DONI, Anton Francesco
Nacque a Firenze sui primi del 1513 da un forbiciaio; fu presto servita, col nome di Fra Valerio; poi lasciò l'abito di frate per prender quello di prete secolare; e andò peregrinando per l'Italia settentrionale, fermandosi a Piacenza per studiarvi legge. Nemmeno questo studio convenendogli, cercò servizio presso signori e prelati, finché, tornato a Firenze, aprì tipografia, ma con poca fortuna. Meglio guadagnò la vita facendo imprimere ad altri le cose proprie, che componeva rapidamente, e le altrui, che traduceva. Dopo altri vagabondaggi, a Roma, a Venezia, si fermò da ultimo nel Veneto. Viveva solo in un torrione abbandonato, donde usciva di notte, nudo come un pazzo. Morì a Monselice, nel settembre del 1574.
Il D. fu spirito inquieto, curioso, audace, litigioso, di che rimangono testimoni le sue polemiche con L. Domenichi e con P. Aretino; ma soprattutto bizzarro, secondo che appare dai suoi scritti, che furono di ogni genere, in versi e in prosa. Cominciò con alcune Lettere (1543) e coi Dialoghi della Musica (1544) e del Disegno (1549) e seguitò con la Prima e Seconda Libreria (1590-51), con una quantità di cicalamenti, dicerie, baie, raccolte sotto il titolo generale La zucca (1551-52), con discorsi sui Mondi (1552-53), con i Marmi (1553). Gli scritti del D. (letti, come egli ebbe a dire, prima che composti, stampati prima che finiti) sono d'una facilità indiavolata, e, battendo in breccia la pedanteria, trattano senza preparazione solida, ma con perfetto adeguamento ai bisogni spirituali della scapigliatura cinquecentesca, di ogni sorta d'argomenti, della Moral filosofia (1552), dove sono introdotte molte favole orientali, della Memoria e della Eloquenza (Il Cancellieri, 1562) della riforma dell'umanità (I mondi) e assumono tutte le forme: della commedia (Lo stufaiolo), della novella (si trovan novelle sparse in tutte le sue opere), della diceria (La mula, la chiave), del poema (La guerra di Cipro), dell'invettiva (La vita dell'infame Aretino). Il D. precorre veramente, più che l'Aretino medesimo, il giornalismo moderno, per la prontezza con cui percepisce le correnti d'idee, giudica dal valore dei fatti, ne preannunzia le conseguenze; per la facilità con cui "si monta", dicendola alla moderna, e butta giù scritti, che debbono vivere la vita dell'ora che passa e non più. Vi sono scritti in cui il D. pare precorrere il Galilei nell'accettare le idee copernicane, altri in cui sembra preannunciare il socialismo, accogliendo i sogni di Tommaso Moro (pubblicò anche l'Utopia di quest'ultimo, tradotta dal Lando). Ma il suo capolavoro sono i Marmi, dove, fingendo di riferire discorsi sentiti a Firenze, da gente seduta a chiacchierare presso i "marmi" di Santa Reparata, il D. rappresenta ciò che fu la vita intellettuale, e non intellettuale soltanto, del tempo suo. La lingua è del più vivo ed efficace parlare fiorentino, benché i motti riescano oggi meno acuti che non dovessero sembrare ai contemporanei.
Bibl.: S. Bongi, Vita e catalogo delle opere di A. F. Doni, nell'edizione dei Marmi, curata da P. Fanfani, Firenze 1863; E. Chiorboli, A. F. Doni, in Nuova antologia, 1° maggio 1928; A. F. Doni, I Marmi, a cura di E. Chiorboli, Bari 1928, in 2 voll., e quivi alla nota finale la bibliografia del Doni.