GRAZZINI, Anton Francesco
Nacque a Firenze il 22 marzo 1503. Fu dei fondatori dell'Accademia degli umidi, dove prese il nome di Lasca, e vi ebbe uffici varî anche quando essa si trasformò in Fiorentina. Con alcuni amici, a cui si aggiunse Lionardo Salviati, fondò nel 1582 l'Accademia della crusca. Morì a Firenze il 18 febbraio del 1584, dopo una vita laboriosissima.
Mediocre nelle Rime petrarchesche, spirituali, pastorali, poté meglio rivelare la sua indole, che era portata al comico, in sonetti, canzoni, ballate, canti carnascialeschi, madrigali, madrigaloni, madrigalesse, ottave, capitoli, epitafî, in cui seguitò, senza ira né violenza "col viso e con le labbra atteggiate tra l'astuto e il pettegolo", la maniera toscana della bonaria poesia burlesca, non senza punte satiriche contro avversarî letterarî, segnatamente il Giambullari e il Gelli. Si provò anche nel poema burlesco e scrisse la Guerra dei mostri (il solo primo canto) e la Nanea in ottave. Della sua cultura fanno prova quattro Lezioni alla Croce e altre minori scritture, e della sua passione per la bella poesia, la pubblicazione delle Opere burlesche del Berni, del Della Casa, ecc., dei Sonetti del Burchiello e di A. Alamanni e, infine, dei Trionfi, carri mascherati ossia canti carnascialeschi andati per Firenze dal tempo del Magnifico al 1559. Ma il nome del Lasca è legato specie alle Cene e alle Commedie. Nelle Cene raccoglie le novelle che, in tre sere di carnevale, cinque giovani e cinque donne si raccontano: in tutto ventidue novelle. Vi si narrano, in lingua schietta, con stile semplice e naturale, burle, beffe, strane avventure amorose, storie comiche e tragiche. Nonostante che il Grazzini mostri tendenze anticlassiche e affermi la sua originalità in confronto delle storie d'altri tempi, egli classicheggia e boccacceggia assai. Se riesce a sbozzare, con maestria, qualche figuretta comica, migliore scrittore è nelle novelle tragiche e specialmente là dove associa, con disarmonia però, elementi comici e farseschi con crudelissimi casi tragici.
Il suo classicheggiare è stato notato anche a proposito delle sue Commedie, nelle quali egli fa frequente dichiarazione di novità e non si stanca di mostrare la sua antipatia contro la pedanteria e l'antichità. Certo non vi mancano le agnizioni, le situazioni, gli intrecci del tipo classicista, e la conoscenza di autori comici contemporanei, Ariosto, Lorenzino de' Medici, il Bibbiena, il Cecchi, vi è evidente, senza dire della novellistica, specialmente del Decameron. Non si può tuttavia negare che il Lasca riveli la sua personalità di artista originale per la vivacità del dialogo, per il taglio delle scene, per la struttura di certi caratteri.
Già con tre farse, delle quali è restata intera solamente quella intitolata Il frate, si rivelano le sue attitudini teatrali, che si sviluppano poi nelle commedie. In esse non sono intenti moralistici, né satirici, né v'è profondità di vita interiore; ma v'è grande libertà di movimenti e di situazioni: mariti che tradiscono le mogli; mogli che tradiscono i mariti per vendicarsi della loro infedeltà; frati ipocriti e sensuali che approfittano della leggerezza di queste e della dabbenaggine di quelli: rappresentazione che ha il solo scopo di divertire e suscitare il riso.
Le commedie di più vasto scenario (la Gelosia, la Spiritata, la Strega, la Sibilla, la Pinzochera, i Parentadi, l'Arzigogolo) furono tutte scritte anteriormente al 1566. Si tratta di commedie d'intreccio, in cui solo raramente sono studiate con qualche cura le figure principali. La Gelosia rappresenta l'inganno con cui si fa credere a un vecchio innamorato che la fanciulla che egli vorrebbe sposare se l'intenda col giovane il quale in fine l'otterrà davvero. Nella Spiritata, una fanciulla, per avere un marito a suo modo, fa le viste che le sia entrato uno spirito in corpo, e il giovane suo innamorato spaventa il vecchio pretendente e gli ruba anche i 300 scudi che il padre di lei pretende come dote. Nella Strega, avvenimenti varî si collegano, s'intrecciano e infine giungono a lieto fine, in casa e per opera di una vecchia, in fama di maliarda. La Sibilla segue i modelli tradizionali: una fanciulla è liberata dal pericolo di un matrimonio che non vuole, dall'arrivo del padre che l'aveva affidata a un amico, e può sposare così il giovane amato. Nella Pinzochera, un vecchio innamorato, che scioccamente credeva di essere invisibile mettendosi in bocca certe pallottole, è sorpreso e svergognato dalla moglie. I Parentadi, con smarrimenti di figli rapiti da corsari e agnizioni, ci riportano agli esempî di Plauto e di Terenzio.
La vivezza della parlata fiorentina, la naturalezza dello svolgersi dei casi, l'arguzia di certe battute sono pregi che distinguono queste commedie dalla monotona produzione drammatica del nostro Cinquecento.
Ediz.: La prima et la seconda Cena, novelle: con una novella della terza Cena, ecc. (Londra - ma Parigi - 1756; Milano 1816); Le commedie, cioè la Gelosia, la Spiritata, la Strega, la Sibilla, la Pinzochera, i Parentadi (Venezia 1582); L'Arzigogolo (Firenze - ma Venezia - 1750); Le commedie, pubbl. da P. Fanfani (Firenze 1859); Rime (Firenze 1741 e 1742); Le Cene ed altre prose, pubbl. da P. Fanfani (Firenze 1857).
Bibl.: La Vita del Lasca di G. M. Biscioni nell'ed. delle Cene, Milano 1816, e in quella di Firenze 1857; G. B. Magrini, Di A. F. G. detto il Lasca e delle sue opere in prosa e in rima, Imola 1879; G. Gentile, Delle commedie di A. F. G. detto il Lasca, Pisa 1896.