Il contributo è tratto da Storia della civiltà europea a cura di Umberto Eco, edizione in 75 ebook
L’opera di Antoine-Laurent Lavoisier introduce una profonda discontinuità nella lenta e contrastata evoluzione della chimica settecentesca. Attraverso una serie di riforme radicali del lessico e della filosofia della materia tradizionali, lo scienziato francese fonda una nuova disciplina scientifica garantendole basi teoriche e sperimentali interamente nuove.
La chimica nel Settecento
La “rivoluzione chimica” rappresenta uno dei momenti più significativi dell’evoluzione della scienza europea. La ricostruzione storica dell’opera di Lavoisier equivale infatti alla storia della fondazione della chimica moderna e della sua rapidissima affermazione. Prima della comparsa dell’opera di Lavoisier la chimica era costituita da un insieme incoerente di nozioni sperimentali e tecnologiche combinate con le ciarlatanerie e le speculazioni filosofiche degli alchimisti. Il linguaggio attraverso cui venivano espresse le reazioni chimiche e le principali sostanze offriva ampi margini di fraintendimento tanto che, nella maggior parte dei casi, uno stesso nome poteva designare sostanze dalle proprietà chimiche opposte. Inoltre, la pesante eredità dell’esoterismo e del simbolismo alchemico aveva generato un vocabolario tecnico estremamente complesso e oscuro, destituendolo di qualsiasi utilità pratica e didattica. Fino alla seconda metà del Settecento l’interpretazione e la lettura della letteratura chimica sono dunque ostacolate dalla mancanza di una nomenclatura descrittiva capace di trasmettere il sapere in modo omogeneo.
Questi e altri fattori contribuiscono a rallentare i progressi di tale scienza, relegandone l’insegnamento a corsi e dimostrazioni pubbliche per farmacisti e speziali. Da questo punto di vista è assai significativo che una delle prime cattedre di chimica istituite in Europa sia quella assegnata al medico bolognese Bartolomeo Beccari nel 1737: tardi se si pensa alle altre scienze baconiane come la storia naturale e la medicina, discipline di insegnamento universitario già a partire dal tardo Medioevo.
La chimica in quanto tale non rappresenta dunque nel Settecento una disciplina scientifica in senso moderno, ma costituisce un campo di indagine sperimentale condiviso da cultori di altre scienze. I maggiori “chimici” della prima metà del Settecento sono infatti per la maggior parte medici o farmacisti. Il fondatore della celebre teoria del flogisto, Georg Ernst Stahl, è professore di medicina presso l’università di Halle e si diletta nello studio della chimica solo in via subordinata ai suoi studi di medicina teorica. Si deve proprio a Stahl, tuttavia, il primo tentativo di sistemazione teorica del sapere chimico.
Durante i primi due decenni del Settecento il medico tedesco aveva pubblicato una serie di importanti lavori nei quali delineava una nuova filosofia della materia, sintetizzata nella teoria del flogisto. Questa teoria suppone l’esistenza di un principio infiammabile pesante (il flogisto) presente, sia pur in diversa misura, in tutti i corpi. La teoria, basata su criteri descrittivi qualitativi e induzioni empiriche immediate, ha il merito di spiegare con un solo principio operazioni chimiche distinte come la calcinazione e la combustione, e di assumere come proprietà generale la trasmissibilità della combustione da un corpo combustibile a uno non combustibile. Stahl è inoltre convinto che durante la calcinazione (riduzione) dei metalli, il metallo sottoposto all’azione del fuoco perda il suo flogisto e si trasformi in calce.
Questa interpretazione, nonostante sia in contraddizione con le analisi ponderali che attestano un incremento del peso delle calci metalliche rispetto al metallo non combusto, riscuote un successo enorme, tanto da rimanere inalterata fino alla fine del secolo. La filosofia della materia di Stahl offre un’interpretazione assai convincente dei fenomeni chimici di natura inorganica, trascurando tuttavia il ruolo chimico dell’aria in generale e dei gas in particolare.
