonna ora i «poeti amorosi» Dante, Petrarca, Boccaccio, Bembo, Sannazaro e Ariosto.
Furono quegli anni prosperi e sereni per Raineri, stabilmente inserito, con esili mansioni diplomatiche, nella corte di Giulio III; la morte di questi nel marzo del 1555 modificò repentinamente il corso della sua parabola cortigiana e intellettuale. Benché avesse contribuito alla celebrazione del nuovo papa Marcello II (Cento sonetti, cit., 2004, p. 227), Raineri perse progressivamente il prestigio conquistato fino ad allora negli ambienti romani all’indomani dell’elezione di Paolo IV Carafa, svolgendo una funzione più defilata e marginale negli assetti culturali stabiliti dal nuovo pontefice.
I mesi a cavallo tra il 1559 e il 1560, coincidenti con la vacanza del soglio pontificio seguita alla morte di Paolo IV e la seguente elezione di Pio IV Medici, dovettero contrassegnare un periodo affollato di delusioni e incertezze, che indussero Raineri, rimasto nell’Urbe, al suicidio nei primi mesi del 1560 (A.F. Raineri, Lettera al card. Alessandro Farnese (1560), a cura di R. Sodano, 2002), in una data che, allo stato attuale delle ricerche, risulta imprecisabile.
Una lettera di dedica di Raineri a Baldovino Del Monte scorta l’esile silloge epistolare latina di Raffaele Lippo Brandolini conservata nel ms. della Biblioteca apostolica Vaticana, Vat. Lat. 3460.
Fonti e Bibl.: Archivio di Stato di Parma, Epistolario scelto, b. 14 (con lettere di Raineri per larga parte indirizzate a Pier Luigi Farnese); per una capillare ricostruzione dell’attività di Raineri si veda la Nota biografica, in A.F. Raineri, Cento sonetti, altre rime e pompe. Con la brevissima esposizione di Girolamo Raineri, testo e note a cura di R. Sodano, Torino 2004, pp. 205-247; Inoltre, A. Caro, Lettere familiari, a cura di A. Greco, I-III, Firenze 1957-1961, ad ind.; G. Guidiccioni, Le lettere, a cura di M.T. Acquaro Graziosi, Roma 1979, ad ind.; B. Croce, A. F. R., in Id., Poeti e scrittori del pieno e del tardo Rinascimento, Bari 1945, pp. 376-389; C. Vela, I letterati nelle istituzioni: l’esperienza interrotta di Pier Luigi Farnese (1545-1547), in Archivi per la storia, I (1988), pp. 343-364 (in partic. p. 347); G. Gorni, Un’ecatombe di rime. I “Cento sonetti” di Antonfrancesco Rainerio, in Versants, XV (1989), pp. 135-152; G.A. Schioppi - A.F. Raineri, Commedie, presentate da G. Barberi Squarotti, Torino 1994; S. Albonico, scheda ai Cento sonetti in «Sul Tesin piantàro i tuoi laureti». Poesia e vita letteraria nella Lombardia spagnola (1535-1706), Pavia 2002, pp. 95-99; G. Raineri, Lettera al card. Alessandro Farnese (1560), a cura di R. Sodano, in Stracciafoglio, III (2002), 5-6, pp. 27-30; A. Casu, Romana difficultas. I «Cento sonetti» e la tradizione epigrammatica, in La lirica del Cinquecento. Seminario di studi in memoria di Cesare Bozzetti, a cura di R. Cremante, Alessandria 2004, pp. 123-154; D. Chiodo, Lo studiolo di madama. Minuzie di interesse vasariano, in Italique, X (2007), pp. 9-14; F. Tomasi, Studi sulla lirica rinascimentale (1540-1570), Roma-Padova 2012, pp. 136-138.