Quando, nel 1727, il medico inglese Stephen Hales osserva che l’aria, fissandosi, entra nella composizione chimica dei vegetali alterandone la natura, non suscita tra i chimici contemporanei alcuna reazione di rilievo e occorre aspettare qualche decennio prima che le conseguenze teoriche e sperimentali di tale scoperta vengano comprese.
Nel 1756 il medico scozzese Joseph Black dimostra l’esistenza di un gas (l’anidride carbonica), le cui caratteristiche chimiche e terapeutiche, completamente differenti da quelle dell’aria comune, mettono in discussione l’assunto secondo cui l’aria non sarebbe altro che uno strumento chimico passivo.
È solo con la scoperta di un nuovo gas da parte di Joseph Priestley che i chimici cominciano a mettere in discussione la validità della teoria del flogisto.
È Lavoisier il primo a comprendere che le nuove scoperte in chimica pneumatica mettono seriamente in discussione la struttura della chimica tradizionale.
Prime esperienze contro il flogisto
Nato a Parigi nell’agosto del 1743, Antoine-Laurent Lavoisier viene iniziato allo studio delle scienze naturali da un amico di famiglia, il geologo Jacques-Etienne Guettard, dal matematico e astronomo Nicolas-Louis de Lacaille e dal botanico Bernard de Jussieu, uno dei primi ad adottare la nomenclatura botanica di Linneo in Francia. Forte dell’insegnamento di questi tre maestri, nel 1762 Lavoisier inizia a seguire i corsi di chimica del celebre farmacista Guillaume-François Rouelle, già maestro di chimica di Rousseau, Diderot, D’Holbach e Turgot. Nel 1764, ultimato il proprio apprendistato scientifico, Lavoisier si dedica allo studio di diverse scienze sperimentali senza privilegiarne alcuna, anche se, dopo aver letto alcune opere di farmacisti e medici inglesi, incomincia a mostrare uno spiccato interesse per la soluzione di questioni chimiche e mineralogiche. Ma è solo agli inizi degli anni Settanta che Lavoisier individua un programma di ricerche che lo condurrà a cambiare il volto della chimica moderna.
A seguito delle scoperte di chimica pneumatica realizzate da Hales, Black e Priestley, il chimico francese constata il fatto che nessuno si è reso conto di quanto esse minano il nucleo teorico della chimica stahliana. In una nota sigillata consegnata all’Académie des Sciences di Parigi nel 1772, il giovane Lavoisier osserva che lo zolfo, sottoposto a combustione, aumenta di peso assorbendo una notevole quantità d’aria che, fissandosi, lo converte in acido solforico.
Queste osservazioni rovesciano l’interpretazione del fenomeno data da Stahl nel 1718. Laddove per il medico tedesco lo zolfo sottoposto a combustione comporta una sottrazione di flogisto, per Lavoisier tale fenomeno è spiegabile solo constatando la fissazione dell’aria e l’aumento ponderale che ne segue.
Queste differenze non sono solo di natura sperimentale, ma toccano il sistema chimico nel suo complesso. Se l’aria, infatti, non è un elemento semplice ma un composto di vari gas, e se tali gas hanno la capacità di combinarsi con i corpi alterandone la natura chimica, è chiaro che le filosofie della materia tradizionali sono inadeguate. Secondo Lavoisier le scoperte dei nuovi gas esigono che i naturalisti ridefiniscano le coordinate della chimica e formulino una nuova nomenclatura.
La rivoluzione chimica
È a questo punto che, consapevole della portata della propria scoperta, Lavoisier non esita a definirla come una vera e propria “rivoluzione in fisica e in chimica”. Per la prima volta nella storia, il termine “rivoluzione” viene associato a una teoria scientifica particolare, della quale si riconosce la portata innovativa.
Tra il 1772 e il 1783 viene realizzato un numero sensazionale di scoperte. A parte l’isolamento di numerosi nuovi gas, tra i quali l’ossigeno e l’idrogeno, la scoperta più rivoluzionaria e controversa è quella relativa alla composizione dell’acqua. Tra il 1781 e il 1782 Joseph Priestley e Henry Cavendish osservano, l’uno indipendentemente dall’altro, che, bruciando dell’idrogeno in presenza di ossigeno, nel recipiente si condensa della rugiada le cui caratteristiche sono del tutto identiche a quelle dell’acqua. Possiamo immaginare quale meraviglia abbia suscitato la scoperta che l’acqua, elemento creduto semplice dall’antichità in poi, si riveli un composto di due arie.
L’apparente incongruità con i modelli e le filosofie tradizionali genera grandi resistenze tra i seguaci della teoria del flogisto di Stahl. Solo Lavoisier comprende che questa nuova scoperta è la conferma che la chimica pneumatica rappresenta la chiave per interpretare tutta la materia. Ovviamente tale consapevolezza dovrà trovare degli argomenti convincenti perché l’intera comunità scientifica si converta al credo di Lavoisier e nel corso degli anni Ottanta lo scienziato francese intraprende dunque un’intensa campagna di persuasione.
Nel 1786 Lavoisier pubblica una memoria intitolata Riflessioni sul flogisto, in cui attacca la teoria di Stahl e mostra come tutte le principali operazioni della chimica si possano spiegare senza ricorrere al principio ipotetico del flogisto e come la teoria della combustione da lui proposta nel 1772 fornisca una base solida ed estensibile.
La riforma della nomenclatura
Nel 1787 Lavoisier raccoglie i primi consensi. I chimici Louis-Bernard Guyton de Morveau, Antoine-FrançoisFourcroy, Claude-Louis Berthollet si sono finalmente convertiti alla teoria dell’ossigeno e decidono di collaborare insieme a Lavoisier a un ambizioso progetto di riforma della nomenclatura. Risultato di questa collaborazione è la pubblicazione della Méthode de nomenclature chimique, un testo che cancella d’un sol colpo la vecchia nomenclatura, proponendo al suo posto una nuova grammatica scientifica. In effetti, come si desume già dal titolo, più che cambiare i nomi chimici, sostituendo i vecchi con i nuovi, la >Méthode intende offrire un metodo di denominazione delle sostanze che, aggiornando la filosofia della materia alle nuove scoperte realizzate dalla chimica pneumatica, rispecchi nel modo più aderente la combinatoria dei principi e dei composti che strutturano la composizione dinamica della materia.
I fondamenti della nomenclatura sono le definizioni dei corpi semplici, ovvero di quelle sostanze che non possono essere ulteriormente decomposte. Queste sostanze vengono divise da Lavoisier in cinque classi: la prima, senza dubbio la più importante, è costituita dalla luce, seguono il calorico, l’ossigeno, l’idrogeno e l’azoto.
Ognuna di queste sostanze ha un ruolo estremamente controverso tanto che, ancora nel 1787, Lavoisier e i suoi collaboratori sono i soli ad adottare i nomi da loro stessi proposti.
Il nome “ossigeno” – che Priestley aveva definito con il termine “aria deflogisticata ”, Carl Wilhelm Scheele con quello di “aria di fuoco”, Torbern Bergman con quello di “aria vitale” – è desunto da Lavoisier dalla lingua greca, combinando i termini oxis (acido) e geinomai (formare). Il chimico francese infatti ritiene che l’ossigeno sia il principio acidificante universale e che sia pertanto presente in diversa misura in tutti gli acidi.
Anche per formare gli altri nuovi termini chimici Lavoisier ricorre al greco e agli stessi criteri linguistici. Secondo tali criteri, desunti dalla filosofia del linguaggio di Condillac, i nomi devono rappresentare le cose, cogliendone gli aspetti essenziali ed esplicandone la natura. La nomenclatura dunque ha il compito di spiegare la scienza più che di descriverla.
La seconda classe di sostanze semplici è composta da 25 basi acidificabili, anche se le uniche a essere state isolate sperimentalmente sono l’azoto, il fosforo, il carbonio e lo zolfo. Il sistema nomenclativo delle basi introduce importanti novità non solo a livello lessicale. Lo zolfo, ad esempio, è la base acidificabile che, combinata con l’ossigeno, genera l’acido vetriolico il quale, col nuovo sistema, verrà denominato solforico, derivando il suo nome proprio dalla base.
L’acido inoltre si può presentare in due stati di saturazione differenti e sono quindi necessari due nomi diversi che, pur conservando una radice comune, ne rilevino la differenza caratteristica. L’acido solforico designa lo zolfo interamente saturato con l’ossigeno; l’acido solforoso è lo zolfo combinato con una quantità di ossigeno minore; solfato è il nome generico del sale formato dall’acido solforico; solfito, il nome del sale formato dall’acido solforoso; solfuro, infine, designa le restanti combinazioni dello zolfo.
Le restanti tre classi di sostanze semplici, gli ossidi, le terre e gli alcali, subiscono lo stesso trattamento radicale, tanto che solo pochissimi dei nomi nuovi sono riconducibili alla nomenclatura chimica tradizionale.
Nell’introdurre dei criteri di definizione quantitativi nella denominazione delle sostanze chimiche, Lavoisier sconvolge il tradizionale approccio qualitativo e descrittivo, affrancando la chimica dalle scienze baconiane e situandola vicino a quelle esatte. Non a caso sono proprio i fisici e i matematici i primi ad apprezzare la precisione e i vantaggi contenuti nella nuova nomenclatura chimica.
La nuova chimica
Nel 1789, pochi mesi prima dello scoppio della Rivoluzione francese, Lavoisier pubblica il suo capolavoro, il Traité élémentaire de chimie, un’opera in cui vengono illustrati in modo sistematico i fondamenti, gli strumenti e il linguaggio della nuova chimica.
Le basi matematiche della nuova nomenclatura, la bilancia e altri strumenti di analisi quantitativa, e un’esposizione estremamente rigorosa e selettiva di esperimenti rappresentano le qualità migliori e più efficaci dell’opera. Rari sono i riferimenti bibliografici a predecessori o ad ambiti sperimentali già dissodati da altri. Tutta la materia viene interpretata alla luce delle recenti scoperte di chimica pneumatica e del ruolo centrale assunto dall’ossigeno.
La modernità dell’opera di Lavoisier, così lontana dai canoni espressi dalla letteratura chimica a lui anteriore, è inevitabilmente destinata a incontrare ostacoli e resistenze di ogni genere. In effetti la pubblicazione della Méthode e del Traité scatenano una delle controversie scientifiche più accese e appassionanti, che coinvolgono l’intera comunità scientifica europea.
All’inizio quasi nessuno dei maggiori chimici e naturalisti si dichiara favorevole alle pretese di cambiare l’intero vocabolario della chimica secondo i canoni dettati dalla teoria di Lavoisier. L’argomento che più comunemente viene addotto contro la nuova nomenclatura è sintetizzato nella convinzione diffusa che la chimica non sia una scienza che possa essere oggetto di analisi quantitative e che pertanto debba continuare ad avvalersi di strumenti di analisi e di definizione essenzialmente riconducibili alle pratiche di laboratorio.
Altri rifiutano caparbiamente l’evidenza delle esperienze che demoliscono la teoria del flogisto. Così uno dei più dotati sperimentatori d’Europa, Joseph Priestley, ancora agli inizi dell’Ottocento rifiuta di accettare che l’acqua sia un composto di due gas.
Un elemento tuttavia accomuna i seguaci e gli oppositori di Lavoisier: tutti gli riconoscono il merito, o il demerito, di aver prodotto con la sua opera una vera e propria rivoluzione della chimica, alterandone completamente i caratteri tradizionali.
Agli inizi dell’Ottocento la teoria e la nomenclatura di Lavoisier sono ormai divenute un patrimonio acquisito per tutta la comunità scientifica europea, e la chimica è divenuta una scienza moderna che poco o nulla ha in comune con le teorie e i programmi sperimentali che ne hanno segnato la storia nei secoli precedenti.